Ana Roš, cuoca dell'anno 2017: «Nei piatti le mie esperienze di vita»

25 gennaio 2017 | 10:47
di Alberto Lupini
Ana Roš si trova in Alta Badia per partecipare a Care’s 2017. Ed è proprio da qui, dal cuore delle Dolomiti, che la cuoca slovena di Kobarid (Caporetto) dove ha il ristorante Hiša Franko ha saputo di essere stata nominata miglior cuoca dell’anno dalla classifica “The World’s 50 Best Restaurants”. Noi l’abbiamo incontrata per conoscerla meglio scoprendo una donna tenace, umile, ma molto sicura di sé stessa e della sua idea di cucina che risente fortemente della sua personalità e delle sue origini. Parla circa sette lingue, tra cui un italiano fluente.


Ana Roš intervistata da Alberto Lupini

Ana, da poche ore sei stata eletta miglior cuoca del mondo, quale ritieni sia la ragione del tuo successo?
Sono molto umile, per cui non lo so dire. Mi aspettavo di poter ottenere un successo, ma tra qualche anno, non certo ora perché non avevo lavorato per raggiungere questo obiettivo. Il messaggio che lancia questa mia vittoria tuttavia è chiaro: se si lavora bene e col cuore si può raggiungere qualunque traguardo. Parlando di cucina ciò che mi contraddistingue penso che sia l’utilizzo del territorio e della stagionalità dei prodotti. Nei piatti c’è la mia personalità e la mia esperienza di vita.

A proposito di questo, c’è chi dice che conta molto il fatto che tu sei nata, abiti e lavori nella Mitteleuropa…
Vero, questo ci definisce perché parliamo di una diversità incredibile di culture che sono molto vicine alla Slovenia. Confiniamo con l’Austria, la Germania, l’Italia, i Balcani e poi con un pezzo di Ungheria che ha una grande storia nel settore agricolo. Per definizione in un paese molto piccolo come il nostro. le influenze si sentono moltissimo. In un paese piccolo c’è una cultura superventilata ed è da lì che nascono i popoli più belli.

Se dovessi definire i tre piatti migliori della tua storia?
Non sono legata a niente, non mi sono nemmeno mai sposata, chissà se mai dirò di sì: per ora ho detto al mio partner che non è il momento. Il mio percorso è in continua evoluzione, positiva o negativa questo non lo so. Penso che chi ascolta sé stesso non può ripetere sempre gli stessi piatti. Penso ad un mio piatto di un anno e mezzo fa ad esempio: calamari del nord Adriatico, ripieni di animelle con formaggio della nostra cantina e fave. Tutti impazzivano e tutti me lo chiedevano, ma a un certo momento l’ho tolto dal menu perché non mi identificavo più in esso, non ci credevo più. Questo è il mio modo di vedere le cose, molti ristoranti invece la pensano diversamente ed è questo il bello della cucina.
 
Tu quindi sei per una cucina in continua evoluzione…
Io sono così, questa è la verità e a volte è un problema. Qualche cliente a volte torna per la memoria, ma io non riesco a cucinare come la prima volta e spesso mi chiedo come poteva piacere un piatto che fino a poco tempo prima avevo creato e ritenevo valido. La gente quando torna a mangiare da me dice «wow ho mangiato veramente bene questa sera, però quel piatto dell’altra volta…» e io rispondo che mi dispiace, ma non sono più capace di riproporlo.

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Alberto Lupini


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