Ritorno in auge per il vitigno Pignolo grazie alla passione di Tenute Angoris

20 maggio 2016 | 14:02
di Liliana Savioli
Presso le Tenute Angoris si è svolto un blind tasting con un tema decisamente intrigante. Mettere a confronto il Pignolo con altri vini provenienti da vitigni autoctoni, sia nazionali che esteri, che marcano fortemente il terroir. Come si colloca in questa categoria di vini? 10 vitigni diversi con una caratteristica in comune, la tannicità. Il perché di questa degustazione ce lo spiega Marta Locatelli, presidente della Tenuta Angoris (600 ettari in gran parte a seminativo e 80 di vigneto. Si estende su tre Doc diverse del Friuli Venezia Giulia - Collio, Colli Orientali e Isonzo).

«Ci troviamo qui per testimoniare la passione, il rispetto e le competenze. Elementi che permetto di tenere ancorate la tradizione all’eccellenza. Tradizioni che non devono perdersi, senza essere condizionati né dalle mode momentanee né dal mercato. Creare una connessione logica tra i vini del Friuli Venezia Giulia e i grandi vini del mondo». Decisamente un progetto stuzzicante e ambizioso.



Ma chi è questo signor Pignolo? Solo il professor Carlo Petrussi ce lo può far conoscere. Anni di studi agronomici sul campo fanno di Petrussi l’interprete più qualificato a far ciò. Cominciamo dalla storia, antica ma poco conosciuta. Il fulcro è l’Abbazzia di Rosazzo dove i monaci avevano creato un vigneto storico ampelografico. Già nel 1300 si hanno delle citazioni del Pignolo come un vino pregiato, in quel momento veniva valutato come oggi consideriamo i super Tuscan. Ma attenzione. Allora si parlava di vini, non di vitigni!! Poi scompare per riapparire nell’800. Si trova ad una mostra di uve come Pignolo bianco e nero, vien poi citato come vitigno con tante femminelle. Di nuovo nulla si sa più di lui.

Finalmente il Poggi nel 1929 racconta di aver raccolto delle barbatelle di Pignolo in quel di Corno di Rosazzo definendolo “vitigno cespuglioso” e nel 1939 redige la scheda ampelografia completa. Di nuovo ritorna nell’oblio fino al 1974, anno in cui Moschioni si reca nell’Abazia di Rosazzo e trova 2 viti appoggiate al muro di cinta, raccoglie le marze e crea un piccolo vigneto. Continuarono l’opera Filipputti e Felluga. Dal 2004 Petrussi inizia le analisi genetiche e scopre che quello che veniva chiamato Pignolo dalla foglia tonda altri non è che il Groppello di Breganze. Tra il 2000 e il 2005 c’è stato il boom di impianti. Purtroppo oggi è in fase calante per problemi sia di coltivazione che di vinificazione. Purtroppo quando non ci sono riferimenti storici è tutto un esperimento.



Ma il vero Pignolo che caratteristiche ha? Per prima cosa è un vitigno virosato endemicamente che in certe annate calde ha l’aspetto cespuglioso. Ama essere coltivato in colline arenarie. Le foglie hanno i lembi frastagliati. È un vitigno tardivo ma qualche volta no, a secondo delle annate. È di difficile coltivazione, specialmente per la fragilità dei tralci. Il grappolo è a forma di pigna, da cui deriva il nome. Le bucce delle uve prodotte sono molto delicate. Uve immangiabili con un carico di tannini altissimo. Insomma un cavallo rustico, selvaggio e anche un pochino dispettoso.

Alessandro Dal Zovo, enologo e direttore tecnico di Angoris, ci parla poi della vinficazione del suo amato Pignolo. Di quanto cerchi di non scimmiottare i grandi vini ma di quanto, invece, cerchi di non renderlo replicabile, unico. Ora in commercio c’è l’annata 2009 e tra poco uscirà la 2010. Solo mille bottiglie per pochi eletti. Ma ora passiamo alla degustazione magistralmente condotta, e ideata, da Pierpaolo Penco.

Questo l’ordine dei vini rossi degustati: Tannat 2014 (l’unico vino così giovane, dell’azienda uruguaiana Bodegas Castillo Viejo), Nero di Troia Castel del Monte Rosso Riserva Doc 2010 (azienda Torrevento, a Corato in provincia di Bari), Pignolo 2010 (azienda Dorigo, a Premariaccio in provincia di Udine), Graciano 2010 (azienda spagnola Marques de Grinon), Touriga Nacional Doc 2010 (azienda portoghese Quinta do Crasto), Ghemme Docg 2010 (azienda Torraccia del Piantavigna, a Ghemme in provincia di Novara), Mavrotragano Pgi 2010 (azienda greca Sigalas, nell’isola vulcanica di Santorini), Montefalco Sagrantino Docg 2009 (azienda Antonelli, a Montefalco in provincia di Perugia), Etna Rosso Doc 2009 (azienda Tenuta delle terre nere, a Randazzo in provincia di Catania), Pignolo Doc Fco 2009 (Tenuta di Angoris), Susumaniello Rosso Valle d’Itria Igt 2009 (azienda Tagaro, a Locorotondo in provincia di Bari) e Montefalco Sagrantino Collepiano Docg 2009 (azienda Arnaldo Caprai, a Montefalco).



Nessuna classifica, ma una serie di considerazioni. In conclusione è emerso che per tutelare e valorizzare questi vitigni e i vini che da essi si producono, c’è la necessità di trovare loro una precisa identità: la definizione di questa identità è la vera priorità per poter passare da una semplice “curiosità” ad un prodotto che sa costruirsi una strada e trovare la giusta affermazione.

Oltre a Marta Locatelli, padrona di casa, ad Alessandro Dal Zovo, enologo e direttore tecnico dell’azienda, e Alan Gaddi, responsabile commerciale per l’estero, alla degustazione hanno partecipato alcuni fra più importanti degustatori riconosciuti a livello internazionale: Pierpaolo Penco (responsabile formazione in Wine business, Mib - Trieste School of management), Stefania Belcecchi (wine ambassador e wine writer), Elena Erlicher (caporedattrice di Civiltà del bere), Giampaolo Gravina (scrittore del vino e degustatore), Liliana Savioli (sommelier, giornalista di Italia a Tavola e guida Vini buoni d’Italia), Gianni Ottogalli (Associazione italiana sommelier Fvg e responsabile Guida Gambero Rosso per il Fvg), Carlo Petrussi (agronomo e profondo conoscitore della cultura viticola ed enologica del Fvg), Michele Biscardi (responsabile Fondazione italiana sommelier Fvg) e Paolo Ianna (coordinatore della guida Vini buoni d’Italia per il Fvg).


Tenuta Angoris
località Angoris 7 - 34071 Cormons (Go)
Tel 0481 60923
www.angoris.com
info@angoris.it

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Alberto Lupini


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