Olio Italico, tanti teatrini per nulla Intanto a soffrirne è tutta la filiera

Tanto tuonò che piovve… così Socrate in una frase oramai divenuta celebre. Fa solo ridere, per non piangere a dirotto, questo teatrino che da giorni si stanno scambiando “amorevolmente” le varie associazioni di categoria che “dovrebbero” promuovere, divulgare e soprattutto difendere l’olio extravergine italiano

04 luglio 2018 | 17:38
di Fausto Borella
Per fortuna che Gino Veronelli è morto da più di due lustri, altrimenti se il suo stato conservativo gli desse la possibilità di girarsi nella sua splendida bara nel cimitero di Bergamo, diventerebbe un girarrosto perpetuo.



Ma davvero voi presidenti, direttorini, consiglieri, responsabili di quell'ente, quell’associazione, quell’unione e quant’altro, volete offendere l’intelligenza delle centinaia di migliaia di produttori seri che costellano il nostro meraviglioso Paese? E davvero credete che noi, che facciamo comunicazione da anni, per raccontare un olio, vero, puro, artigianale, quell'olio che esce dalle oltre cento milioni di piante sparse in 18 regioni italiane, non sappiamo che questo sia solo “tanto rumore per nulla”?

Quindi lo scandalo adesso è che l’olio italiano potrebbe essere smerciato a pochi euro al litro? Ma da quant’è che esiste la borsa dell’olio di Bari? Non mi sembra che si sia mai gridato alla scandalo prima di oggi. Finché non si toccano gli interessi di tanti, tutto tace, dopodiché inizia una guerra fratricida inimmaginabile.

Quando iniziai 17 anni addietro con Veronelli, cercando di far conoscere l’olio di eccellenza italiano, andammo con sette televisioni e una ventina di giornalisti nel porto di Monopoli per fermare le navi che arrivavano periodicamente a scaricare olio comunitario che poi, in una maniera o in un’altra, arrivava sulle tavole delle nostre famiglie.

Quel giorno non attraccò nessuna nave, strano. Eppure nel corso degli anni abbiamo fatto alcuni passi significativi: nel 2001 si conoscevano a mala pena alcune varietà olivicole per regione. Oggi sappiamo che c’è un numero certo come 538 cultivar che coprirebbero, se solo le producessimo in maniera corretta, oltre il 42% della produzione mondiale.

Ma non abbiamo fatto i conti con le speculazioni, gli incentivi, i fondi comunitari e tutto quello che poteva distrarre l’olivicoltore - esasperato da registri, codici e leggi - dal produrre un olio vero, senza essere sopraffatto dalla burocrazia. Quindi conviene di più ammattire per produrre un litro d’olio che in centro Italia costa più di 15 euro al litro o abbandonare gli oliveti, come succede in Toscana e Umbria, aspettando che arrivino i confezionatori?

Non possiamo maledire adesso le colpe che abbiamo avuto vent’anni fa. Non dobbiamo lasciarsi irretire dalle Scilla e Cariddi di turno che ci raccontano che con il super intensivo spagnolo risolveremmo i nostri problemi. Mentre scrivo sono nella piazza più bella di Lucca dove per tutto il mese di luglio raccontiamo a mille stranieri al giorno come sono buone le monocultivar e gli oli di eccellenza della Toscana e d’Italia. Prima però gli stessi stranieri assaggiano sia all’olfatto sia col pane i vari oli al prezzo di 4 euro: esatto, proprio quegli oli che vogliamo svendere come italiani. E qual è il risultato? Una volta capito l’inganno, acquistano bottiglie che costano non meno di 16 euro per mezzo litro, fino ad arrivare a 22 euro. Vi sembra una follia? No di certo.

Questo accade grazie ad una costante e continua volontà di far assaggiare l’olio buono, raccontando un territorio vero e persone dietro la bottiglia che ci mettono la faccia. Non più marchi farlocchi e nomi dall’italian sounding improbabile. Se vogliamo preservare un Paese meraviglioso come il nostro dobbiamo tutelarlo sempre. Ci stiamo riuscendo con i migliori vini, chiamandoli con il nome del vitigno: dobbiamo fare lo stesso sforzo con le cultivar solo italiane che danno profumi eccezionali. Sfido chiunque a dirmi il contrario: nessuno al mondo ha le potenzialità che abbiamo noi, tra le quali quella di abbinare dei monovarietali tutti italiani e di eccellenza a siti archeologici e storici di impareggiabile meraviglia; è questo uno dei motivi per i quali continuiamo ad avere milioni di turisti da tutto il mondo.

Qualche esempio: la Casaliva del lago di Garda e il Vittoriale di D’Annunzio; la Bianchera del Friuli e il Golfo di Trieste; La varietà frantoio e Firenze; quella Maurino e Lucca; Moraiolo con Assisi, Umbria; Caninese con Vulci; Tortiglione con l'Abruzzo; la Carboncella a Roma e vicino ai Castelli Romani; Ortice con Paestum, Raccioppella con Pompei; Peranzana accanto ai Castelli Federiciani della Puglia; la Coratina con Bari e Castel del Monte; l'Ogliarola nel Salento; l'Ogliarola, stavola quella del Bradano, con la Capitale europea della cultura Matera; la Tondina con Altomonte; la Cassanese nel Parco Nazionale della Sila; l'Ottobratica a Reggio Calabria, e a Tropea, naturalmente; la Nocellara con Segesta, Selinunte; la Tonda Iblea con Ragusa Ibla e Siracusa.

Mi scuso infinitamente per non aver citato le altre centinaia di varietà e soprattutto i luoghi magici che danno i natali a queste varietà. Finché il consumatore non richiederà di assaggiare un vero olio profumato e persistente, magari monovarietale, che ha un prezzo dignitoso per chi lo ha prodotto, continuerà questo teatrino di rimpallo di responsabilità tra questi enti che pensano solo ai loro profitti.

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Alberto Lupini


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