Radici del Sud, 183 aziende e 432 vini La rivincita dell'enologia del Meridione
17 giugno 2016 | 09:59
di Elisabetta Tosi
Sono i numeri di un salone che negli anni è cresciuto sempre di più nell’attenzione degli addetti ai lavori e del pubblico, trattandosi di uno dei pochi eventi del vino totalmente focalizzato sulla produzione degli autoctoni del Sud. Inoltre, per la prima volta quest’anno sono stati in molti a darsi da fare per il successo di Radici: associazioni di territorio come DeGusto Salento, municipalità come il Comune di Gallipoli, associazioni regionali (Le Donne del Vino, Ais Puglia, Assoneologi Puglia, Slowine), ristoranti, persino altri eventi come RosExpo e Vitigno Italia. Tutti uniti nel tentativo di dare finalmente una idea di rete, di coordinamento degli sforzi su obiettivi condivisi.
Come già in altre regioni del centro e del nord, anche nel mondo del vino del sud le cose sono cambiate, e un numero crescente di produttori non è più disposto ad accettare passivamente l’etichetta di “regione-serbatoio” di mosti e vini indifferenziati, soprattutto rossi, destinati a risollevare (nelle annate meno felici) le sorti dei vini prodotti in aree produttive più blasonate, italiane ma anche estere.
«I vini pugliesi non sono più quelli pesanti, alcolici, privi di finezza quali si potevano trovare vent’anni fa - si lamentava con chi scrive un piccolo produttore del Salento - Perché la gente continua ad avere questa idea della nostra produzione?». Domanda lecita, ma risposta complessa, e Radici del Sud rappresenta appunto un tentativo di correggere un’idea del “vino del Sud” che non corrisponde più completamente alla realtà attuale.
Durante il press tour in valle d’Itria e Salento, abbiamo infatti potuto assaggiare i vini di molte aziende agricole, storicamente produttrici di uve, che negli ultimi anni hanno scelto di vinificare in tutto o in parte la loro produzione, e di avventurarsi sui mercati italiano ed estero: bei vini, tecnicamente ben fatti anche se, a volte, più rappresentativi di un certo stile enologico (morbido, fruttato, rotondo), che del vitigno. Poco male però, perché sui mercati c’è posto per tutti, e i palati da accontentare sono i più diversi: lo si è potuto constatare nello stesso concorso enologico di Radici, dove quest’anno per la prima volta hanno lavorato due tipi diversi di commissioni, quelle dei buyer e quelle dei giornalisti.
Alla fine, i vini vincitori sono risultati per la maggior parte diversi, cosa che ha permesso di aumentare anche il numero dei produttori premiati. I messaggi che escono dall’edizione n.11 di Radici del Sud sono insomma più di uno, tutti degni di nota: innanzitutto, come già in altre parti d’Italia, anche al sud si è capito che la carta più importante da giocare consiste nella riscoperta e valorizzazione dei vitigni locali, bianchi e rossi, che vanno trasformati in modo da esaltare le loro caratteristiche, non seguendo i gusti di moda del momento.
Secondo, vino (e cibo) e lifestyle italiano sono tra i grandi attrattori di turismo: sottrarre terra alla viticoltura per darla alle attività turistiche, come sta succedendo oggi in alcune zone della Puglia, rischia di rivelarsi una scelta miope e di corto respiro, perché sacrifica proprio uno dei motivi per cui gli stranieri scelgono di venire in Italia. Terzo, e non ultimo, i vini del sud e quelli della Puglia in particolare presentano oggi un interessante rapporto qualità/prezzo: di questi tempi, è un pregio non da poco.
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Alberto Lupini