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I ravioli al sugo di capra che hanno fatto di una locanda la sua storia

Alla Locanda Belvedere di Rocchetta al Volturno (Is), Stefano Rufo serve i ravioli al sugo di capra così come li ha sempre conosciuti, trasformando un gesto domestico in un racconto che oggi passa per la sala del ristorante. Piatto del Buon Ricordo, è la dimostrazione che una preparazione nata in famiglia può diventare voce autentica di un territorio

Nicholas Reitano
di Nicholas Reitano
Redattore
26 novembre 2025 | 08:30
I ravioli al sugo di capra che hanno fatto di una locanda la sua storia

Il profumo dei ravioli scapolesi De.Co con sugo di capra accompagna la cucina della Locanda Belvedere fin dal mattino, quando il sugo inizia a cuocere lentamente e la pasta viene tirata a mano come si fa da tre generazioni. È il piatto del Buon Ricordo di chef Stefano Rufo, a Rocchetta a Volturno, in Alta Valle del Volturno (Molise): una ricetta di famiglia diventata simbolo del territorio e parte della storia del ristorante, preparata ancora oggi con la stessa naturalezza di sempre, senza trasformarla in un esercizio di memoria.

I ravioli al sugo di capra che hanno fatto di una locanda la sua storia

L'esterno della Locanda Belvedere

Dal 2020, la Locanda fa parte dell’Unione dei ristoranti del Buon Ricordo, l’associazione nata nel 1964 per tutelare l’identità gastronomica italiana attraverso i suoi piatti-simbolo, accompagnati dalle ceramiche dipinte a mano a Vietri sul Mare dagli artigiani Solimene. Come da tradizione, i ravioli scapolesi (presenti dal giorno zero) sono inseriti in un percorso dedicato e rappresentano ufficialmente il locale senza che la ricetta sia stata modificata.

Dalle radici familiari all’apertura del 2007

La Locanda Belvedere apre nel 2007, ma le sue radici affondano negli anni precedenti, quando il padre di Stefano nel 2005 acquista un vecchio casolare ristrutturato a norma antisismica nel 2001 e decide di trasformarlo in un ristorante. Rufo entra fin dall’inizio, affiancato da tutta la famiglia: la madre in cucina, il padre in sala e, negli anni, anche i fratelli, ognuno con un ruolo preciso. Due anni di lavori precedono l’apertura al pubblico, ma l’impostazione rimane la stessa ancora oggi: un ristorante nato come attività familiare e portato avanti senza cambiare struttura o filosofia, anche dopo l’uscita dei genitori dalla gestione.

Una cucina di montagna essenziale e territoriale

Nel tempo, la cucina non ha cambiato direzione, ma ha trovato una forma più definita. Rufo è partito dalle ricette di casa e le ha portate in una dimensione contemporanea senza modificarne il senso originario: «La cucina nasce da mia madre e da mia nonna. L’ho rivisitata in chiave moderna, ma le radici restano ben salde nel passato». È una cucina di montagna essenziale, costruita su ingredienti che provengono dal territorio immediato.

I ravioli al sugo di capra che hanno fatto di una locanda la sua storia

Lo chef Stefano Rufo

Funghi, erbe spontanee, selvaggina, formaggi ottenuti con i cagli degli allevatori locali, tartufo bianco nei mesi giusti e salumi prodotti dalla macelleria di famiglia, attiva da quattro generazioni. «Non dico che sono ingredienti a chilometro zero, ma qualcosa anche meno» sorride. Il risultato non è un menu costruito su una tendenza, ma una conseguenza geografica. In carta compaiono diversi piatti storici dell’Alta Valle del Volturno, ma i ravioli scapolesi - che approfondiremo più tardi - restano il riferimento assoluto: «Ci sono persone che tornano da vent’anni per mangiarli».

Il raviolo scapolese come riferimento della Locanda

Per Rufo, il legame con il territorio nasce da una realtà quotidiana. «Oggi la gente cerca posti che ti danno qualcosa di diverso». Il contesto fa la differenza: un paese di montagna in cui ritmi, materie prime e abitudini sono rimasti immutati. «D’altronde, oggi il Molise è come la Toscana degli anni ’70-’80: una regione incontaminata, vera, senza grandi flussi». Da questa atmosfera prende forma la cucina della Locanda. La freschezza coincide con il luogo e non necessita di essere dichiarata. E l’ingresso nel Buon Ricordo si inserisce in questa continuità: «Non abbiamo cambiato nulla per entrarci - sottolinea. L’associazione ha solo riconosciuto una tradizione che esisteva da sempre».

I ravioli al sugo di capra che hanno fatto di una locanda la sua storia

Il piatto del Buon Ricoro della Locanda Belvedere

All’interno di questa storia si colloca (finalmente ne parliamo!) il raviolo scapolese De.Co con sugo di capra. Un piatto nato in casa, passando da una generazione all’altra: prima la nonna materna, poi la madre e infine Rufo. «È un piatto che mi porto dietro da sempre». La ricetta è rimasta identica: pasta ripiena con patate, bieta, salsiccia, pancetta, carne macinata, uova, formaggio e scamorza, servita con il sugo della capra. «La carne viene tolta: usiamo solo il sugo passato» precisa.

Quando la crescita passa dalla continuità familiare

Arrivare alla Locanda significa scegliere un luogo fuori dai percorsi abituali. Rocchetta al Volturno non è una tappa casuale e questo crea un rapporto diretto con chi si siede ai tavoli. «Qui il telefono non prende», racconta Rufo, «e alla fine piace: ci si ritrova». Il servizio conserva un’impronta familiare e in sala i clienti vengono riconosciuti subito. «Conosco i miei clienti per nome». Nel corso degli anni, Rufo ha pensato alla possibilità di creare un progetto diverso, con spazi separati e un’impostazione più vicina al fine dining, per puntare alla stella Michelin. Alla fine ha scelto un’altra strada: continuare lungo il filo iniziato in famiglia, senza snaturare il ristorante. La Locanda prosegue così il percorso costruito nel tempo, mantenendo una sola identità.

I ravioli al sugo di capra che hanno fatto di una locanda la sua storia

La sala interna della Locanda Belvedere

La gestione riflette la stessa coerenza. In cucina, Rufo lavora con il fratello più giovane, mentre l’altro fratello - macellaio - si occupa delle carni. In sala, le compagne di famiglia affiancano un collaboratore presente da anni. La cantina conta circa 350 etichette italiane e internazionali, con un’ampia presenza di produttori molisani. «Ho quasi tutte le cantine della regione - spiega Rufo. E mi dispiace quando vado in giro e non trovo neanche un vino molisano». Il ristorante ha due sale: quella interna - raccolta e con una cinquantina di posti a sedere - dedicata al pittore Charles Moulin (che visse sulle montagne circostanti) e la veranda, che arriva a un centinaio di coperti.

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