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Sfatiamo il mito del pesce selvaggio

di Valentina Tepedino
03 maggio 2015 | 15:54



Il settore dell’acquacoltura è notevolmente cresciuto in questi ultimi 20 anni sia per quantità - nel 2012 rappresentava già il 47% della richiesta ittica a livello mondiale (FAO 2014) - sia per qualità con allevamenti sempre più sostenibili ed equiparabili agli habitat naturali (es. gabbie galleggianti a mare).
Difficile riuscire a dare una definizione univoca del concetto di “qualità” dei prodotti di acquacoltura. A prescindere da quello che può essere considerato come il requisito di base, ossia la freschezza, sono difatti molti i parametri che devono essere tenuti in considerazione: dalla specie ittica al metodo di allevamento a quello di uccisione al sistema di stoccaggio.



Inoltre, sarebbe interessante ed opportuno confrontare ed indagare in modo più approfondito tra quelli che sono percepiti dal consumatore come caratteri di qualità e quelli che sono considerati dai tecnici specializzati come tali. Una indagine dell’API (Associazione Piscicoltori Italiani) che conta circa 300 imprese di acquacoltura, dunque quasi il 90% della produzione italiana, ha evidenziato infatti che l’interesse del consumatore è rivolto essenzialmente:
1) alle garanzie qualitative e sanitarie di un prodotto allevato;
2) su come questo viene presentato sul mercato.

Per quanto riguarda il primo punto le informazioni che sono risultate essere di maggior interesse per il consumatore sono state quelle relative alla tracciabilità di filiera e al tipo di alimentazione utilizzata. Per quanto riguarda il secondo punto invece l’attenzione del consumatore si è dimostrata decisamente rivolta alla valutazione delle caratteristiche macroscopiche e di freschezza dei prodotti.





Il rombo oggi è uno dei principali prodotti allevati in commercio ed è tra quelli che hanno raggiunto i migliori standard di qualità. Solo esteriormente il rombo allevato riporta ancora sul fronte e sul retro una serie di variazioni cromatiche che lo distinguono, ad un occhio esperto ,rispetto al rombo di pesca

Traendo spunto da questa originale indagine dell’API e da molto del materiale ad oggi esistente relativamente alla valutazione qualitativa dei prodotti di acquacoltura vorremmo fornire al nostro lettore alcune informazioni in più e criteri utili ad effettuare una scelta il più possibile consapevole.

Una recente indagine di Eurofishmarket ha anche dimostrato che difficilmente il consumatore si rende conto della differenza tra un prodotto di pesca ed uno di allevamento ed anzi, paradossalmente, tende a preferire quest’ultimo poiché lo consuma nel suo quotidiano e si è dunque abituato al suo gusto. Molti noti chef sono riusciti invece a riconoscere come migliori i pesci selvaggi se assaggiati contemporaneamente a quelli di allevamento. Al contrario però hanno dato un punteggio molto elevato ai pesci allevati quando valutati separatamente. Questo dimostra principalmente che permangono dei pregiudizi nei confronti del pesce di allevamento non sempre motivati poiché, a seconda del prodotto, oggi sia dal punto di vista sensoriale che nutrizionale, le differenze si stanno sempre di più riducendo.

Per fare un esempio tra tutti: oggi i pesci allevati in modo corretto non hanno più grasso intorno ai visceri e nella pancia ed i colori della livrea ed il valore nutrizionale sono praticamente equiparabili al prodotto pescato.

Il caso orata “Pazza”
Certamente gli ultimi allarmi dati dai media in materia di allevamento non hanno aiutato la sua reputazione ed hanno ulteriormente confuso il consumatore. Tra gli allarmi di stampa più eclatanti ricordiamo quello sull’allarme “orata pazza” ripreso da diversi servizi televisivi e da diverse testate giornalistiche. Gli “allarmi” sono stati lanciati in previsione dell’entrata in vigore di una norma che prevedeva il reinserimento di alcune farine animercato mali (per es. avicole) per l’alimentazione dei pesci. Sono quindi co-prodotti derivanti dalla lavorazione di animali ovviamente destinati al consumo umano, sottoposti a cottura, essiccazione e macinazione così come le farine di pesce.

Sono state riammesse perché si tratta di materie prime sicure e di ottima qualità nutrizionale. Dal punto di vista della sostenibilità, è necessario non sprecare risorse che possono essere utilmente impiegate per produrre alimenti per l’uomo, riducendo la pressione sulle risorse non rinnovabili come gli stock di pesce selvatico. La riammissione arriva dopo 10 anni di studio e valutazione, che hanno confermato l’assenza di rischi per la salute umana ed animale. In altri Paesi extra UE si sono sempre utilizzate queste farine. Non solo in Paesi del Mediterraneo come ad esempio la Turchia (da cui abbiamo sempre importato spigole e orate), ma anche in altre aree da cui importiamo ad esempio salmoni (Cile, Canada) come pure in USA e in Australia e naturalmente in Asia.


Anche i saraghi possono essere allevati. 1. A sinistra un sarago di pesca e a destra uno di allevamento apparentemente poco distinguibili. 2. Il pacchetto viscerale mette in evidenza una maggiore quantità di grasso nel prodotto allevato poiché se gli impianti sono intensivi il pesce si muove meno

L’utilizzo di proteine animali trasformate nel mangime non ha alcun effetto sulla qualità del pesce allevato, quindi non esiste metodo analitico che differenzi i prodotti alimentati in un modo o nell’altro. Le ragioni per le quali si tratta di prodotti utili nell’alimentazione dei pesci allevati sono in sintesi il valore nutrizionale, la sicurezza alimentare e la sostenibilità. Si tratta di un’ottima risorsa proteica e di elementi minerali ottenuta da scarti che potrà contribuire a ridurre la pressione esercitata dall’Acquacoltura sull’utilizzo competitivo di materie prime alimentari animali e vegetali destinate all’alimentazione umana, con ovvi benefici anche per l’ambiente.

Gli allevamenti sono sostenibili?
Proprio in materia di ambiente molti consumatori e ristoratori considerano l’allevato poco sostenibile. Come detto più sopra, a partire dai mangimi, dalle basse densità di pesci allevati per metro cubo di acqua, dai nuovi sistemi di gestione dei parametri ossigeno e temperatura, dalla pulizia delle reti, dalle aree geografiche selezionate adibite ed autorizzate allo scopo, oggi gli impianti di acquacoltura rappresentano sempre più dei sistemi di produzione controllata e sostenibile e la ricerca è tutta mirata ad ulteriori miglioramenti.

Chiaramente il ristoratore dovrà essere attento a selezionare il fornitore in base ai parametri sopraindicati richiedendo magari anche il capitolato di produzione utile a meglio comprendere la qualità del prodotto finito anche al fine di poterlo spiegare meglio al proprio cliente e dunque tutelarlo.
Per approfondimenti: www.eurofishmarket.it

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