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Ristoranti e alberghi, ci si lamenta invece di fare una strategia comune

L'hotellerie spesso non si attiva in investimenti utili, la ristorazione si affida a vecchi mezzi di comunicazione. Meccanismi che appartengono ad un'epoca precedente al coronavirus. È tempo di ripensare alle proprie strategie, partendo dalle basi, marciando insieme, promuovendosi tramite le nuove tecnologie.

Vincenzo D’Antonio
di Vincenzo D’Antonio
14 luglio 2020 | 08:30
Ristoranti e alberghi, ci si lamenta 
invece di fare una strategia comune

Giorno più giorno meno, tra chi è scattato appena gli è stato consentito e tra chi forse con maggiore saggezza ha atteso qualche giorno in più, ai fini di quanto ci si accinge a trattare, possiamo ben dire che in questa settimana finisce “la quarantena della riapertura”. Insomma, sono all’incirca sei settimane che il settore Horeca si è riproposto nell’esercizio delle sue attività.

Ristoratori e albergatori si lamentano: sfugge loro la strategia da adottare post-covid - Ristoranti e alberghi, ci si lamenta invece di fare una strategia comune

Ristoratori e albergatori si lamentano: sfugge loro la strategia da adottare post-covid

Dall’analisi meditata di queste prime sei settimane, emerge una constatazione molto amara. Fatte salve rare eccezioni, gli operatori hanno ignorato ciò che, con lodevole pregio di sintesi e di elementare quanto forte e inequivocabile chiarezza, afferma Jack Ma. Jack Ma è una delle persone più ricche e influenti della Cina e del mondo. È il fondatore e azionista di riferimento di Alibaba. Qual è il saggio pensiero di Ma che è stato scelleratamente disatteso? Eccolo: “Il tetto si ripara quando c’è il sole”.

Nessun investimento serio e mirato, a lasciare intendere la condivisione di una strategia con i principali stakeholders, da parte degli operatori Horeca in nuove tecnologie fu fatto negli anni recenti di sole splendente. Adesso assistiamo ai lamenti degli albergatori.



Vogliamo, armandoci di grande umiltà e di quella dote rara definita “onestà intellettuale”, chiederci se come sistema Paese abbiamo una destinazione turistica che possa definirsi tale secondo le indicazioni precise della Unwto (United Nations World Tourism Organization)? Le indicazioni - a dimostrazione che le cose nascono semplici e sta alla protervia di chi rema contro complicarle - sono soltanto tre e ciascuna sollecita come azione cardine, azione dalla quale non si può prescindere, il “coordinare”:
•    coordinare le politiche di promozione e di accoglienza;
•    coordinare le risorse turistiche (formazione degli addetti inclusa);
•    coordinare i servizi e le infrastrutture.

Ciò detto, e ribadendo che tutte e tre le indicazioni devono sussistere, la domanda, senza alcuna valenza retorica, viene qui asetticamente riproposta: “Esiste nel nostro Paese una destinazione turistica?”.

Posto che tutto il Belpaese, laddove di più e laddove di meno, è un territorio attrattivo per il turismo mondiale, siamo noi tutti in quanto cittadini di questo Paese nella propensione d’animo di sentirci ambasciatori, sentinelle, promotori, valorizzatori del territorio nel quale abbiamo la fortuna di vivere?

Però l’involucro è stato lestamente predisposto, si chiama Dmo (Destination Management Organization) ed è servito a creare poltroncine, sedie, sgabelli e strapuntini. Si tratta di rendere praticabile la Dmo con una sua metodologia mediante la quale addivenire ad un modello di governance e quindi ad un efficace ed efficiente funzionamento dei soggetti abilmente organizzati. Libro dei sogni?!

Anche i ristoratori si lamentano.

È stata già abrogata la norma che obbliga i ristoratori a controllare la temperatura degli avventori al momento del loro ingresso indoor e a prendere un loro recapito che li renda contattabili? Probabilmente sì, dacché non risulta che accada. Ecco, e qui davvero siamo all’assurdo. Passi per il termoscanner: è un costo acquisirlo, è un costo adoperarlo e se fatto senza la convinzione che sia atto dovuto a beneficio della comunità, diviene momento inelegante e imbarazzante. E prendere recapito e generalità? Ma ci si rende conto che questa norma significa per il ristoratore ottenere “oro” gratuitamente? Come si fa a non capire che ottenere informazioni di tale tipo, informazioni che mi consentono legittimamente (è sufficiente una manleva da far sottoscrivere) di gestire i dati relativi al cliente è il carburante dell’attività del ristorante? La non comprensione di come questi provvedimenti cagionati dalla pandemia possano commutarsi in opportunità è suicidio dell’intrapresa.

Con la necessaria onestà intellettuale e con le competenze sempre crescenti da acquisire, il ristorante è attività che ha suo brillante futuro. Ah, un momento, con un solo piccolissimo dettaglio: di sicuro non è il ristorante di prima del covid-19! È cambiato il paradigma della domanda, stanno cambiando i comportamenti dei fornitori, sono mutate le condizioni delle banche.

Quindi, chi da un lato chi dall’altro, sia gli albergatori che i ristoratori si lamentano.

Viviamo nell’incertezza totale e scontiamo la disattesa di quanto il succitato Jack Ma saggiamente dice: “Il tetto si ripara quando c’è il sole”. Ma adesso ci rendiamo conto in quale situazione ci troviamo? Non stiamo riparando il tetto neanche adesso che, non diciamo che c’è il sole, ma diciamo che pur essendo nuvoloso, comunque è cessato l’uragano. Restiamo imperturbabili a volgere lo sguardo al passato nella speranza chimerica che esso ritorni.

Albergatori e ristoratori, state valutando offerte turistiche innovative? State valutando approcci di promozione che siano sensibili e non ciecamente indifferenti su quanto è avvenuto? Alla fine, a mo’ di calice amaro che funga ad espiazione di peccati di omissione, ci si rifugia comunque in rimedi che addirittura il male lo aggravano: la pubblicità a pagamento su media che non legge più nessuno, il ricorso ad uffici stampa improvvisati e pr improbabili che però, vuoi mettere, ti parlano di social media e di comunicazione multichannel...

Ma sappiamo almeno cosa vogliamo promuovere? Abbiamo raccontato almeno a noi stessi qual è la nostra strategia? Non è che alla fin fine il vero obiettivo low profile di questa estate è “proviamo a riempire gli 11 weekend estivi che ci restano e poi... si vedrà”?! E tutto questo senza volere neanche cominciare a riflettere, non osiamo dire a trarne convincimento, che i prerequisiti delle soluzioni stanno nelle fruizioni sapienti delle nuove tecnologie abilitanti?

Non proprio il primo che passa, bensì un certo Philip Kotler, uno dei massimi esperti mondiali del management, un giovanotto non ancora novantenne (i 90 anni li compie l’anno prossimo), ha di recente scritto: «Le imprese dovranno ripensare le loro strategie relative a prodotti e servizi, nonché la pianificazione della comunicazione e i relativi output. Dovranno fare ricerca sui cambiamenti emergenti negli atteggiamenti e nei comportamenti dei consumatori causati dal coronavirus. Dovranno decodificare un nuovo panorama di concorrenti. Le imprese potrebbero dover rivedere la loro value proposition, le linee di prodotti, i segmenti di mercato e le aree geografiche servite».

Siamo al cospetto di un immenso e necessario lavoro da sviluppare insieme. “Insieme”, questa parola densa di significato profondo che evocò anche Papa Francesco nella domenica di una Pasqua disperata e nel contempo piena di “voglia di speranza e di futuro” come fu la Pasqua di questo annus horribilis 2020.

Magari, a correre da soli, ciascuno per un breve tratto va più veloce dell’altro. Ma se tutti si vuole andare lontano, non c’è niente da fare: si marcia insieme.

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