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Ludovico il Moro e le oche degli “Zudei”

Eugenio Medagliani
di Eugenio Medagliani
03 maggio 2015 | 15:19



Este era una piccola contea data in feudo verso la fine del 900 dall’imperatore Ottone I a un conte, Azzo di Canossa, antenato della famosa Matilde di Toscana. Ferrara era allora poco più di un borgo. Ma la geografia la favoriva, e gli Estensi seppero sfruttare con molta accortezza questo privilegio.



Come tutti i signori del loro tempo, non erano afflitti da molti scrupoli, ma più che avidi di sangue erano avidi di soldi. Con i danari accumulati, 500 anni dopo (nel 1441 il marchese Borso, signore di Ferrara, comprò dall’Imperatore la promozione a Duca di Modena e Reggio e nel 1452, con una manovra costosa, lunga e complicata, Borso fu riconosciuto Duca anche di Ferrara. Nel 1471 a Borso successe fratello Ercole, munifico e magnifico, colto, brillante e raffinato, grazie al quale Ferrara diventò, in pochi anni, una delle città più moderne, funzionali e razionali d’Europa.

Questa introduzione è utile per spiegare ai lettori i rapporti allora esistenti tra il signore di Ferrara (Ercole I) e gli Sforza di Milano.

Nel carteggio degli Ambasciatori, conservato nell’Archivio di Stato di Modena, vi sono due missive inviate da Jacopo Trotti, ambasciatore estense alla Corte milanese, che rappresentano una golosità per coloro che si sono tramandati l’arte culinaria dei salami d’oca.

Dalla prima di queste lettere, inserita tra complesse questioni di Stato, di dote, di precedenze, di trasferimento della comitiva da Ferrara a Milano, lungo il Po e il Ticino, per partecipare alle nozze di Ludovico il Moro con la quattordicenne Beatrice d’Este nell’anno 1491, uno degli avvenimenti mondani più clamorosi del secolo, risulta che Ludovico ha avuto sentore più volte (più fiate) di certe magnifiche oche che a Ferrara si allevano maxime par li zudei (soprattutto dagli ebrei) le quali hanno un bellissimo, grasso figato (cioè fegato, dal latino figatum, farcito di fichi). Ottime da mangiarsi secondo il modo di ammannirle (conzarle) che si usa a Ferrara. Ne ha specialmente riferito a Ludovico il suo messaggero, un Visconti, che le ha mangiate in loco e trovate deliziose. Voglia dunque il Duca di Ferrara fargliene avere le più belle che può, con l’indicazione di come Sua Signoria le prepara e le cucina (denotando come epsa li fa conzare per manzare).

La richiesta è datata da Milano, 9 dicembre 1490. La seconda lettera è di undici giorni più tardi: le oche e i fegati sono giunti, e ve scio dire che (posso dirvi che), l’Illustrissimo Ludovico ha gradito in modo superlativo il dono, accompagnato dalle istruzioni per la cottura; e ha mostrato oche e fegati, perché li ammirassero (per uno miraculo) al Duca Gian Galeazzo in nome del quale Ludovico governava. “Vedete - ha detto il Moro - con quanta dimestichezza il mio signor suocero mi manda doni degnissimi”.

L’ambasciatore Trotti ha predisposto il tutto secondo le istruzioni del Duca di Ferrara e ne riceve in cambio un barilotto di Moscatello de taglio zenovese (forse un vino delle Cinque Terre). La lettera del Trotti, che continua con notizie di ben diverso genere, è datata da Vigevano 20 dicembre 1490.
Si trattava forse del primo foie gras? O solo di salame di fegato? “Molto si è scritto sulle strette relazioni tra l’oca e il mondo ebraico, dove questo palmipede ha sicuramente ricoperto un ruolo simile a quello del maiale nella cultura cristiana”.

Così scrive Rossano Nistri nella prefazione del libro “L’oca”, edito Bibliotheca Culinaria, con 34 ricette di Germano Pontoni. Ed aggiunge: “Molti documenti attestano che per tutto il Medioevo e in taluni casi sino alla fine del XIX secolo, nei ghetti abitassero i più importanti allevatori e commercianti di carne e di prodotti derivati dall’oca. Se non è facile attribuire con certezza alla cultura ebraica, la paternità del foie gras, dei salumi d’oca e della cassoeula d’oca, alcuni documenti storici portano a ritenere che gli ebrei fossero i soli a conoscere il segreto per ingrassare le oche da fegato, il che non significa che fossero i soli ad ingrassarle, ma che le ingrassavano meglio degli altri.
Ciò che nel XVI secolo per i francesi cominciava ad essere foie gras, in Italia si chiamava soltanto fegato, ma si trattava sostanzialmente dello stesso prodotto e lo si ritrova ancora oggi, assieme al paté da esso ricavato, nella cucina giudaica novarese, mantovana, veneta, triestina, livornese e romana”.

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