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Quando il panettone diventa una questione di sostanza (e di legge)

Tradizione, scienza e legge si incontrano nel dibattito sul panettone attraverso le voci di Domenicantonio Galatà e Selena Vacca. Burro, ingredienti e processi non sono dettagli ma elementi essenziali che definiscono identità, struttura e correttezza del prodotto. Tra false innovazioni, claim nutrizionali e norme precise, chiamare panettone ciò che è davvero panettone diventa un atto di trasparenza verso il consumatore

di Redazione Italia a Tavola
22 dicembre 2025 | 17:28
Quando il panettone diventa una questione di sostanza (e di legge)

Ogni Natale torna puntuale il dibattito sul re dei lievitati. E districarsi nella ricerca del panettone “giusto” diventa difficile. Radici o cambiamento? Custodire o trasformare? Ma forse la vera domanda è un’altra: quanto contano le parole con cui raccontiamo ciò che mangiamo? A portare il discorso su un piano concreto e meno ideologico è Domenicantonio Galatà, biologo e divulgatore scientifico, che invita a distinguere tra legittima sperimentazione e confusione concettuale. Il punto di partenza è semplice: il panettone, per definizione, si fa con il burro.

Quando il panettone diventa una questione di sostanza (e di legge)

Struttura, elasticità e incorporazione dell’aria dipendono dall’equilibrio tra ingredienti e tecnica

Burro e panettone: una questione tecnica e scientifica

Come spiega Galatà: «Se al posto del burro mettiamo l’olio - qualunque olio - stiamo facendo un altro prodotto. Magari buono, magari interessante, magari anche vendibile. Ma non è panettone. E questo non è un vezzo da puristi: vale per il panettone come vale per il cioccolato, che per essere tale deve avere determinate percentuali di burro di cacao. Cambi il grasso, cambi la struttura, la chimica, la fisica e il nome del prodotto».

Quando il panettone diventa una questione di sostanza (e di legge)

Il burro non è il grasso tecnologicamente più adatto all’impasto del panettone.

«Il burro non è stato scelto per caso -  continua -  È il grasso ideale per questo tipo di impasto per una serie di motivi molto concreti, quali: struttura solida a temperatura ambiente, punto di fusione compatibile con la lavorazione e la lievitazione, interazione corretta con glutine, zuccheri e uova, plasticità che consente l’incorporazione dell’aria, stabilità tecnologica durante la cottura. Sostituirlo con altro non è un semplice switch nutrizionale. È una forzatura tecnologica».

Innovazione o snaturamento del prodotto?

E allora chiediamocelo davvero: perché sostituire il burro in un impasto dove è il grasso perfetto? Per fare ricerca? Per inseguire una presunta innovazione? O solo per poter scrivere altri ingredienti in etichetta? È questa l’innovazione di cui abbiamo bisogno?

Quando il panettone diventa una questione di sostanza (e di legge)

Domenicantonio Galatà, biologo e divulgatore scientifico

Risponde Galatà spiegando che «Se con “innovazione” significa snaturare un prodotto per rincorrere un messaggio nutrizionale semplificato, forse abbiamo perso la direzione. Perché c’è una possibilità molto più sensata - e scientificamente coerente - che raramente viene esplorata: usare il burro per ciò che serve e aggiungere, dove ha senso, i composti bioattivi dell’olio, vitamine liposolubili, polifenoli».

Panettone “light” e nutrizione: un’illusione?

«C’è poi un aspetto che raramente viene affrontato con onestà: il contesto di consumo - tiene a precisare Galatà -  Pensare che una fetta di panettone “light” possa rappresentare un reale vantaggio di salute è, nella migliore delle ipotesi, illusorio. Il periodo natalizio è, per definizione, caratterizzato da: eccesso calorico, surplus di zuccheri, alcol, pasti ravvicinati. In questo scenario, la sostituzione degli ingredienti non riequilibra nulla. Non compensa. Non corregge. Non “salva” il profilo nutrizionale del Natale. Forse, a un certo punto, anche i nutrizionisti hanno esagerato. Ma oggi possiamo dirlo: hanno esagerato anche i pasticceri e i produttori, inseguendo il claim più che il buonsenso».

Gli aspetti legislativi: perché il nome è una garanzia per il consumatore

Selena Vacca, esperta di legislazione agroalimentare, sposta il fuoco della discussione su un terreno spesso sottovalutato: le parole, i nomi, le denominazioni di vendita. Perché il problema non è solo cosa c’è dentro un alimento, ma come lo chiamiamo. E no, non si tratta di un dettaglio da burocrati.

Quando il panettone diventa una questione di sostanza (e di legge)

Selena Vacca, esperta di legislazione agroalimentare

«Le denominazioni di vendita - spiega - non sono un esercizio linguistico né un freno all’innovazione, ma uno strumento di trasparenza. Servono a dire al consumatore, in modo chiaro e non ambiguo, che cosa sta comprando davvero. In questo discorso la disciplina della produzione e della vendita dei prodotti dolciari da forno (espressa nel decreto ministeriale 22 luglio 2005) fuga qualsiasi dubbio semantico perché offre una definizione incontrovertibile di panettone. La norma ci dice infatti che il panettone è un prodotto dolciario da forno a pasta morbida, ottenuto per fermentazione naturale, di forma a base rotonda con crosta superiore screpolata e tagliata in modo caratteristico. Ha una struttura soffice ad alveolatura allungata, con il tipico aroma acido della sua lievitazione».

Ingredienti obbligatori e limiti di legge

«Ma non solo - continua Vacca - Il quadro vigente regola gli ingredienti, tutti dettagliati in un elenco da cui è vietato discostarsi: farina di frumento, zucchero, uova di gallina di categoria A o tuorlo d'uovo derivato da uova di gallina, sempre di categoria A, burro ottenuto direttamente ed esclusivamente dalle creme di latte vaccino (con un apporto in materia grassa butirrica in quantità non inferiore al sedici per cento), uvetta e scorze di agrumi canditi (in quantità non inferiore al 20%), lievito naturale costituito da pasta acida, sale. È consentita solo qualche lieve variazione sul tema: il produttore può aggiungere ingredienti come latte, miele, malto, burro di cacao, alcuni emulsionanti o conservanti e - udite, udite - è possibile derogare alla presenza a tutti i costi di uvetta e agrumi canditi nell’impasto».

Quando il panettone diventa una questione di sostanza (e di legge)

Ingredienti base del panettone

Tradizione, mercato e fiducia

La legge non tutela la tradizione in senso romantico, ma la correttezza del mercato. Se un prodotto richiama, nel nome, una preparazione codificata, deve rispettarne i requisiti essenziali. Ed è per questo che il DM del 2005 definisce anche i processi di produzione e le singole fasi di lavorazione del panettone. Nulla è lasciato all’improvvisazione. Chiamare correttamente gli alimenti, insomma, è ben più di un tema legale: è un atto di rispetto verso il consumatore e verso le filiere produttive. Perché la chiarezza genera fiducia, e la fiducia sta la base di qualsiasi scelta consapevole», conclude Vacca.

Quando il panettone diventa una questione di sostanza (e di legge)

Il panettone va letto anche nel suo reale contesto di consumo: quello delle feste

In definitiva, parlare di panettone significa parlare di equilibrio tra tradizione, tecnica e trasparenza. Non si tratta solo di ingredienti o di gusti, ma di rispetto per il consumatore, per la filiera produttiva e per la scienza alimentare. La vera innovazione non è cambiare ciò che rende unico il panettone, ma valorizzarlo con consapevolezza, senza creare confusione tra ciò che è autentico e ciò che è solo una reinterpretazione.

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