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tricolore

Made in Italy a scaffale: bandiera e claim non garantiscono più vendite

di Redazione Italia a Tavola
01 settembre 2025 | 13:31

Mettere in etichetta la bandiera tricolore, il claim “made in Italy” o l’indicazione della regione di provenienza non garantisce più automaticamente un posto nel carrello degli italiani. È quanto emerge dalla diciassettesima edizione dell’Osservatorio Immagino di GS1 Italy, che monitora le abitudini di consumo e le performance dei prodotti alimentari italiani nei supermercati e negli ipermercati.

Made in Italy a scaffale: bandiera e claim non garantiscono più vendite

Prodotti “100% italiani” e bandiera: perché non bastano più sugli scaffali

Nel 2024, le vendite dei prodotti che richiamano l’italianità sono risultate legate a un andamento quasi piatto: il giro d’affari totale ha segnato un incremento di +1,2% a valore, mentre il volume complessivo è leggermente diminuito (-0,7%). Questo andamento riflette la stabilità della domanda, l’effetto limitato dell’aumento promozionale (passato dal 30,4% al 31,3%) e un incremento dei prezzi inferiore alla media del largo consumo (+1,9% contro +3,2%). Il paniere italiano, composto da 27.978 referenze, ha sviluppato complessivamente oltre 11,6 miliardi di euro di vendite, confermando la rilevanza di questi prodotti nella spesa quotidiana.

Bandiera, claim e certificazioni: risultati differenti

L’elemento più diffuso di italianità è la bandiera nazionale, presente su 16.461 prodotti, che hanno chiuso l’anno in crescita sia a valore (+2,5%) sia a volume (+0,2%). Diverso il quadro per i prodotti con il claim “100% italiano”: circa 9.000 referenze con fatturato stabile (+0,2%) ma volumi in calo (-1,5%). Ancora più critico l’andamento dei prodotti con claim “prodotto in Italia”, che hanno perso -1,8% a valore e -3,6% a volume.

Le indicazioni geografiche protette (Dop, Doc e Docg) continuano invece a giocare un ruolo importante. Il paniere, formato da 4.888 referenze per 1,6 miliardi di euro di fatturato, mostra volumi stabili (-0,1%) e crescita a valore (+2,1%). Tra questi, i 1.467 prodotti Dop hanno registrato una performance particolarmente positiva: +5,8% a valore e +2,7% a volume, grazie alla combinazione di maggiore offerta (+4,9%) e aumento dei prezzi medi (+3,1%).

Prodotti regionali: le regioni come marchio di garanzia

Il concetto di territorialità si conferma un driver fondamentale. I prodotti con claim generico “regione/regionale” (165 referenze) hanno visto una crescita del +12,3% a valore e +9,0% a volume, per un giro d’affari complessivo di 55 milioni di euro. Nella classifica delle regioni italiane più presenti sugli scaffali, Trentino-Alto Adige mantiene il primo posto con 396 milioni di euro di vendite e 1.028 referenze, nonostante un calo annuo (-0,8% a valore, -1,7% a volume). Seguono Sicilia e Piemonte. Altri risultati significativi arrivano da Sardegna (+4,2% a valore, +6,8% a volume) e Puglia (+13% a valore, +5,1% a volume), trainate da vini Igp/Igt e Doc/Docg, birre alcoliche, paste filate fresche e latte fresco.

Le città come nuovo indicatore di autenticità

Per la prima volta, l’Osservatorio Immagino ha considerato anche i claim legati alle tradizioni cittadine: Bologna, Genova, Napoli e Roma. In totale, 1.563 prodotti riportano un riferimento a città e hanno generato quasi 579 milioni di euro di vendite nel 2024.

I settori trainanti sono stati la pasta fresca ripiena, primi piatti pronti, preparati per primi piatti e formaggi grana, dimostrando che anche le città possono funzionare come marchio di garanzia di autenticità e territorio. «Le città e le regioni», commenta GS1 Italy, «continuano a rappresentare un valore per il consumatore che cerca autenticità e qualità, e il mercato premia chi sa valorizzare la territorialità».

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