Quotidiano di enogastronomia, turismo, ristorazione e accoglienza
venerdì 19 dicembre 2025 | aggiornato alle 15:13| 116442 articoli in archivio

A tavola con Massimo Ranieri: inno ai sapori semplici in cucina e nella vita

Jerry Bortolan
di Jerry Bortolan
11 maggio 2021 | 13:07

Massimo Ranieri ha imparato a nuotare, ma non a cucinare. Però gli piace la cucina della mamma e quella della sua terra. Con l’arrivo della pandemia e i lockdown successivi si sono bloccate tutte le attività commerciali, cinematografiche, teatrali e musicali, ma non la possibilità di incontrarsi, anche se solo in due. Cosa che ho proposto a Massimo Ranieri al sicuro nel suo attico panoramico che si affaccia sul lungotevere per un caffè “alla napoletana” - fatto da lui che dice di non saper fare altro. Una chiacchierata fuori dalle righe su alcuni momenti belli del passato e sui piaceri della vita, sui suoi futuri impegni, ma con la promessa di non parlare dell’orribile momento e degli enormi problemi causati dal Covid 19.

Massimo Ranieri A tavola con Massimo Ranieri Inno ai sapori semplici

Massimo Ranieri



Allora Massimo, visto che durante il lockdown chiusi in casa l’occupazione maggiore è stata quella di impegnarsi tra i fornelli, tu hai provato a cucinare?
No, non sono buono a niente. Come tutti gli scapoli, so fare un piatto di pasta, una bistecca, non più di questo. Molto scatolame. L’altro giorno è venuto a trovarmi un caro amico e, dopo aver parlato di lavoro, abbiamo mangiato cose ignobili, che lui ha comunque apprezzato visto che è un altro “scatola mista”.

Da uno a dieci, quanto ti piace il cibo?
Undici. È il mio passato che emerge con le minestre di mamma, pasta e patate, pasta e fagioli, pasta e piselli, pasta e cavolo, pasta e zucca: tutte cose di una difficilissima semplicità. La semplicità non è facile. Quando uno dice “è una persona semplice” non significa che è poco sveglia. Semplice non è sinonimo di co…. Significa invece possedere un bagaglio di qualità come possiede un bagaglio di cultura il piatto di patate che fa mia madre.

In cucina Ranieri ama la semplicità A tavola con Massimo Ranieri Inno ai sapori semplici
In cucina Ranieri ama la semplicità


Inno alla semplicità: in cucina come nella vita

Questa è la convinzione e il piacere della tavola di Massimo e io ne condivido la certezza che il cibo semplice della tradizione, che poi è quello di casa realizzato con semplici ingredienti, è amato da molti personaggi dello spettacolo e cantanti campani. Per loro, uno spaghetto con la salsa di pomodori rossi e maturi del piennolo e basilico, è il massimo e dicono “non c’è trippa pe’ gatti” battuta storica per dire che sono insuperabili per l’intenso profumo e gusto. Qualche buongustaio invidioso che non può accedere a questi prodotti, direbbe che sono dei provinciali gastronomicamente parlando. Ma ci sono anche fini gourmet nel mondo delle star del cinena, come ho potuto constatare con John Travolta, quando mi ha invitato ad andare a Londra per testare la cucina del suo chef a bordo del suo aereo personale, vantando anche di avere una cantina con 300 etichette.

John Travolta e Jerry Bortolan A tavola con Massimo Ranieri Inno ai sapori semplici
John Travolta e Jerry Bortolan



Ma a te, l’alta cucina quella creativa dei grandi chef, ti interessa, ti emoziona?
No. Per quanto mi riguarda, e credo che valga anche per i miei colleghi, con il lavoro che si fa, sempre in giro per l’Italia e nel mondo, ci si abitua a mangiare toast e panini. Nei primi tempi dei miei molteplici impegni in tutta Italia, non ricordo quanti cappuccini e buondì Motta ho mangiato perché la notte tornavo dai concerti e trovavo tutto chiuso. Parlo di una Italia che fu, naturalmente. Adesso, in qualsiasi città trovi sempre la yogurteria, pizzerie, paninoteche, un buco qualsiasi per mangiare, anche di notte, un panino con un po’ di formaggio. All’epoca mia, si mangiava veramente il buondì Motta, oppure dei toast del giorno prima: una cosa terrificante.

Dalla cucina ai ricordi

Dalla cucina siamo passati ai ricordi del passato prossimo, abbiamo ricordato uno dei suoi più importanti concerti di sempre che è stato: “Canto perché non so nuotare”. Un Music Hall di grande impatto emozionale per la sua grande ed eclettica bravura e allestimento coreografico di grande successo superando le 300 repliche in tutta Italia. Insomma, un prodotto musicale che avrebbe trionfato anche a Broadway, come ebbe a dire un critico americano del New Yorker che lo aveva visto al teatro Sistina di Roma. E la prima domanda spontanea non poteva che essere quella di chiedergli:

Ma poi, hai imparato a nuotare?
Sì, ho imparato. Nuoto in maniera orrenda, però ho imparato: l’importante è restare a galla, in tutti i sensi.

L’incontro più significativo della tua vita. Con chi è stato e dove?
È stato più di uno. Sicuramente con Giorgio Strehler. Mi sono sempre considerato fortunato di aver imparato da un uomo così.

Che cosa ti ha insegnato Strehler?
La severità, l’attaccamento a una cosa formidabile come il teatro: finzione, ma una grande verità nella finzione e una grande finzione nella verità. La disciplina in questo lavoro, la bellezza. Un ideale, un credo. Lui parlava, parlava ore e ore ed io stavo ore e ore ad ascoltarlo. Non mi sono mai stancato e non sai quanto mi manca.

Invece l’idea di musica più importante, quella che dà gioia anche a te.
Mi è successo anni fa. Stavo facendo una trasmissione televisiva ed è arrivato in studio Compay Segundo: un personaggio di 85 anni con un sigaro lungo da qua fino a Piazza Plebiscito, a Napoli. È entrato dicendo: “Non mi rompete i co…., io devo fumare”. Così, in studio nessuno ha più detto niente. Questo grande vecchio ha preso la sua chitarra ed è stato un fiume in piena, una cosa meravigliosa.

Quando hai cominciato la tua carriera di cantante tutti imitavano i grandi.
Sì, tutti imitavano tutti (anche oggi). Ovviamente, i miei idoli erano Elvis Presley e i Beatles. Presley perché aveva tutto: bello, bravo, cantante, attore, autore. Assolutamente geniale. Era il mito dei giovani e ci sono cascato pure io. Poi ho scoperto i Beatles. Successivamente, a un concerto di Ray Charles ho avuto una folgorazione. Lo amavo già da prima, naturalmente, ma da quella volta Ray Charles ha cambiato la mia vita, l’approccio alla musica, il dolore, la sincerità, la naturalezza, il divertissement. Ascolti Ray Charles e ti rendi conto che anche nella più alta punta del diapason del dolore lui è leggero e si diverte. Non c’è sforzo, non c’è pesantezza, è pura naturalezza: è la famosa semplicità tanto difficile da raggiungere.
Sei religioso? Sì, credo in Dio. So che c’è un dio, c’è un essere soprannaturale. Ma non vado molto spesso in chiesa, lo confesso.

Il passato riemerge dalle minestre della mamma A tavola con Massimo Ranieri Inno ai sapori semplici
Il passato riemerge dalle minestre della mamma



Quando ti vuoi rilassare cosa fai?
Soprattutto leggo. Cerco di recuperare le letture non fatte. Quindi compro e metto lì, accatasto. Non dico montagne, ma riesco a fare delle belle pile di libri. Mi piace averli come compagnia, amici che stanno lì e che mi insegnano qualcosa.

Hai ancora un sogno nel cassetto?
Ne ho tanti di sogni nel cassetto, ma tanti. Devo dire che da un po’ di tempo il cassetto si sta pian piano svuotando. Ma era pieno, molto pieno. Un sogno era la regia. Sono stato molto restio a cominciare, avevo molta paura, ma l’ho fatto grazie anche alle insistenze del mio fidato amico Maurizio Scaparro che mi ha convinto di essere ormai pronto per questa esperienza. L’occasione è venuta quando Nicola Martinucci, dovendo mettere in scena i Pagliacci, mi propose di fare la regia dell’opera. È stato un momento di panico ma non ho potuto tirarmi indietro e così ho realizzato un altro sogno.

Un’altra splendida esperienza, un altro sogno realizzato, è stato lavorare con Claude Lelouch. Mi aveva visto a Parigi con lo spettacolo Pulcinella. Mi aveva fatto i complimenti e credevo fosse finito tutto lì. Invece, dopo quattro anni, nel 2003, mi chiama per fare il protagonista del suo film. Sono stato quattro mesi a Parigi, lavorando con un uomo eccezionale sotto ogni punto di vista: grande cultura, grande sensibilità, grande umanità. Meraviglioso.

Tu ti rigeneri lavorando, facendo, inventando. Però fai qualcosa che non sia impegno, qualcosa di diverso?
Là fuori, indicando la banchina del Tevere, con un paio di scarpini e una tuta, arrivo fino allo stadio olimpico. Torno indietro, inforco i guantoni e tiro di boxe una ventina di minuti. Una grande doccia, ho scaricato tutte le tossine e il mondo è mio. Mi piace correre, magari insieme ad altri corridori che, come te, fanno lo stesso percorso. Dopo un mese che hai fatto il ponte da qua fino allo stadio olimpico, ci si incontra sempre, si fanno due chiacchere, si fa una corsa insieme.

Se ti capita di avere un po’ di tempo libero: dove vorresti andare?
Nel sud Italia. Grazie a questo mio lavoro che mi porta a viaggiare sempre, ho scoperto un sud di una bellezza travolgente. La Puglia, certe insenature della Calabria, la meraviglio terra di Sicilia. Non posso dire la Campania perché il mio mare lo conosco. Ma io che non avevo mai visitato il sud ho scoperto dei posti miracolosi.

Oltre a confrontarti con la musica, hai mai pensato a scrivere un libro?
Si l’ho scritto è un libro sulla mia vita, realizzato con l’aiuto del mio autore Gualtiero Pirs. Il titolo è anche molto curioso: “Mia madre non voleva”. È stata un’esperienza devastante. Devi raccontare, devi scavare nel tuo passato, raccontare anche le cose brutte, i dolori. No. Adesso sono ancora sotto choc, non mi andrebbe di riparlare di me. Penso che basti e avanzi.

Quando viaggi, chi ti va di incontrare, che cosa ti piace, che cosa ti stimola il viaggiare?
Ho viaggiato tanto fino a vent’anni fa, ma proprio tanto, al punto di non poterne più. Al punto di desiderare solo la mia casa, il mio quartiere, la mia gente: il giornalaio, la lavanderia, dove comprare il latte, il tabaccaio, queste cose qui. Oggi, faccio dei meravigliosi viaggi con la mente e anche attraverso le letture. Mi capita anche di aver voglia di vedere il luogo descritto in un libro in particolare: Elsa Morante e Procida, ad esempio. Attraverso Elsa Morante io conosco Procida come non ho mai conosciuto in vita mia. Così la voglio vedere, la voglio assaporare, ci voglio camminare, voglio toccare i muri, voglio vedere la gente; voglio sentire i sapori, voglio sapere cosa si mangia lì.

Ma non sei curioso di altre culture, di altri colori, di un’umanità così variegata e diversa. Respirare i profumi di luoghi altri, camminare a Tokyo o in Sudafrica o in Nepal? Non ti stimolano questi viaggi?
Io sono una persona molto curiosa, e un tempo viaggiavo molto. Ma, oggi, la massificazione della cultura non mi fa sentire la differenza tra stare a Tokyo, o a Shangai o a New York. Tanto vale stare a Roma, dove abito da quarant’anni. E, poi, come dicevo prima, mi piace molto partire con la testa, mi piace molto viaggiare attraverso le letture, attraverso gli autori. Inoltre, oggi abbiamo la televisione che ti fa entrare nel mondo.

Massimo Ranieri e Jerry Bortolan A tavola con Massimo Ranieri Inno ai sapori semplici
Massimo Ranieri e Jerry Bortolan



Ho visitato il mondo attraverso i reportage di canali meravigliosi, come National Geographic, come Geo and Geo. Quando vedo le avventure di questi grandi viaggiatori che vanno per mare in solitario mi viene voglia di farlo anch’io. Allora mi dico, fra qualche anno, prendo una barca, la mia donna e facciamo un viaggio per mare, da soli. E poi mi viene un’ansia terribile: e se si ferma il motore, se una cosa si rompe che faccio io lì in mezzo? E sì che sono figlio di marinai. Il nonno, il bisnonno, sono tutti nati nell’acqua. Mi rendo conto che è una cosa terribile quella che sto dicendo, però… La montagna: quando vedo scalare queste montagne meravigliose mi sembra che stiano toccando il cielo, che siano a contatto con Dio. E poi penso: se io rimango là e viene una tempesta che faccio, rimango appeso lì. È sicuramente una invenzione nevrotica e ansiogena, ma tant’è.

I tuoi amici ti aiutano a superare queste ansie?
No, ma quando mai. I miei amici sono molto “schiavizzati” dalla mia scelta di vita: il lavoro. Lavoro che, per me, significa anche continua ricerca del confronto con gli altri, con la piccola parte di umanità con la quale si viene a contatto. Io sono uno a cui piace molto ascoltare perché so che anche dalla persona più umile c’è sempre qualcosa da imparare. Quando scendo la mattina per comprare il giornale o per comprare le sigarette mi piace stare quei dieci minuti in più per parlare, per ascoltare.

© Riproduzione riservata