Bianchetta trevigiana, vitigno autoctono con note di mela matura, pesca e timo
10 ottobre 2015 | 10:44
di Piera Genta
Il suo nome viene citato fin dai primi del ‘500 e come molte altre uve veniva utilizzata allo stato fresco per l’uso di mensa. Verso la fine del Settecento un vino ottenuto dall’uva ben matura della Bianchetta gentile venne citato da Giacomo Agostinetti di Cimadolmo (1679) e indicato come il migliore bianco prodotto all’epoca nel Trevigiano. Nella Ampelografia della provincia di Treviso del 1870, promossa dal Comizio Agrario di Conegliano, vengono descritti due vitigni chiamati Bianchetta, quella bianca e quella grossa detta anche gentile, diffusa sui colli che dava un “ottimo e pregevole vino”.
L’ampelografia universale del Conte di Rovasenda del 1877 riporta una Bianchetta coltivata a Conegliano e di altre bianchette coltivate in Piemonte (l’Arneis ancora oggi è conosciuto come bianchetta). Fino alla terribile gelata del 1709 e la comparsa dell’oidio, al quale il vitigno è particolarmente sensibile, era quello più coltivato nelle colline trevigiane, quando venne sostituito da vitigni più rustici e produttivi.
La Bianchetta si presta benissimo a rifermentazioni siano esse in autoclave oppure in bottiglia in versione frizzante e anche spumante. Dai punti di vista olfattivo e gustativo evidenzia note di mela matura, pesca, timo, origano, vegetale secco in genere e fieno. In bocca si manifesta molto complesso, morbido e persistente. Posticipando la raccolta, e vinificandole in rosso (con la macerazione delle vinacce durante la fermentazione), si ottiene un vino più complesso e con caratteristiche peculiari. Entra nel disciplinare del Prosecco fino ad un massimo del 15% ed in altre Doc della regione Veneto.
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Alberto Lupini