I cuochi sono expert brains Più si allenano, più sviluppano abilità

Con il libro ”Come la passione del lavoro modella il cervello” edito Franco Angeli, Antonio Cerasa neuroscienziato che lavora presso Ibfm-Cnr, ha vinto l’edizione 2017 del Premio nazionale di divulgazione scientifica

24 gennaio 2018 | 16:48
di Emanuela Medi
Cosa hanno in comune un musicista, un architetto, un sommelier, un golfista, uno scalatore, un profumiere e un cuoco? Tutti sono expert brains: appartengono a quella categoria d’individui che, grazie a un allenamento estenuante, hanno sviluppato una particolare abilità tale che il cervello si è modellato di conseguenza. Antonio Cerasa non è nuovo a queste ricerche ”cervellotiche” e ha già conosciuto la notorietà mediatica mondiale con uno studio sul cervello dei sommelier. Ora ad ampliare le sue ricerche sono tanti cervelli a partire da quello dei cuochi. Un libro, il suo, che qualsiasi cervello è in grado di leggere e capire e che si avvale di un interlocutore: uno studente un po’ troppo curioso.



11 cuochi della Federazione italiana cuochi (badate, i cuochi sono coloro che dirigono un gruppo di cuochi in cucina) sono stati arruolati e non deve stupire il loro numero esiguo perché lo studio del cervello umano ha una grande affidabilità e attendibilità a livello statistico. Primo punto da capire: i cuochi hanno delle abilità particolari? Test neuropsicologici e risonanza magnetica hanno dimostrato che a livello di personalità tendono ad avere un grado più elevato di instabilità emotiva (livelli di ansia e impulsività più alti). Non solo, il loro cervello differisce da quello della popolazione perché hanno una maggiore densità di neuroni (le cellule del cervello) in tre particolari regioni: la corteccia somatosensoriale, il cervelletto anteriore e quello posteriore: alterazioni che si traducono in una maggiore super-abilità acquisita grazie all’allenamento.

Già abilità. Ma come fa un cuoco a tagliare velocemente le verdure senza guardare le mani e contemporaneamente parlare e dare ordini? Semplicemente perché i recettori che si trovano sotto la pelle delle mani inviano al cervello molte più informazioni rispetto una persona normale e questo è dovuto al fatto che i cuochi hanno allenato il cervello a lavorare molto con il tatto. Non solo quando un arto compie un atto motorio migliaia di volte quell’atto viene interiorizzato e si crea un modello interno che si sedimenta nel cervelletto. In altre parole il modello interno del ”tagliare le verdure” si è stabilizzato nel cervelletto e questo ha causato l’aumento di densità neuronale visualizzato dalla risonanza magnetica.
Questa maggiore densità neuronale si traduce nei cuochi in una maggiore abilità motoria e velocità operativa, addirittura correlata con la grandezza della brigata. Insomma, per un cuoco ”più persone sono abituate a essere coordinate nella mia cucina e più materia grigia possiedo”. Quindi per avere il cervello più sviluppato il cuoco non solo deve saper fare il blind cutting ma deve saper coordinare una brigata e coordinare i movimenti.

A livello culturale il cervello del cuoco non è assolutamente diverso da quello di una persona normale se non per una piccola ma significativa differenza: la “Programmazione cognitiva”. Il cervello del cuoco ha anche un’altra piccola cosetta: non solo una densità neuronale nella parte motoria anteriore ma anche cognitiva posteriore il che si traduce in una maggiore capacità di programmare, pianificare oltre a essere più veloci nell’immaginare. Insomma un expert brain.

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