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Fine dining lontano, alla Trattoria Cammillo di Firenze vince la tradizione

Sperimentazione e accostamenti azzardati, sono «lontani dal mio modo di vivere la cucina»: Chiara Masiero non ha dubbi e prosegue nel nome della tradizione seguendo le regole della stagione e il sapore senza fronzoli dei tempi di nonno Cammillo Tesi, con il consenso dei clienti alla ricerca dei sapori di una volta nel ristorante dove nulla è cambiato

Annamaria Tossani
di Annamaria Tossani
02 maggio 2023 | 05:00
La Trattoria Cammillo a Firenze: tre generazione di cucina semplice e vera

Chiara Masiero la proprietaria della storica Trattoria Cammillo è infaticabile: in cucina, in sala, al mercato, porta avanti la tradizione ed il successo di un luogo molto amato dai fiorentini e da clienti di tutto il mondo.

La Trattoria Cammillo a Firenze: tre generazione di cucina semplice e vera

La sala della Trattoria Cammillo

Tre generazioni e il ragù che non è così pomodoroso

Sempre la stessa famiglia a garanzia di qualità e lavoro in armonia con un adeguarsi alle nuove regole della ristorazione senza perdere di vista la cosa più importante: mangiare semplice e sano con ingredienti di prima qualità. «Fu mio nonno Cammillo Tesi - ci racconta Chiara - che aprì nel 1942 vicino al Ponte Vecchio, insieme con moglie, figli e sorella; erano stati sfollati dal paesino di origine, Quaracchi, in periferia. Gli buttarono giù la casa e furono portati a vivere a Firenze, dove non avevano parenti o amici. Firenze era piena di militari e mio nonno doveva andare in cerca di lavoro, ma non voleva lasciare la famiglia. Così, pensò che fosse utile fare un’osteria, per dare da mangiare ai militari. Il mio babbo, Bruno Masiero, lavorava all’ospedale militare su Costa San Giorgio e con i commilitoni andavano a mangiare all’osteria di mio nonno. Lì conobbe mia madre e se ne innamorò.

La Trattoria Cammillo a Firenze: tre generazione di cucina semplice e vera

Chiara Masiero

Nel ‘44 i tedeschi buttarono giù tutti i ponti, tranne il Ponte Vecchio e fecero esplodere la maggior parte dei palazzi al di qua e al di là del ponte e anche quello dove si trovava l’osteria.
Dato il bombardamento dei palazzi, nel 1945 si spostarono dove ancora oggi si trova il ristorante, in Borgo San Jacopo. All’epoca c’era una sola stanza, quella di ingresso, con la cucina. Il nome è rimasto Cammillo, in onore al nonno, ma divenne ristorante vero e proprio grazie all’intervento, alla cura e la dedizione di mio padre e mia madre. Mio padre non era fiorentino, ma bolognese e mia madre racconta ancora oggi che a quell’epoca si riconoscevano bene i bolognesi dai fiorentini, i fiorentini sono chiusi diffidenti. Lui era brillante, sorridente, pieno di iniziative, spiccava in mezzo agli altri, non solo per una questione di carattere, ma di natali.

Quadri in cambio dei pasti

Questo è anche il motivo per il quale il ragù non è così pomodoroso, perché è all’uso di Bologna, così come i tagliolini o le tagliatelle che serviamo. Inoltre, data la sua apertura mentale, fu molto bravo, ci sapeva fare con i clienti, allargò lo spazio, prese la stanza a fianco e poi quella ancora a lato, il piano di sopra del Palazzo del IV secolo, fino a trasformarlo nel locale di oggi. L’attività diventò un ristorante specializzato in primizie, tartufo bianco e funghi, annaffiati con i migliori vini toscani ed in particolare con quello che la famiglia produceva direttamente nella Fattoria Il Peraccio. Mio babbo amava appendere le opere di diversi giovani pittori che, nella metà del secolo scorso, saldavano così il conto della trattoria e creò un posto ricco di calore ma semplice come è oggi!».

Da Cammillo, dove nulla è cambiato

Quando ha preso in mano l’azienda cosa ha deciso di cambiare?
Nel 1984 insieme a mio fratello decidemmo di occuparci stabilmente del ristorante anche se fin da piccola ero stata abituata a fare i conti, a servire piccole cose, insomma la cucina e la trattoria erano il mio mondo. Poi dal 1999 sono rimasta io, ma ho due figlie che mi auguro possano rappresentare la quarta generazione di Cammillo. Sin da piccola amavo i profumi della cucina, la fragranza delle verdure fresche ed è stato inevitabile per me diventare anche cuoca. Non avrei potuto mai sostituire i nostri piatti storici perché sono quei sapori sempre uguali da una vita che rimangono nel cuore e nel palato dei nostri clienti. Però ho imparato ad usare tecniche nuove o a provare nuovi accostamenti, ma la base rimane quella dettata dal nonno. Per esempio, uno dei nostri piatti iconici è il curry di pollo o di gamberi con il chutney. Un piatto che veniva richiesto a mio nonno dai clienti inglesi ed americani che dopo l’aperitivo da Harry’s Bar venivano in trattoria. È un curry delicato secondo proprio la tradizione inglese importata e adattata dalle colonie. Sono molto orgogliosa del mio mango chutney, che prima importavamo da un’azienda milanese, ma la cui azienda poi ad un certo punto è sparita nel nulla. Così, per rimpiazzarlo, ho cominciato a sperimentare: avevo un vecchio barattolo indiano e sul barattolo c’erano gli ingredienti, ma certo non la ricetta. Erano gli anni Ottanta e non c’era nemmeno internet. Mi chiusi in casa e in una settimana aumentando e diminuendo le dosi degli ingredienti, inventandomi anche il processo di cottura, sono arrivata al sapore che mi ricordava il curry di Cammillo.

Qual è il segreto del vostro successo?
I piatti cambiano spesso secondo il mercato ed il mio umore o quello del nostro chef che fa parte della famiglia da quando aveva diciassette anni. I sapori devono essere primari. Non amo mescolare mille ingredienti per stupire. Seguo le regole della stagione nel proporre i nostri prodotti freschi. E la pasta viene fatta in casa ogni giorno. Il tartufo c’è quando è tempo di tartufo, così come i funghi o la caccia. Ogni stagione ha la sua cucina. Solo così si garantisce la qualità e il sapore ti conquista e si viene qui proprio per riprovare il piacere di mangiare quel determinato piatto.

I piatti nuovi
Amo coccolare i clienti e capire se hanno bisogno della mia “minestrina” che non è nel menu perché voglio così. Con le stelline brodo e pomarola e parmigiano, ricordo dell’infanzia di tutti noi…. Ma per Pasqua ho creato i tortellini con il ripieno di carne di pecora cotti nel brodo di pecora, una delizia che ci riporta alla tradizione della zona di Campi Bisenzio. La settimana scorsa ho trovato all’interno di una gallinella le sue uova ed ho fatto la bottarga io da accompagnare ad un uovo fritto! Insomma, mi adeguo al prodotto e lo valorizzo.

Ma i clienti stranieri cosa privilegiano e come sono cambiati in questi anni?
Abbiamo una clientela che è abituata ai grandi chef stellati di tutto il mondo ma che ritornano chiedendo i sapori semplici, persino le mie umili ma gloriose uova al pomodoro! In questi anni sono molto più diciamo ”colti“ e raramente ci chiedono cappuccini o montagne di formaggio. Tendono ad eliminare i piatti elaborati per sintonizzarsi sulla cucina del territorio che costituisce un bagaglio di sensazioni che portano via e non dimenticano. Il nostro olio extravergine è la base attorno a cui ruota tutto. E la griglia per la carne è con carbone di legna, ed abbiamo i piatti per celiaci e tante pietanze il venerdì a base di pesce, di venerdì come usava un tempo. Ma sicuramente la nostra pasta fresca ed il nostro curry sono amati da sempre e poi per finire lo zabaione caldo servito dal pentolino di rame!

Cosa pensa della ristorazione fine dining?
Secondo me il lusso ed il raffinato nella preparazione dei piatti e nell’utilizzo e sperimentazione di ingredienti particolari, con accostamenti anche azzardati, è molto lontana dal mio modo di vivere la cucina per cui rimango nel mio mondo di tradizione e cultura familiare.

Come giudica oggi la ristorazione a Firenze?
Mi mette in difficoltà… Tanti ristoranti per turisti…. Troppi… E la qualità? Dov'è? E il profumo, quello buono lo sentite più? Ho risposto credo…

Come definisce la sua cucina?
Semplice e vera. Senza fronzoli. Un ristorante dove non cambiamo l’arredamento a favore di nuovi concept di architetti, un luogo dove ritrovarsi per piacere e per godere!

I pensieri dei cuochi tradizionalisti:

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