Non di soli cocktail è fatto il lavoro del barman
I barman sono talmente impegnati a realizzare drink di tendenza da dimenticare un dettaglio fondamentale: il cliente deve essere protagonista, bisogna lavorare sull'accoglienza, proprio come insegnano le associazioni
02 agosto 2018 | 10:54
di Ernesto Molteni
Le associazioni professionali devono cercare di capire le esigenze di tutte queste categorie per diffondere appunto il concetto di qualità e crescita lavorativa. Senza dimenticare però che a prescindere da tutte queste categorie la scuola classica - concentrato di conoscenze costruito in oltre 200 anni di esperienze e storia - insegna che la figura del barman professionista deve incentrarsi innanzitutto sul valore umano della persona.
Il barman professionista deve essere onesto, umile, di buon umore e sorridente, deve avere un'ottima conoscenza delle lingue straniere, deve essere comunicativo e anche un po' psicologo, con una buona dimestichezza nell'accogliere e servire la clientela. Deve avere anche una buona conoscenza merceologica di tutti gli ingredienti e delle attrezzature e sapersi adattare al tipo di locale e agli usi e costumi dei diversi consumatori. Vi sembra facile? Sicuramente lo è meno che imparare a preparare dei cocktails.
Oggi c’è questa tendenza, soprattutto nelle nuove generazioni, ad imparare tutto in fretta grazie ai corsi, per mezzo di internet e dei social, ad inventarsi barman mixologist in un paio d’anni, lavorando magari in qualche locale alla moda, diventando così veri protagonisti della scena, sentendosi affermati e realizzati, dimenticando però, oltre a tutte le caratteristiche appena citate, il valore più importante: il cliente è il vero protagonista, il nostro dovere è fare in modo che lui si senta tale.
Per raggiungere la professionalità ci va tempo e pazienza, anni di lavoro e magari la fortuna di incontrare lungo la strada dei maestri non solo di cocktails, ma anche di vita. Ho conosciuto tanti giovani mixologist veramente bravi, ma si fermano lì: un locale bello e specializzato, cocktails originali e buoni. Se finissero in un albergo di un certo livello capirebbero che per esprimere qualità dovrebbero lavorare in sinergia con un direttore, uno chef, una governante e un maitre, comprenderebbero che il lavoro di squadra, dove tutti sono protagonisti nella loro arte, serve proprio a raggiungere lo scopo finale: la soddisfazione del cliente.
Non è facile stare a parlare per ore con i clienti, capire e seguire le loro esigenze, comunicare loro in lingua straniera o accontentare tutte le loro richieste, anche le più stravaganti. Chi riesce a fare tutto questo può definirsi davvero un professionista. È più facile diventare tale nel momento in cui ci si confronta con altri professionisti, più bravi o anche meno preparati, esperti o meno: lo scopo è allargare i propri orizzonti, perché da tutti c’è sempre qualcosa da imparare. L’Associazione di categoria, con la sua scuola classica, esiste proprio per questo.
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Alberto Lupini