Dai banchi di scuola al sac à poche

L’alternanza scuola-lavoro fa la differenza nella formazione del pasticcere. In Italia le scuole di formazione dovrebbero uscire da una logica regionale e poter rilasciare attestati riconosciuti a livello europeo

27 ottobre 2017 | 09:14
di Federico Anzellotti
Noi di Conpait vorremmo che tutte le scuole di formazione in Italia, o meglio quelle in possesso di determinati requisiti, potessero rilasciare attestati riconosciuti a livello europeo. In pratica, oggi, qualsiasi ragazzo frequenti un percorso di formazione di base nel campo della pasticceria, della panificazione o della gelateria, in Italia, acquisisce un attestato finale che, per dirla dolcemente, non vale un fico secco a livello europeo.



Vorremmo dunque che le scuole di formazione non fossero gestite da logiche regionali, ma potessero rilasciare certificazioni parificate al diploma della scuola alberghiera, valide a livello nazionale e spendibili negli altri Stati membri dell’Unione europea. Si tratta di poter mettere le nostre competenze in relazione agli Eqf (European qualifications framework), ossia il quadro delle qualifiche professionali riconosciute a livello europeo. È assurdo che un italiano non possa aprire una pasticceria in Belgio perché le sue qualifiche non sono ritenute valide.

Altre lacune della nostra formazione in campo turistico alberghiero riguardano l’alternanza scuola-lavoro, un modello ormai consolidato in Svizzera e ancora poco praticato in Italia. Un primo esempio di alternanza scuola-lavoro lo abbiamo inaugurato a Pescara, tra l’Istituto Alberghiero De Cecco, noi di Conpait e la pasticceria Dolce Passione, che nella sua giornata dedicata al cioccolato ha impiegato come stagisti 6 studenti degli ultimi anni dell’Alberghiero.

Un’altra assurdità è il tirocinio formativo che i ragazzi non possono svolgere la domenica: se si pensa che il giorno di massima espressione di un’attività di pasticceria è proprio la domenica, si capisce che il ragazzo in questione viene fortemente limitato nell’esperienza.

C’è poi la questione che riguarda la certificazione della maestria: in Francia esistono i Mof (fondi per il miglioramento dell’offerta formativa), ossia certificazioni di maestria, riconosciute a livello statale a rilasciate in diversi settori professionali. In Italia vorremmo si smettesse di usare a sproposito la parola maestro, ma che esistessero percorsi di formazione ad hoc per queste figure, riconosciute a livello nazionale.

Sono necessarie regole e normative, poiché in Italia un meccanico che chiude la propria officina il giorno seguente può tranquillamente aprire una pasticceria. Anche in questo caso, come all’estero, serve una regolamentazione più logica. Del tipo, almeno due anni di esperienza per poter aprire una pasticceria, oppure un anno di esperienza più un anno di corso professionale. Perché noi italiani abbiamo tante difficoltà ad esportare i nostri prodotti all’estero? E perché dall’estero non hanno nessun problema ad entrare nel nostro Paese? È vero, la sicurezza alimentare in Italia non ha pari, ma questo non può diventare un limite per lo sviluppo del nostro business. Perché per diventare competitivi a livello europeo è fondamentale che le nostre certificazioni, dalla rintracciabilità al sistema Haccp, siano allineate alle direttive degli altri Stati membri dell’Unione, in modo che i documenti siano riconosciuti, corrispondenti e immediatamente spendibili. Nell’ottica della globalizzazione appare evidente l’importanza di adeguarsi al modello europeo, per poter sviluppare affari ed essere competitivi in area Ue e negli Stati emergenti.

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Alberto Lupini


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