C’erano ancora i gettoni. Non tanti, ma abbastanza per tentare di sentirla il più a lungo possibile, dentro quella cabina dove la voce rimbalzava tra le lamiere come se fosse partita dallo spazio. Ivonne Bodigoi era a Parigi, all’École Lenôtre, una delle più blasonate scuole di gastronomia al mondo, per imparare una cucina diversa, fatta di metodo. Suo marito, Tino Scarello, e i figli, Michela ed Emanuele, stavano a Godia, frazione rurale alle porte di Udine, ad aspettare che tornasse. Ivonne aveva lasciato una trattoria onesta, ben frequentata, che lavorava a colpi di banchetti e piatti a buon prezzo, per entrare in un’altra idea di ristorazione. Tino l’aveva seguita, portando con sé la sala e il vino. È in quel gesto condiviso che comincia la storia di Agli Amici 1887 per come lo conosciamo oggi.

Agli Amici: Michela ed Emanuele Scarello
Da casa di famiglia a ristorante consapevole: la scelta di non svendersi mai
Agli Amici è una casa friulana che si trasforma in un pensiero, grazie a una famiglia visionaria, decisa a non rincorrere i clienti ma a offrire qualcosa di unico, non trattabile al ribasso. Nel frattempo, Ivonne era tornata dalla Francia con una grammatica nuova, fatta di mise en place, igiene maniacale e materie prime scelte con cura. Michela ed Emanuele avevano imparato presto a distinguere i gesti necessari da quelli inutili. Crescevano dentro un’idea di cucina che serviva a far star bene. E quando toccherà a loro, non vorranno cambiare strada. Vorranno solo proseguirla con più decisione.

Agli Amici: lo staff
Così, in un posto dove un tempo si veniva per la pasta all’uovo ereditata da una zia emiliana, comincia il racconto di una famiglia che ha fatto del rigore una forma d’affetto. E di una cucina, un atto etico. «Mamma e papà hanno da sempre avuto un ristorante. È un affare di famiglia dal 1887, quindi è sempre stata la loro casa». Così Emanuele Scarello ricostruisce l’inizio senza separare mai il privato dal lavoro. La casa e il ristorante erano lo stesso spazio. Da lì, da una consuetudine che sembrava immutabile, Ivonne Bodigoi ha scelto di cambiare. Il lavoro funzionava, i numeri tornavano, la pasta all’uovo piaceva. Ma il meccanismo era diventato logorante, troppo esposto alla logica del prezzo. Lei ha deciso che bisognava offrire qualcosa di diverso. «Non è possibile perdere un lavoro magari da 80-70 persone perché un altro gli fa 50 lire di meno».
Quando il rigore diventa affetto: l’impostazione come gesto quotidiano
Il passo avanti è una reazione. Quarantacinque anni fa, Ivonne torna con idee nuove e con la decisione di trasformare la cucina in un ambiente dove la qualità non può dipendere dal contesto, ma solo da chi la costruisce. Quel momento è per Scarello l’inizio vero di Agli Amici, nel senso che conosciamo oggi. La madre ha il pensiero, il padre la accompagna. «Papà era sommelier, dopo lo sono diventato anch’io». Ivonne cambia la cucina, Tino prende in carico la sala. Lo fanno con pazienza ma, soprattutto, lo fanno insieme.

Agli Amici: la sala
Il resto è una questione di impostazione, come la definisce Emanuele: «Un’impostazione molto chiara e nitida, non un “intanto iniziamo e poi vediamo”». Prima di cominciare bisogna disporre tutto, non solo gli ingredienti, ma anche i gesti. «Dovevi farti la mise en place, avere tutto ciò che ti serviva davanti a te sul banco, tutto. I tools, le attrezzature, tutta la parte degli ingredienti. Dovevi metterli tutti lì davanti». La cucina che nasce da quella decisione è organizzata ma non gerarchica. Tutto ciò che c’è, è lì perché serve. Da quel lavoro quotidiano, fatto di prezzi giusti e clienti abituali sono nate le basi di una cucina che ora sembra naturale. Ma che ha avuto bisogno di essere inventata.
Dove l’accoglienza si misura in memoria: Michela Scarello e la soglia invisibile
In ogni ristorante esiste una soglia invisibile. Non è il varco tra l’ingresso e la sala, né il momento in cui arriva il pane o si versa il primo calice. È il punto in cui l’ospite si accorge che qualcuno si è accorto di lui. Non solo perché lo ha salutato, magari con deferenza, ma perché ha avuto memoria di lui. E quando questa soglia viene attraversata, allora succede che ci si sente a casa, anche in un luogo che casa non è. Questo punto, a Godia, è sempre stato presidiato da Michela Scarello.

Agli Amici: la blue lounge
«Michela si ricorda tutto», dice Emaneuele. «Sa leggere le persone». Ed è esattamente lì che si annida la distanza tra una sala qualsiasi e un luogo di ospitalità vero. Michela si ricorda il tavolo, certo. Ma anche se, alla fine di quel pasto, l’ospite era uscito col sorriso o con una preoccupazione. Perché la memoria, in un mestiere come questo, serve a comporre relazioni.
La seconda domanda: quando l’attenzione si fa pensiero
Poi c’è “la seconda domanda”. Non quella di cortesia, quella rituale che chiude ogni scambio. La seconda. Quella che arriva dopo aver ascoltato davvero la risposta. Quella che dimostra attenzione e interesse vero. In sala, questa seconda domanda non ha sempre forma verbale. A volte è un tempo d’attesa, un gesto rallentato o, ancora, un cambio di postura. Michela la pratica con naturalezza, come se fosse il primo atto della mise en place. Più che empatia (che pure c’è, e in abbondanza), è pensiero. Perché accogliere, in un luogo come Agli Amici, non significa mai accogliere chiunque, ma, piuttosto, accogliere ciascuno. Michela Scarello ha reso la sala un’estensione di sé, con la stessa finezza che usava sua madre per cucinare. La stessa cura, solo con un altro linguaggio. E chi varca quella soglia, difficilmente la dimentica.

Agli Amici: Caviale Calvisius e nocciola
Un cuoco che arriva dalla sala: l’ossessione per capire tutto
Emanuele Scarello ha cominciato dalla sala. Lì ha imparato a vedere, a misurare lo spazio, a capire la regia. «Ho fatto il percorso di scuola alberghiera lato sala, quindi faccio un percorso di sala molto buono», dice. Poi è diventato sommelier. Poi è andato a lavorare al Boschetti di Tricesimo, che prima di Agli Amici era stato l’unico due stelle Michelin del Friuli. Il passaggio in cucina è arrivato perché metter mano alle cose gli sembrava inevitabile. «Mi piaceva sapere tutto, mi piaceva sapere come veniva fatta una cosa». Eppure non si è mai sentito cuoco per automatismo, perché «non è detto che se un malato prende tante medicine, allora diventa un dottore».

Agli Amici: Gnocchi di patate di Godia, omaggio a Gualtiero Marchesi
Ha iniziato a muoversi. Ha viaggiato, ha visto cucine importanti. «Mi sono fatto come un arcobaleno di cucina, ho fatto un bellissimo giro». Tornava sempre a casa, ma tornava con idee più chiare. Con una struttura sotto i piedi. «Sotto c’era la base concreta di mia mamma», sottolinea. Una base ferma. Tutto quello che è venuto dopo ha preso forma da lì.

Agli Amici: Mazzancolle, acqua di pomodoro camone e nasturzio
Piatti con geografia: la cucina come ordine e rispetto
La cucina di Scarello parte sempre da dove si trova. Un piatto ha una geografia, e quella geografia diventa impegno. A Rovigno come a Godia, la materia prima resta legata a un’identità specifica. «Se mi trovo in Istria, voglio portare un grande rispetto per quella terra lì. Voglio usare un loro prodotto con una visione istriana». Lo dice parlando di scampi, ma vale per tutto. La parola “tradizione” lo lascia indifferente. Preferisce parlare di territorio. Lì trova il senso delle cose. I piatti sono alfabeti. Nessuno ha bisogno di raccontare un’epopea. Hanno un ritmo, e una logica che viene da lontano. «Cucino per fare un piatto buonissimo che abbia la sua direzione». E questa direzione ha a che fare con l’ordine.

Agli Amici: Animella rosolata, battuta di cappasanta con il suo corallo, e nervetti alla nduja
Cucinare è scegliere. Chi lavora in cucina compone un sistema. Ascolta quello che arriva dalla terra, lo interpreta e lo presenta. Scarello ha imparato a fidarsi dell’origine, e chi si fida dell’origine può permettersi di togliere tutto il resto. Godia sta lì, tra Udine e il confine, e produce una lingua tutta sua. Il Friuli è una terra che permette di fare bene. Anzi, come dice Scarello, «di stare benissimo». Nelle sue parole questa possibilità non ha nulla a che fare con il comfort, e nemmeno con un’idea semplificata di qualità della vita. Riguarda piuttosto la condizione rara, e quasi introvabile altrove, di lavorare in pace. Senza pressioni mediatiche, senza dover rincorrere copioni o mode, senza bisogno di raccontare un personaggio prima ancora di avere qualcosa da dire. Il Friuli consente il bene proprio perché lascia spazio e non obbliga al glamour.

Agli Amici: Rombo chiodato, petali di yucca, estratto di karkade` e pompelmo
«Abbiamo la possibilità di fare, con serenità, quello che ci piace fare», dice. Si lavora senza distacco dal contesto. I figli crescono lì. I collaboratori vivono lì. I fornitori scrivono in piena notte per dire che hanno pescato qualcosa di speciale. Il messaggio arriva, e la giornata cambia. A volte basta una zucchina. Non una qualunque, ma quella che magari ha visto un po’ di grandine, quella che in un altro sistema non arriverebbe neanche alla porta.

Agli Amici: Acqua di criollo, rabarbaro, gelato alla tagete e mandorla tostata
Qui arriva, ed entra. Il Friuli è anche un luogo dove una piccola economia può sopravvivere. Dove un ristorante permette la tenuta dignitosa di un ecosistema fatto di contadini, allevatori, pescatori. Persone. Ciascuno porta un pezzo del proprio lavoro e si sente parte di qualcosa. «Quando riesco ad andare verso un piccolo allevatore, un piccolo pescatore, un piccolo contadino – dice lo chef – mi piace da morire». Un senso di giustizia che passa dalle mani. E dal silenzio necessario per farlo agire.
Giustizia è un piatto che tiene in piedi una filiera
D’altronde, il piatto giusto nasce da un sistema giusto. Un sistema agricolo prima ancora che gastronomico. Arriva da una rete di mani che si riconoscono. C’è chi semina sapendo per chi lo fa. C’è chi alleva, chi raccoglie, chi pesca, chi guida il furgone all’alba, chi scrive un messaggio notturno per dire che stanotte il mare ha dato. Emanuele Scarello quei messaggi li riceve e li legge prima del caffè. Il cuoco traduce ciò che altri hanno fatto bene. Un ortaggio uscito storto, un pesce dalla carne spessa. Non esistono scarti in un sistema che ha rispetto per la filiera. Esiste solo la responsabilità di usarli con onestà. Il bello non coincide con il perfetto. Coincide con il giusto. Qui il bello viene servito quando racconta la fatica e costruisce fiducia. Il piatto parla se ha senso. E ha senso se dietro c’è chi ci lavora e chi ci crede.

Agli Amici: Sorbetto al cetriolo, fragole, geranio odoroso e cardamomo
Il giusto, a Godia, è un prezzo che consente a un pastore di restare in quota, a un contadino di seminare senza perdere, a un casaro di non chiudere il laboratorio. Il ristorante tiene in piedi questo sistema. Il gesto finale, quel cucchiaio che appoggia la salsa o quel coltello che rifinisce, arriva alla fine di una catena di rispetto. Tutto ciò che arriva qui verrà trattato bene. E tutto ciò che verrà trattato bene produrrà, a sua volta, giustizia. Così, a Godia, la bellezza sta in una cucina che ha scelto da tempo da che parte stare.