Mi rivolgo ai giovani cuochi, al futuro della cucina italiana. Non discuto sulle capacità di nessuno, ma quando mi trovo a fare un colloquio con un ragazzo di 20-22 anni, si presenta con un curriculum pieno di nomi strani: è capace di usare il pc, il telefonino, fa roccia, bicicletta, palestra, snowboard, twitter, facebook... Qualifica? Chef di partita o addirittura sous chef. Qui comincio ad avere dei problemi. Come fa un ragazzo con tre anni di esperienza, magari di profilo basso, a presentarsi con pretese economiche e di capacità perlomeno molto dubbie? Come faccio a pensare di prendere nella mia brigata un personaggio così? Purtroppo o per fortuna sono - ahimè - vecchio del mestiere. Ragazzi con pretese di questo tipo nella mia cucina possono a malapena fare i commis.
Mi ricordo che il passaggio da apprendista a commis di cucina per me fu una vittoria. Una festa, un passaggio di mansione infinitamente grande, emozionante. Credo sia giusto affrontare questo argomento in modo molto serio. I passaggi di qualifica vanno guadagnati sul campo, con grandi sacrifici. Non è importante essere uno chef di partita a 22 anni se poi non sei capace di fare una pommes nature, una chateaux, non conosci i tagli della carne, non sei capace di disossare una coscia, non riesci a sfilettare un pesce, non conosci le salse madri, i fondi. Che senso ha tutto questo?
La maturità per essere uno chef di partita si raggiunge girando tutte le partite. Conoscere esattamente e nel dettaglio tutti i passaggi. Soprattutto perché le nuove leve sono il futuro, ma dietro di loro ci saranno ancora degli eredi. Ma se questi ragazzi non conoscono il vero valore della conoscenza, cosa trasmetteranno ai loro commis? Bella la cucina d’avanguardia, bella la ricerca, bello l’apparire, il successo, i media. Ma cosa porti, cosa fai vedere, se poi la sostanza non c’è? Ma vai solo a tentativi...
Ricetta: Sfera croccante al mango