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spiritualità

Il cibo come fede: in ogni religione l’alimentazione è un rito sacro

Matteo Scibilia
di Matteo Scibilia
Responsabile scientifico di Italia a Tavola
08 ottobre 2025 | 11:19

Con l’approssimarsi delle festività natalizie prende avvio un lungo periodo che, idealmente, si conclude con la Pasqua. Un arco di tempo che non coincide soltanto con i riti religiosi, ma anche con una serie di abbinamenti gastronomici tipici, radicati nelle diverse regioni italiane. Prima, però, vale la pena soffermarsi su un aspetto spesso trascurato: quanto la religione abbia influenzato il cibo e la gastronomia. Tutte le religioni, nel corso della loro storia, hanno affrontato il tema dell’alimentazione come parte del percorso spirituale. Il cibo non è solo nutrimento: è uno strumento di elevazione, un mezzo per non compromettere il cammino di fede. Per questo, ogni credo ha elaborato un proprio insieme di regole per regolare il rapporto tra l’uomo e ciò che porta alla bocca. Lo ricordano studiosi e storici di ogni epoca, riassumendo tutto in una frase che attraversa i secoli: il cibo è sacro.

Il cibo come fede: in ogni religione l’alimentazione è un rito sacro

Il cibo come fede: in ogni religione l’alimentazione è un rito sacro

Dalla scoperta del fuoco alla nascita della cucina

La nascita stessa della cucina ha un’origine quasi sacrale. La leggenda racconta che, agli albori della civiltà, l’uomo si nutrisse di alimenti crudi. Tutto cambiò quando Prometeo, impietosito dalla condizione umana, rubò il fuoco agli dèi per donarlo agli uomini. Un gesto che scatenò l’ira di Zeus, che lo punì incatenandolo a una roccia dove un’aquila gli divorava il fegato ogni notte. Grazie a quel fuoco rubato, però, l’uomo imparò a scaldarsi, costruire case e soprattutto cuocere il cibo.

Da qui nacque la cucina: l’uomo cominciò a marinare, macinare, affettare, filtrare e rendere gli alimenti più digeribili. Le prime tracce di ricette risalgono alla Mesopotamia del secondo millennio a.C., dove la scrittura consentì di tramandare nozioni e procedure gastronomiche. Nacquero così i condimenti, le salse, le bevande fermentate come la birra. L’uomo sviluppò l’agricoltura, coltivò grano, orzo, farro e ulivo, imparò a produrre pane e olio, a fermentare e a usare il sale. In parallelo, nacquero l’allevamento e i derivati del latte, come i primi formaggi. Non a caso, il cibo divenne anche offerta agli dèi, trasformandosi in un elemento rituale e simbolico.

Il cibo come segno del divino

Il legame tra cibo e religione attraversa le Scritture. Nella Bibbia, la «terra dove scorrono latte e miele» - promessa da Dio agli Ebrei - è la rappresentazione stessa dell’abbondanza. Il latte, alimento base, e il miele, dolcificante naturale prima dell’avvento dello zucchero, incarnano la prosperità divina. Con le leggi di Mosè, arrivarono però anche i divieti alimentari: un codice che ancora oggi distingue le religioni monoteistiche. Tra questi, il divieto di consumare carne di maiale - animale impuro, con l’unghia bipartita ma non ruminante - e quello di mangiare pesci senza pinne e senza squame, come crostacei e molluschi.

Il cibo come fede: in ogni religione l’alimentazione è un rito sacro

Il legame tra cibo e religione attraversa le Scritture

Allo stesso modo, sono banditi gli animali che vivono «tra due regni», come il gabbiano, simbolicamente in bilico tra acqua e aria. Queste regole non sono arbitrarie: rappresentano il progetto del Creatore. Le norme alimentari hanno la stessa dignità del culto: il cibo deve rispettare il ruolo assegnato dal disegno divino. Anche il metodo di macellazione riflette questa sacralità: l’animale deve essere sacrificato, non semplicemente ucciso, e il sangue - simbolo di vita - non può essere consumato.

Pane e vino: il simbolo cristiano per eccellenza

Con l’arrivo di Gesù Cristo, il cibo assume un valore ancora più profondo. Durante l’Ultima Cena, il Messia trasmette ai suoi apostoli le ultime volontà attraverso due elementi fondamentali: il pane e il vino, simboli del suo corpo e del suo sangue. Il pane, semplice unione di acqua e farina, rappresenta la fatica e la dedizione dell’uomo. Il vino, invece, è il frutto di una lavorazione complessa: la viticoltura, curata per secoli da monaci e frati che continuarono a produrre vino e vin santo anche in tempi di guerre e invasioni, affinché non mancasse mai durante la messa. La tradizione biblica fa risalire la coltivazione della vite addirittura a Noè, mentre Plinio il Vecchio testimonia l’offerta del vino agli dèi. È grazie ai religiosi se, nei secoli, la viticoltura si è diffusa fino alla nascita di eccellenze come champagne e spumanti, nati proprio nei conventi. Gesù, alzando il calice, disse ai discepoli: «Fate questo in memoria di me». Da allora, la celebrazione eucaristica è indissolubilmente legata al vino, al sangue di Cristo, linfa della vita e simbolo della Chiesa stessa.

La casseula: un piatto nato dalla storia

Per concludere questo viaggio nel rapporto tra fede e gastronomia, vale la pena raccontare un aneddoto legato a un piatto emblematico della tradizione lombarda: la casseula. Pochi sanno che questa ricetta, oggi simbolo della cucina milanese, nasce grazie agli spagnoli e allo chef catalano Ruperto da Nola, a servizio degli Aragonesi a Napoli. In origine, il piatto era preparato con volatili, ma col tempo si spostò verso nord, fino alla Lombardia.

Il cibo come fede: in ogni religione l’alimentazione è un rito sacro

La casseula

La leggenda vuole che, nel Cinquecento, mentre i musulmani avanzavano verso l’Europa, il popolo lombardo usò il maiale come “arma gastronomica” per ostacolare i conquistatori, sostituendo gli uccelli con la carne suina. Così, la casseula si trasformò in un ricco piatto a base di maiale e verza, un vero e proprio potage invernale. Un esempio perfetto di come la storia, la religione e la gastronomia si intreccino da sempre, restituendo all’uomo un messaggio tanto semplice quanto potente: il cibo è sacro, perché parla della nostra vita, della nostra fede e delle nostre radici.

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