Quotidiano di enogastronomia, turismo, ristorazione e accoglienza
lunedì 29 aprile 2024 | aggiornato alle 19:17| 104872 articoli in archivio

Léveillé, chef “anti-divo”, si racconta «Sono un francese… che cucina italiano»

Philippe Léveillé, autore dell’autobiografia culinaria “La mia vita al burro”, si racconta per la prima volta, parlando della sua passione per il burro, che lo lega alla sua terra d’origine, e per la cucina italiana

Emanuela T. Cavalca
di Emanuela T. Cavalca
05 novembre 2015 | 14:31

Philippe Léveillé (nella foto) si presenta al pubblico con un romanzo culinario. “La mia vita al burro” non è una banale raccolta di ricette, ma la storia avventurosa della sua vita. Ha accettato di raccontarla per la prima volta, ripercorrendo tutte le tappe che l’hanno portato da Nantes in Francia a Concesio (Bs) e Hong Kong, dalla preparazione della galette bretone alle stelle Michelin. L’ha convinto Mauro Defendente Febbrari, suo amico ed estimatore: il medico e nutrizionista ha scritto un’appendice, dove racconta la storia del burro. Nasce nel Seicento nei paesi del nord, ma curiosamente è preferito dalla nobiltà dell’epoca, soprattutto nel meridione.

Philippe Leveille

Philippe Léveillé è sicuramente un anti-divo, nonostante i successi e le stelle Michelin 2 a Concesio e una a Hong Kong, si presenta al pubblico senza troppi fronzoli. Attraverso queste pagine ripercorre le tappe della sua vita professionale dall’infanzia in Bretagna, la decisione di diventare chef, la prestigiosa scuola alberghiera di Saumur e poi le peregrinazioni culinarie in giro per il mondo. Léveillé ci trasporta con la fantasia in tre continenti: cuciniamo in grandi alberghi e ristoranti, su yacht e barche a vela, in Somalia, Etiopia e Yemen per la Croce Rossa e in Italia. Nonostante il burro spesso sia messo all’indice dai medici, Philippe non lo dimentica mai. D’altra parte come si fa a rinnegare le proprie origini?



«Me lo faccio arrivare tutte le settimane dalla Normandia, dove ho ancora tutta la mia famiglia - racconta Léveillé - là dove le mucche vivono all’aperto, si ottiene un burro morbido, dal colore giallo intenso e profumato. Qui la tecnica produttrice è diversa, non si centrifuga, ma si raccoglie in superficie. Impossibile cucinare con un burro diverso, anche se di malga, ha sempre un retrogusto di formaggio… Il burro è ciò che rimane della mia terra, poi dall’Italia sono passato in Cina, dove ho aperto un ristorante a Hong Kong e Shangai… Insomma mi considero un cittadino felice, un francese… che cucina italiano. Ho nel cuore l’Italia, tanto è vero che ho portato con successo il mio risotto Miramonti anche in Oriente, nonostante pareri contrari».

© Riproduzione riservata