«Il ciclismo, prima ancora della tecnica, mi ha dato una forma mentis. Non mi ha insegnato a cucinare, ma mi ha insegnato a lavorare. A stare nel tempo lungo. A saper dosare le energie, a costruire una strategia, a reggere la fatica senza farla pesare.» Il tono è pacato, lo è meno il concetto. Per Stefano Basello, chef del ristorante 1905 a Udine, il passaggio dal mondo delle corse a quello dei fornelli non è stato un salto, ma un cambio di mezzo. «Quando corri, ogni dettaglio ha un peso, ogni errore si paga. In cucina è lo stesso. Soprattutto se, come al 1905, lavori in un contesto ad alta intensità, con una proposta tecnica, mirata, e pochi margini di correzione in corsa.»

Ristorante 1905: lo chef Stefano Basello
Ristorante 1905, la cucina
La cucina del 1905 si regge sulla tensione costante tra pochi coperti, piatti ad alta intensità tecnica e margini di errore ridotti. «È una scuola di concentrazione e di regolarità, ma anche di consapevolezza.» La squadra è giovane, costruita nel tempo. Una brigata affiatata che condivide con Basello l’idea di metodo, oltre che quella di stile. L’approccio ciclistico, con le sue regole non scritte e le sue gerarchie fondate sulla prestazione, si riflette nel ritmo quotidiano del lavoro. Non si tratta di militarizzare la cucina, ma di darle una struttura. Di trasformare la fatica in prassi, senza farla diventare teatro. «In bici si impara a reggere la fatica senza farla pesare. È lo stesso atteggiamento che tengo in cucina.»
Un luogo che pensa con la testa e cucina con i piedi per terra
Il Ristorante 1905 nasce nel 2020 all’interno dell’Hotel Là di Moret, alle porte di Udine. La sala è intima, con pochi tavoli rotondi, tovaglie lunghe, stoviglie artigianali in legno, vetro e ceramica. Una stufa in maiolica scalda l’ambiente durante le giornate più fredde. Il progetto prende forma accanto al ristorante principale della struttura, ma si muove su un tracciato autonomo, sorretto da dettagli che rispondono a un’idea di ristorazione concreta, consapevole e contemporanea.

Ristorante 1905: mise en place
L’obiettivo evidente è quello di portare a tavola messaggi e valori di un territorio poco abituato ai riflettori e, in generale, a raccontarsi ed essere raccontato. La cucina lavora sulla mutevolezza del paesaggio friulano, si nutre di osservazioni quotidiane, raccoglie ingredienti legati a micro-ecosistemi spesso trascurati, e ripristina tradizioni e materie prime dimenticate. Piatti che, oltre ad esprimere un ecosistema, parlano anche di un ritmo e, più in generale, di una postura. Due i percorsi degustazione: Viaggio nel Nostro Tempo e Ritratto del Presente. L’uno guarda al paesaggio con memoria, l’altro ne assume l’impronta attuale. Il lavoro quotidiano si basa su studio, confronto con i produttori, ascolto dei racconti popolari e rilettura di antichi ricettari.
Cucina di luogo, non di territorio: la memoria organica del paesaggio
La cucina di Stefano Basello parte da una distinzione netta. Il territorio, inteso come cornice geografica o asset turistico, resta uno sfondo. Il luogo, invece, diventa materia viva e stratificata. «Io cucino luoghi che conosco, che ho vissuto: il sottobosco dopo la pioggia, un pascolo d’alta quota, la nebbia sulla pianura.» Più che di rappresentare una regione, dunque, si tratta di evocare una memoria. I piatti si muovono sul crinale tra percezione e materia, restituiscono un’impressione ambientale, costruiscono una riconoscibilità sensoriale.

Ristorante 1905: la sala
Le portate rispondono a una logica atmosferica. Non basta l’origine di un ingrediente, serve l’impronta del paesaggio che lo ha generato. «Questa dimensione percettiva diventa criterio di costruzione del piatto. Non si tratta solo di usare un ingrediente locale, ma di restituirne l’atmosfera, l’impatto emotivo e quindi i ricordi.» L’identità gastronomica, in questa chiave, si costruisce a partire da una geografia fisica e affettiva, che mette insieme stagioni, gesti, relazioni e silenzi. La montagna, l’altopiano, l’orlo della laguna entrano nel piatto perché parte delle esperienze dello chef, non perché debbano esserci a tutti i costi.
Pancôr: un pane che viene dalla foresta e guarda avanti
Nel 2018, la Tempesta Vaia ha abbattuto milioni di alberi nell’arco alpino orientale. A Sappada, la distruzione ha lasciato a terra migliaia di abeti. Da quei tronchi è nato Pancôr, il pane simbolo del Ristorante 1905. Un impasto che include cortecce di abete bianco e rosso, trasformate in farina e lavorate con fermentazioni complesse, tempi lunghi e idratazioni spinte. «Il Pancôr nasce da lì: non è solo un omaggio, è un progetto», spiega Basello. Il nome unisce due parole friulane (pan e côr) e racconta una tradizione contadina antica: quando la farina di grano scarseggiava, veniva integrata con ingredienti di recupero come ghiande, licheni, bucce e cortecce. Quel gesto ritorna in chiave tecnica e culturale. «Recuperare le cortecce degli abeti abbattuti, trasformarle in farina, studiarne le potenzialità panificatorie, significa dare un senso nuovo alla parola sostenibilità.»

Ristorante 1905: Pancor
Il profumo balsamico della mollica, l’alveolatura aperta, la crosta ruvida ma sonora sono solo l’aspetto sensibile di un’idea più ampia. Pancôr introduce tutti i percorsi degustazione. Il pane parla del bosco, delle sue ferite, del modo in cui una cucina può trasformare una perdita in forma. Swan Bergman, regista internazionale, ha voluto raccontare questa storia in un documentario che parte proprio da lì, da una foresta scomposta e da un panettiere che impasta anche quello che sembra inutilizzabile.
Pane, fermentazioni, scarti: la cucina come laboratorio permanente
«La panificazione non è marginale, è fondativa.» Per Stefano Basello il pane struttura l’idea stessa di cucina, oltre ad anticiparne il passo e a fissarne il tono. Ogni pane, al 1905, nasce da una combinazione calibrata di lieviti madre tenuti vivi internamente e idrolisi spontanee. L’impasto assorbe bucce, vinacce, cortecce, torsoli, semi. Lavorare con ciò che resta diventa una pratica quotidiana, tecnica prima che etica. «Trasformiamo ciò che altri scartano, non per ideologia, ma per logica gastronomica: lì dentro c’è gusto, ci sono fibre, ci sono aromi da valorizzare.»
Il gesto del panettiere apre ogni giornata e rimane presente lungo l’intero menu. Il pane entra nei piatti, sostiene il ritmo del servizio, esprime in forma concreta la coerenza del progetto. Nessun compromesso industriale. Gli impasti seguono un principio di autonomia, coltivata dentro un laboratorio che produce conoscenza prima ancora che prodotto. La fermentazione, in generale, accompagna l’intera struttura della cucina. Dai brodi ridotti alle infusioni vegetali, tutto prende forma secondo una logica “lenta”. «La panificazione, così come la fermentazione, è una forma di artigianato avanzato. Richiede conoscenza, pazienza e continuità», osserva Basello. In questo laboratorio il tempo resta la risorsa principale, il controllo la condizione necessaria, la trasformazione la via per costruire un’identità gastronomica che si emancipa da ogni scorciatoia.
Idee chiare e piatti leggibili: il menu del 1905
«Parto da un’idea, poi arriva il gesto. L’ingrediente viene dopo.» La costruzione del piatto, per Stefano Basello, segue quest’ordine. L’idea nasce da un paesaggio, da un odore o da un’immagine. La tecnica, dunque, serve “solo” a darle forma. L’ingrediente, quindi, entra in funzione solo quando la direzione è chiara. Andando nello specifico, si parte con tre piccoli assaggi che già danno l’idea del passo. Una tartare di gamberi con una salsa alla busara fatta come si deve, un pollo confit dell’azienda agricola Lave con nocciole tostate e tartufo estivo, e una ciambellina salata alle erbe di montagna servita con il Cuc di Mont, un formaggio friulano a latte crudo. La granita di cetrioli, condita con aceto balsamico friulano, chiude con freschezza. L’inizio è diretto e già ben messo sul binario del territorio.
Ristorante 1905: Amuse bouche
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Ristorante 1905: Mare e maree. vongole, capelunghe e fasolari
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Ristorante 1905: Dut un paveron. Riso ai peperoni rossi e gelato ai peperoni verdi
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Il piatto di vongole, capelunghe e fasolari lavora su più livelli di cottura; molluschi appena scottati, acqua di vongole montata a parte, veli al nero di seppia come parte croccante. L’olio alla santoreggia, erba spesso usata nei legumi, qui funziona come legante aromatico. Il riso ai peperoni è cotto in un fondo vegetale estratto da peperoni rossi, con un gelato ai verdi sopra che dà contrasto di temperatura e colore. Il riso tiene la cottura e non è troppo mantecato, per non coprire il resto.
Il colombaccio è servito crudo, tagliato in tartare, con una base di ricci di mare che aggiunge sapidità marina. Accanto, una salsa di rucola, barbabietola e melograno, spinaci di montagna alla brace e un cjarson ripieno con ragù di coscette. L’anatra arriva in tre preparazioni diverse: petto cotto sulle ossa, coscia in crocchetta con crema di foie gras, cuori infilzati in uno spiedino. C’è lavoro, ma tutto resta leggibile. Il dolce evita ogni forma di chiusura ruffiana. Fragole in cremoso, yogurt della Fattoria Gortani montato in spuma, sorbetto alle erbe balsamiche. La dolcezza c’è, ma è tenuta d’occhio. Solo freschezza, erbe, acidità. «La fine di un menu dev’essere netta. Preferisco lasciare una traccia.»
Ristorante 1905: Colombaccio
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Ristorante 1905: Anatra, alloro e Ibisco
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Ristorante 1905: Il dessert fragole, yogurt ed erbe balsamice
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Dentro una sala da venti coperti e una cucina aperta, tutto si vede. «Il margine di rischio è alto. E va bene così.» Il rischio non riguarda solo l’uso di ingredienti poco abituali o tecniche lunghe. Coinvolge anche il modo in cui i piatti vengono presentati, senza mediazioni, senza appoggi. In fin dei conti, la cucina mostra tutto. Scelte, errori e, soprattutto, direzioni.