Cucina sempre più spettacolo Bisogna ritornare alla tradizione

17 ottobre 2015 | 10:37
di Matteo Scibilia
Il mese scorso avevo scritto della difficoltà della nostra categoria, Cuochi e Ristoratori, nel fare sistema e reagire alle innumerevoli concorrenze e ai tanti casi sleali. Incapaci di proteste politiche e sindacali in grado di far emergere il malessere che ormai in maniera silenziosa, come sempre, attanaglia una parte importante del nostro Made in Italy. Invece di alzare la voce per i costi enormi del lavoro e della burocrazia, cercano strade diverse che in realtà nulla hanno a che vedere con la cucina e la tradizione.

In questi giorni, per vari motivi, ho frequentato Milano, la meraviglia si sovrappone all’incredulità nel notare come ormai la gastronomia della città dell’Expo sia ormai preda di una nuova ristorazione, che nulla a che vedere con la ristorazione meneghina: franchising più o meno camuffati, catene di pizzerie napoletane, nuove sfide di modaioli e di stilisti che abbinano alla vendita di vestiario, scarpe e borse, luoghi dove cuochi più o meno famosi offrono le loro infinite capacità gastronomiche nella speranza che il mix dia a tutti successo. Così non è! Expo, per certi versi ha scatenato una rincorsa di un’offerta ristorativa, dove agli occhi degli esperti emerge il rischio di una “debacle” nel dopo Expo. Quanti cuochi approdati a Milano ritorneranno nelle loro location?



Tant’è. Eat’s in centro a Milano ha rivisto la propria offerta ristorativa, Farinetti rivoluziona Eataly a favore di soci finanziatori e soprattutto di Coop Italia, Grom va ad Unilever, chiusure e cessioni di ristoranti sono all’ordine del giorno. Il mondo del food & wine è continuamente sotto attacco per frodi commerciali sempre più frequenti. Un settore, il nostro, affascinante. Leader per certi versi in tutto il pianeta, ma alcune pecche cominciano ad essere evidenti, stiamo perdendo la nostra artigianalità. Le eccellenze in compenso vanno sempre più in mani straniere e nel mezzo c’è un grande malaffare.

E i cuochi, testimoni e creatori responsabili di questo successo, cosa fanno? Il cuoco, al centro dei media, cavalca la pubblicità con prodotti industriali: patatine, sfoglie, vini mediocri, pentole e altro ancora, ed anche se la deontologia professionale direbbe che qualcosa non si dovrebbe fare, in tanti difendono il vecchio detto che “pecunia non olet”.

Il lavoro del cuoco non è mai stato facile, faticoso di sicuro, ed oggi con la crisi e i margini ridotti all’osso, la situazione è ancora più difficile. La dittatura delle stelle Michelin, come da tempo denuncio, in realtà non ha prodotto niente di buono. La stampa nazionalpopolare utilizza ed esalta sulle proprie pagine, per evidenti motivi di comunicazione, la presenza di ristoranti non proprio alla portata di tutti e di cuochi super famosi con le loro ricette, quasi sempre non ripetibili a casa. Ma tant’è, il cuoco “tira”. La televisione trasmette e amplifica modelli professionali che non sono di una cucina vera. Ho già denunciato il malcostume di molti cuochi che in televisione si vestono in maniera spesso eccentrica e non corretta, con orologi in bella vista, braccialetti, anelli, orecchini, scarpe da ginnastica e sempre senza il cappello, proiettando un modello che contrasta con quanto, con difficoltà, si tenta di insegnare a scuola.



Il cuoco, nel tentativo di far quadrare i conti, prosegue su altri fronti: gli eventi, le fiere, ormai anche le feste di piazza. Ed ogni tanto quelli che fanno solo i cuochi in tv vanno anche nei centri commerciali il sabato e la domenica. Ovunque sempre e solo cuochi e cibo, in una continuità in cui la qualità è spesso camuffata. E poi si cerca di guadagnare qualche euro ai vari Girotonni, ai Cous cous festival, alla festa della piadina, sempre accompagnati da un diplomino di vittoria o vincita di un primo premio, tutti geni della cucina, ed ora, con l’autunno alle porte, l’offerta si amplierà con i tartufo day, le feste di presentazione delle guide e così via, tutti impegnati a organizzare cene a quattro, sei, otto mani. Nessuno cucina più nel proprio ristorante. Tutti impegnati in spedizioni gastronomiche all’estero, sponsorizzati da grandi aziende. Molti clienti, poi, si lamentano che quando frequentano un ristorante stellato, spendendo cifre esorbitanti, quasi mai trovano lo chef.

Una confusione spaventosa, tant’è che proprio all’opposto c’è qualche tentativo di fare un passo indietro. Per esempio a Milano è nata la Confraternita dell’Ossobuco, quasi un desiderio primordiale di alcuni ristoratori milanesi che vorrebbero urlare: “Noi ci siamo ancora!”. Lo show continua, ma in questo caso con i piedi saldamente per terra. Speriamo!

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Alberto Lupini


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