Dopo le trattative, le attese, i compromessi e i sacrifici ora è il tempo delle certezze. Che si possano avere adesso in un periodo ancora instabile per via di contagi altalenanti e di una campagna vaccinale che non decolla è dura, ma che ognuno bussi alla porta del Governo per chiedere con urgenza una data per la ripartenza è più che lecito.
È quello che ha fatto Roberto Calugi, direttore generale di Fipe-Confcommercio, la Federazione italiana dei Pubblici esercizi, mandando un messaggio forte e chiaro (un altro) all’indirizzo della politica, nel giorno dell’audizione davanti alle Commissioni congiunte V e VI del Senato, impegnate nell’esame del Dl Sostegni.
i ristoranti vogliono sapere quando riapriranno
Non possiamo vivere nel limbo
«Il settore dei Pubblici esercizi - ha detto -
non può più vivere nel limbo, ostaggio di chi si lancia in improbabili fughe in avanti e di chi invece continua a frenare. È necessario dare alla categoria una
prospettiva di riapertura definitiva e per farlo occorrono una data certa e un nuovo protocollo di sicurezza redatto dal
Comitato tecnico scientifico, con l’ausilio degli operatori del settore. L’incertezza ci sta uccidendo, chiediamo di cominciare oggi stesso un percorso ben definito che ci porti nel più breve tempo possibile alla riapertura in sicurezza dei nostri locali. Dopo un anno di
sacrifici, meritiamo serietà».
Fipe aveva già preventivato questa richiesta nell’annunciare che il
13 aprile a Roma organizzerà un direttivo in piazza, a
Roma, come dimostrazione nei confronti del Governo, un’assemblea pubblica per farsi sentire e per far conoscere a tutti la
drammatica situazione in cui versa il settore.
«Troppo spesso - aggiunge Calugi - attorno alla riapertura dei
Pubblici esercizi, si combatte una battaglia politica che non fa bene a nessuno. Qui è in gioco il futuro di migliaia di imprenditori e di oltre un milione di lavoratori. Ci aspettiamo che il governo affronti il tema della ripartenza dei nostri locali così come ha fatto in passato per altre
categorie, prevedendo un piano preciso, misure stringenti e controlli a tappeto per punire chi non le rispetta. Le
vaccinazioni, seppur troppo a rilento, procedono. È il momento di compiere un passo avanti anche nelle riaperture dei Pubblici esercizi».
Persi già 243mila posti di lavoro
A causa delle chiusure il mondo dei pubblici esercizi - e quindi
bar, ristoranti, discoteche e imprese di catering e banqueting - hanno perso
243mila occupati rispetto al 2019, quando sfioravano il milione. A sparire sono stati principalmente cuochi, camerieri, barman e tra questi anche poco meno di 20 mila
apprendisti. Proprio i giovani pagano il conto più salato di questa crisi: 7 su 10 di coloro che hanno perso il lavoro hanno meno di 40 anni.
Almeno per quello che riguarda la
ristorazione a pagare il dazio più alto in termini di occupazione nell’intero 2020 son state le regioni del
Centro Italia, Toscana e Lazio in testa, dove gli occupati sono scesi del 27,6%, seguite a ruota dalle regioni del Nord Ovest, dove il crollo si è fermato mediamente al 25,8%.
Numeri che emergono da un altro rilevamento Fipe sulla nascita e mortalità di ristoranti, bar,
catering secondo cui - sempre tenendo come riferimento l’intero 2020 - a fronte di 9.190 nuove attività avviate ne sono state chiuse 22.250.
Il crollo generale
Ma la crisi è generale. Secondo l’
Istat sono quasi un milione gli italiani che hanno perso il posto di lavoro tra febbraio 2020 e febbraio 2021; per la precisione ne sono stati registrati 945mila con un calo dell’occupazione pari al 4,1%.
La diminuzione non conosce sesso né tipologia di lavoratori, coinvolge
uomini e
donne, dipendenti (-590mila) e autonomi (-355mila) e tutte le classi d'età. Il tasso di occupazione scende, in un anno, di 2,2 punti percentuali toccando il 56,5%.
«Un crollo dei consumi pari, nel 2020, a 128 miliardi di euro - ha ricordato
Enrico Postacchini, membro di Giunta con incarico “
Commercio e Città”, in occasione dell’audizione di Confcommercio in Senato - un rischio chiusura di circa 300mila imprese del commercio al dettaglio non alimentare e del terziario di mercato, delle quali 240mila in diretta conseguenza della crisi di reddito e di liquidità, cui occorre sommare una stima di riduzione del
lavoro autonomo, ordinistico e non ordinistico, di circa 200mila unità».
«Ne traiamo ragione - ha proseguito - sia per ribadire l’ormai evidente
insostenibilità economica e sociale del ricorso al modello del ‘più chiusure’ e la necessità assoluta del decollo operativo della campagna di vaccinazione, sia per tornare a sottolineare l’esigenza del deciso rafforzamento - entro ed oltre il perimetro del decreto ‘
Sostegni’ - delle risorse dedicate ai ristori che verranno riconosciuti ad imprese, professionisti e partite Iva a fronte delle perdite di fatturato medio mensile registrate nel 2020 rispetto al 2019».
Qualcosa di buono è stato fatto, ma ancora non può bastare. «Certo - ha osservato - è stato archiviato il
meccanismo dei codici Ateco e sono stati stanziati per questi interventi circa 11 miliardi di euro sui 32 complessivamente mobilitati dal decreto. Ma i soggetti interessati - pur tenendo conto dei filtri selettivi per l’accesso agli indennizzi - sono nell’ordine dei 3 milioni. Si stima così che il ristoro medio, che assume come base di calcolo un solo dodicesimo della caduta del
fatturato annuo, sarà di circa 3700 euro. Non ci siamo e, dunque, lo ribadiamo: servono ristori più adeguati in termini di risorse, più inclusivi in termini di parametri d’accesso e che tengano conto anche dei
costi fissi, più tempestivi in termini di meccanismi operativi».
Sono esigenze (adeguatezza, inclusività, tempestività) - si sottolinea nella memoria di
Confcommercio - che valgono anche per le misure dedicate a turismo, montagna e cultura, professioni. Quanto ai trasporti, occorre sostenere tutto il sistema dell’accessibilità non limitandosi al solo trasporto pubblico locale. Sul versante degli
ammortizzatori sociali, bene la proroga della Cassa Covid - di cui va, però, assicurata la continuità rispetto al ciclo di prestazioni precedenti - e l’ulteriore finanziamento del fondo per il parziale esonero contributivo di lavoratori autonomi e
professionisti.