Verduzzo friulano Le radici affondano nel Quattrocento
Il Verduzzo friulano non è da confondere con l’omonimo vitigno trevigiano. La prima apparizione risale ai primi del Quattrocento al banchetto tenutosi a Cividale del Friuli (Ud) per il 1° Concilio generale della Chiesa
17 marzo 2018 | 12:14
di Piera Genta
Grappolo piccolo e alato, buccia spessa e pruinosa, versatile, impiegato per la produzione di vini fermi da tavola e spumanti, oltre a vini dolci e passiti. Si distingue in due cloni: uno verde, coltivato soprattutto nelle zone pianeggianti, su terreni composti da argille rosse e sassi come quelli che si trovano nella zona delle Grave del Friuli; l’altro giallo, poco produttivo ma di grande qualità, coltivato in varie zone del Friuli, ma soprattutto nei Colli Orientali, da cui si produce un vino colore giallo oro, profumato di frutta, corposo, dotato talvolta di gradevoli sentori di miele.
Si tratta del Ramandolo, un vino da meditazione che fin dall’antichità porta il nome del toponimo e non del vitigno. La denominazione è legata alla piccola frazione del comune di Nimis, sui colli udinesi, che assieme a quello di Tarcento rappresenta l’areale di coltivazione di questo prezioso vino dolce friulano.
Dal clone verde si ottiene un vino giallo con trasparenza verdognola, citrino, fruttato, provvisto di profumo ampio, fresco, con bouquet che ricorda la mela, la pera e frutti estivi quali l’albicocca e la pesca. Si tratta di un vino adatto ad accompagnare le portate delicate di pesce, crostacei e frutti di mare.
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Alberto Lupini