In una sera romana avvolta nel silenzio, si è spento Pippo Baudo. Aveva 89 anni. Un’età piena, vissuta sotto i riflettori ma con misura, con l’eleganza di chi sa che il successo non è mai garantito, ma si guadagna giorno dopo giorno. Nipote del dopoguerra, cresciuto tra l’Italia contadina e quella della televisione in bianco e nero, Baudo è stato molto più di un presentatore. È stato una presenza costante nelle case degli italiani, un riferimento capace di unire nonna e nipote, Nord e Sud, sacro e profano.

Dai surgelati Althea al caffè Kimbo: Pippo Baudo, icona popolare e volto rassicurante della tv italiana, ha trasformato la pubblicità in un rito collettivo che univa famiglie e consumi.
Era un uomo della domenica, ma anche del sabato sera. Un professionista dell’intrattenimento, ma soprattutto un volto simbolico della trasformazione culturale italiana. E, forse senza volerlo, è stato anche il primo vero influencer del Paese: non nei modi, certo, né nei toni. Ma nella sostanza. Capace, con la sola autorevolezza della sua immagine pubblica, di orientare gli acquisti, definire le abitudini, far entrare nelle cucine (e nei ristoranti) prodotti che fino a poco prima sembravano estranei o troppo moderni.
Un volto che univa l’Italia
Il marchio Kimbo, ad esempio, lo scelse come testimonial tra il 1989 e il 1997, in una delle campagne pubblicitarie più lunghe e di maggior impatto della sua storia. In quegli anni, Kimbo conquistò stabilmente il secondo posto nel mercato italiano del caffè confezionato, subito dopo Lavazza, raggiungendo una quota di mercato del 12,5% nel 1994 e superando i 250 miliardi di lire di fatturato annuo.
Il volto di Baudo non promuoveva semplicemente un prodotto: costruiva un racconto condiviso, una fiducia quotidiana. Il caffè non era solo buono: era “quello di Baudo”.
Dal piccolo schermo alle cucine: l’effetto Baudo
Nel contesto di quegli anni, l’Italia vedeva crescere la modernità: spesso i prodotti inseriti nei programmi tv — Surgelati Althea, Pagine Gialle, Bibite Tomarchio, Supermercati Sma — trovavano nella sua immagine una sorta di timbro di garanzia.
Era l’effetto Baudo: un’affiliazione emotiva capace di trasformare il consumo in adesione culturale.
Il caso Kimbo: quando il caffè diventa “quello di Baudo”
È interessante osservare come questa presenza televisiva si riverberasse anche sul mondo HORECA. I bar, le trattorie, i piccoli ristoranti, vedendo lo stesso Mr. Domenica In approvare un prodotto, tendevano a integrarlo nelle loro offerte. Se era “degno” del salotto degli italiani, lo era anche della loro tavola fuori casa.
Prodotti e marchi legittimati dal “timbro Baudo”
Paradossalmente, più che spingere una campagna pubblicitaria tradizionale, Baudo colmava un vuoto simbolico: faceva diventare “normale” ciò che era industriale, domestico ciò che era nuovo.
Era un testimonial implicito, con un approccio morbido e familiare, che più che vendere, rassicurava.
L’influenza sul mondo horeca e sulla ristorazione popolare
Non sorprende che Kimbo abbia consolidato la sua presenza nel mercato nazionale, posizionandosi con stabilità tra i marchi leader. Certo, non tutto può essere attribuito a lui, ma il suo apporto fu determinante nel modellare l’immagine del brand: un ambasciatore della quotidianità, che rendeva il consumo non solo possibile, ma condiviso.
Non un venditore, ma un rassicuratore
Il modello Baudo fu sostenuto anche da una tv a visione universale e unificante: da nord a sud, la sua voce era un filo che attraversava l’Italia intera.
Nel 1987, segnò record di ascolti al Festival di Sanremo, con oltre 17 milioni di telespettatori: un dato che spiega bene la sua forza come veicolo di messaggi commerciali e culturali.
Record tv e potere commerciale
Molte delle tensioni che caratterizzarono la sua carriera — il passaggio a Mediaset, le polemiche, i procedimenti giudiziari degli anni Novanta — non scalfirono il rapporto con il pubblico.
Quel legame era più profondo di una strategia di marketing: era stima costruita nel tempo. E la stima, quando è autentica, vale più di qualsiasi campagna.
Un’eredità culturale che va oltre lo spettacolo
Baudo ha inventato la televisione popolare e ha contribuito alla trasformazione dei consumi italiani in un’epoca di passaggio: nobilitando i prodotti, ridisegnando il rapporto tra spettatori e mercato, legittimando nuovi rituali — dal caffè in tazza scura alla merenda surgelata.
Con il suo volto, ogni prodotto diventava rassicurante, ogni marca più vicina. Una piccola rivoluzione silenziosa, che oggi ci appare naturale ma che ieri fu, a suo modo, innovativa.
Il cameriere d'Italia
Diceva di odiare i programmi di cucina, Pippo Baudo. «Si mangia a tutte le ore», sospirava, «e i programmi sono tutti uguali». Eppure, per oltre quarant’anni, la sua faccia gentile ha accompagnato i prodotti alimentari più popolari del Paese. Non cucinava, Baudo, ma prestava la sua voce e il suo volto a ciò che si metteva in tavola. Non era chef né gourmet, ma diventava rassicurazione. Quello spot non era uno spot, era un invito a fidarsi. Il caffè? Quello “di Baudo”. Il surgelato? Quello che aveva cantato alla radio. E forse proprio lì stava il segreto: non era il piatto a raccontare la storia, ma chi te la serviva. E Pippo, in fondo, era il cameriere d’Italia. Con la cravatta giusta, il sorriso largo e la parola pronta.
E i prodotti? Eccoli, in rapida carrellata:
Crema Belpaese Galbani (1962), Simmenthal (1965), Motta panettoni e gelati (1967–70), Surgelati Althea (1979) – con tanto di disco, Le ricette in musica – Kimbo (1989–1997), Bibite Tomarchio Naturà (1990), Supermercati SMA (1991), Acqua Santa Croce (2003–2006), Caffè Palombini (2006–2009). Nessuna ossessione da food show, ma una lunga fedeltà alla tavola. Quella degli italiani veri.