Milano è da sempre una città che respira innovazione e gusto internazionale, e tra le sue vie emerge la cucina di Emin Haziri, chef capace di fondere tradizione italiana, ingredienti semplici e sperimentazione contemporanea. Laureatosi nelle brigate di grandi nomi come Antonino Cannavacciuolo, Haziri ha sviluppato una filosofia culinaria precisa: piatti semplici, eleganti e puliti, con pochi ingredienti selezionati, valorizzati fino all’ultimo dettaglio. Nel suo ristorante, ogni portata è un equilibrio tra materia prima, tecnica raffinata e narrazione personale, capace di sorprendere (e far parlare di sè) senza perdere il rispetto per i grandi classici.

Emin Haziri
Dalle provocazioni gastronomiche come la Carbondoro alla Caprese “scomposta” o la Cacio e pepe rivisitata con pepe Sichuan, fino ai menu vegetariani ispirati a ricordi d’infanzia, Haziri dimostra come la creatività possa convivere con concretezza e gusto autentico. I suoi quattro percorsi di degustazione - tradizione italiana, vegetariano, classico contemporaneo e “Il viaggio dello chef” - rispondono alle esigenze di un pubblico internazionale e curioso, mentre la cucina a vista e lo chef table offrono un’esperienza diretta e coinvolgente, tra precisione e spettacolo discreto.
A causa dei forti temporali che hanno colpito Milano nei giorni scorsi, il ristorante resterà chiuso per circa 10 giorni, nel frattempo in questa intervista esclusiva a Italia a Tavola lo chef Haziri ha ci ha raccontato la sua visione di cucina e come si mangia al ristorante Procaccini.
I piatti provocatori di Emin Haziri: Carbondoro e Bruschetta
Quest’estate sei salito alle cronache per alcuni piatti che hanno fatto discutere, come la Carbondoro o la Bruschetta. Partiamo dalla Carbondoro: una carbonara con caviale, foglia d’oro e zafferano, proposta a 70 euro. È stata una provocazione o volevi trasmettere qualcosa di particolare?
L’idea era quella di creare qualcosa di nuovo, e non è facile oggi perché, in cucina, bene o male è già stato fatto quasi tutto. Volevo un piatto che stuzzicasse il cliente, che incuriosisse. E direi che ci siamo riusciti: grazie al clamore mediatico, tanti clienti - soprattutto stranieri - entrano in sala, vedono la foto online e chiedono subito la Carbondoro. Per me è una soddisfazione: significa che il piatto è riuscito ad attirare attenzione e desiderio.

Carbondoro
La sfida, però, non era solo mediatica: dovevi anche mantenere l’equilibrio tra ingredienti così forti. Come sei riuscito a rendere la Carbondoro non solo sorprendente, ma anche buona?
È stata una sfida personale. Ho fatto diverse prove in cucina per trovare il giusto equilibrio: volevo che fosse un piatto provocatorio, certo, ma che restasse davvero buono. Non basta stupire: un cliente non spenderebbe 70 euro se non uscisse soddisfatto. E poi c’è la tradizione: la carbonara è intoccabile, ogni variazione può scatenare critiche. Il mio obiettivo era riuscire a contaminare un grande classico senza snaturarlo, creando qualcosa che non esisteva. Se alla fine il cliente assaggia, sorride e dice che ne è valsa la pena, allora per me è una vittoria.

Bruschetta
Oltre alla Carbondoro, anche la tua Bruschetta ha fatto molto parlare. Lì hai unito provocazione e tecnica: hai usato il pane di cristallo, un pomodoro lavorato in modo particolare e una presentazione che è più una scomposizione. Come nasce l’idea?
L’idea è stata simile a quella della Carbondoro: volevo creare qualcosa che non fosse replicabile a casa. Una bruschetta normale chiunque la può preparare, ma qui c’è dietro un lavoro tecnico importante. Il pane di cristallo, ad esempio, richiede ore di preparazione; i pomodori hanno consistenze diverse, dal croccante al cremoso, e alcuni devono restare una notte intera in forno. È una lavorazione che puoi fare solo in un ristorante attrezzato, non certo in una cucina domestica. Quindi sì, è stata anche una provocazione, ma con una forte componente di ricerca e tecnica.
Il prezzo di queste creazioni gastronomiche viene sempre compreso?
Il tema più discusso, oltre all’idea, è stato però il prezzo. Mentre nella Carbondoro si può giustificare con ingredienti pregiati, nella bruschetta molti hanno fatto fatica a capirlo, perché parte da un piatto semplice. Come lo spieghi?
Il prezzo nasce da una somma di fattori: le lunghe lavorazioni, il consumo energetico (il pomodoro una notte in forno, il pane ore e ore di cottura), le materie prime selezionate e soprattutto il lavoro di squadra che c’è dietro. Non è solo un pomodoro su un pane: è un piatto costruito con tecnica, ricerca e un’esperienza completa, che include anche un abbinamento cocktail - una sorta di Bloody Mary - che da solo a Milano costa almeno 15 euro. Alla fine, chi lo assaggia lo apprezza davvero: la bruschetta ha la croccantezza e l’immediatezza della tradizione, ma è proposta in una veste elegante e contemporanea. Per me è stata una bella soddisfazione: nonostante le critiche iniziali, è uscita bene ed è piaciuta molto.

Sgombro, barbabietola, yogurt e ristretti di pollo
L’equilibrio tra comfort food, semplicità e cucina raffinata
Come riesci a trovare l’equilibrio tra comfort food, semplicità degli ingredienti e una cucina raffinata di livello?
Uscendo dall’esperienza con Cannavacciuolo, ho fatto mia una filosofia che sento molto vicina: cucina semplice, elegante e pulita, con pochi ingredienti. Dopo tre anni e mezzo con lui e osservando anche altre cucine, ho capito che questo approccio mi rappresenta. Sono una persona molto precisa, non mi piace riempire un piatto di elementi superflui: preferisco valorizzare al massimo la materia prima, magari attraverso una riduzione o un concentrato che ne esalti il gusto. Oggi credo che i clienti cerchino proprio questo. C’è stato un periodo in cui andavano di moda le polveri e le tecniche spettacolari, ma ora le persone vogliono piatti concreti, sostanziosi, che si possano davvero mangiare e ricordare.

Risotto alla Milanese
I quattro percorsi di degustazione del ristorante
Nel tuo ristorante proponi ben quattro percorsi di degustazione: vegetariano, tradizione italiana, classico contemporaneo e “Il viaggio dello chef”. Una scelta piuttosto eclettica: cosa ti ha portato a strutturare così l’offerta e a chi si rivolge in particolare ogni menu?
“Il viaggio dello chef” è quello che mi rappresenta di più, perché raccoglie i piatti che nascono dalle mie esperienze e dalla mia idea di cucina. Il menu vegetariano, invece, è una scelta sempre più richiesta: oggi i clienti cercano un percorso vegetale completo e ben strutturato, e per me è stato importante offrirlo. Poi ci sono i menu legati alla tradizione, con piatti classici italiani: siamo a Milano, una città internazionale che attira tanti turisti e stranieri, e spesso chi arriva qui vuole ritrovare i grandi classici della nostra cucina.

Gambero Rosso di Mazara Del Vallo, limone salato e mandorle
Rivisitare la tradizione: la Caprese “scomposta”
Entrando nel dettaglio, ti faccio un esempio con la Caprese: è una mia interpretazione personale. Parto dalla mozzarella di bufala, con cui realizziamo una tartare che poi modelliamo in uno stampo in silicone a forma di mozzarella. A fianco preparo una salsa con pomodoro datterino rosso, e insieme ricreiamo un effetto visivo particolare: un finto pomodoro che però al palato sa di mozzarella e pomodoro. Un gioco di forme e percezioni, ma sempre fedele alla tradizione.

La Caprese “scomposta”
Cacio e pepe con pepe Sichuan: un rischio calcolato?
In questo percorso c'è anche la Cacio e pepe, ma con un pepe particolare. In questo caso hai contaminato un grande classico con una spezia lontana dalla tradizione: è un rischio calcolato?
Sì, ho voluto giocare un po’. Ci sono piatti che devono stuzzicare e incuriosire i clienti. Nel caso della Cacio e pepe ho utilizzato anche il pepe Sichuan, che è più intenso, ha note quasi di liquirizia e amplifica i sapori. Non sostituisce del tutto il pepe nero, perché li utilizziamo entrambi, ma dà un tocco diverso. Lo stesso vale per i formaggi: non solo pecorino, ma anche parmigiano. È una combinazione che resta fedele al piatto originale, ma lo rende più deciso e sorprendente.

Cacio e pepe con pecorino, Parmigiano e pepe nero di Sichuan
Il vitello tonnato rivisitato
Hai poi il vitello tonnato, che invece sembra restare più vicino alla tradizione. Come lo hai reinterpretato senza stravolgerlo?
Il vitello tonnato lo preparo partendo dal girello di vitello, cotto a bassa temperatura per mantenere la carne tenera e succosa. La mia rilettura sta soprattutto nella salsa: ho creato una maionese alla bottarga, partendo da una base classica a cui aggiungo bottarga di muggine e di tonno essiccata. In questo modo il gusto richiama il vitello tonnato tradizionale, ma con una sfumatura marina che lo rende più interessante.
Il menu “Il viaggio dello chef”
Vorrei entrare nel dettaglio del menu “Il viaggio dello chef”, quello più personale. Il menu si apre con animella, nocciola, ricci di mare e pomodoro: come hai legato questi ingredienti così diversi tra loro?
L’idea nasce dall’equilibrio tra sapori: l’acidità del pomodoro, che riduco fino a ottenere quasi una crema dolce, si sposa con la dolcezza dei ricci di mare. Le nocciole richiamano i miei anni a Torino, mentre l’animella, che amo particolarmente, è un ingrediente che ho portato con me in tutte le cucine dove ho lavorato. Sono elementi che fanno parte del mio percorso e che ho voluto unire in un piatto che mi rappresenta.

Baccala, trippa di baccala e cipolla affumicata
I piatti signature di Emin Haziri
Sempre in questo percorso ci sono altri piatti che porti avanti da tempo. Quali consideri ormai i tuoi “signature”?
Sicuramente lo sgombro, che propongo da 5-6 anni, e lo spaghetto all’anguilla con quinoa, un altro piatto che non manca mai. Poi abbiamo inserito un risotto che considero un cavallo di battaglia: riso, burro, formaggio e ostrica al limone. In totale ho una selezione di otto piatti che rappresentano al meglio il mio stile e che porto sempre con me.

Spaghetti di Pastificio Graziano, anguilla affumicata, scarola, limone salato e quinoa
Maialino con carota, zenzero e curcuma: l’uso delle spezie
Tra gli altri piatti c’è anche il maialino con carota, zenzero e curcuma: un incontro tra Mediterraneo e Asia. Quanto incidono le spezie nella tua cucina?
Le uso, ma con misura. Sono molto più legato a una cucina tradizionale e classica, quindi non mi piace eccedere. Prediligo le spezie più comuni, che uso per dare sfumature e profondità, ma senza mai stravolgere il gusto principale. Ogni tanto mi piace inserirle, come in questo caso, ma restano sempre un accento, non l’elemento dominante.

Maialino con carota, zenzero e curcuma
Il percorso vegetariano di Haziri
Il percorso vegetariano va incontro alle esigenze di chi sceglie un’alimentazione vegetale. In questo menu parti con un piatto che sembra semplice: patate, funghi e nasturzio. Cosa rappresenta per te?
Può sembrare un piatto essenziale, ma in realtà è uno dei più significativi per me. Nasce dal ricordo dei vasi di fiori di mia madre, che da bambino osservavo sempre in casa. Ho voluto trasformare quella memoria in un piatto: utilizziamo un vaso di porcellana come contenitore, dentro il quale inseriamo una spuma di patate. Aggiungiamo i funghi cardoncelli saltati, richiudiamo con un altro strato di spuma e completiamo con una “finta terra”, un crumble salato e dolce ai porcini. Il tocco finale è il nasturzio che fuoriesce, così da ricreare l’effetto visivo di un vero vaso di fiori. È un piatto molto scenografico, ma con radici intime e affettive.

Patate, funghi e nasturzio
Gli spaghetti al pomodoro reinterpretati
In questo percorso proponi anche lo spaghetti al pomodoro, che a prima vista può sembrare un piatto semplice. In realtà dietro c’è un grande lavoro: come lo hai costruito?
Qui ho voluto spingere al massimo il concetto di spaghetti al pomodoro. Utilizzo tre tipologie di pomodoro: un concentrato, dei pomodorini cotti al forno e un’acqua di pomodoro classico ottenuta per estrazione. Invece di bagnare la pasta con brodo vegetale o acqua, la porto a cottura proprio con quest’acqua di pomodoro. Il risultato è uno spaghetti che diventa completamente impregnato di pomodoro, portando questo piatto simbolo della cucina italiana alla sua espressione più pura ed essenziale.
I dessert del ristorante
Ti occupi anche dei dessert? C’è qualcuno che ti affianca in brigata o ci pensi tu direttamente?
In brigata ho un pasticcere con cui lavoriamo insieme ai dolci. Abbiamo creato due dessert che richiamano la tradizione, ma non in modo classico. Il primo è il tiramisù, realizzato con il sifone: diventa una spuma di mascarpone che evoca il gusto del tiramisù tradizionale, ma con una consistenza più leggera e moderna. Il secondo è il nostro dessert di punta, il babà. Non è il classico napoletano: lo prepariamo con una bagna all’arancia e frutto della passione, e lo farciamo con una crema alla vaniglia e una crema al frutto della passione. È un dolce fresco, senza alcol, che mantiene la forma del babà ma con un’anima diversa.

Cioccolato, Grue di cacao e nocciola
Il piatto signature ancora da creare
Hai detto che il tuo vero piatto signature è quello che ancora non hai progettato. È così? Stai già lavorando a qualcosa di nuovo che potrà sorprenderci?
Assolutamente sì. Tra un mese e mezzo, al massimo due, cambieremo menu e ci sarà sicuramente un nuovo piatto destinato a far parlare di sé. Mi piace questa sfida: ogni stagione porta un menu diverso e diventa uno stimolo per me e per la brigata. Cerco sempre di proporre qualcosa di inedito, che non si sia ancora visto. È un percorso di continua ricerca, ma anche di crescita personale, perché ogni piatto nuovo è un tassello in più della mia cucina e della mia identità.

Linguine di pastificio graziano, aragosta e salsa champagne
La cucina a vista e lo chef table
Il tuo ristorante ha una cucina a vista, un’open kitchen con anche lo chef table. Non hai paura che in questo modo si perda un po’ il “sacro teatro” del fine dining?
No, anzi: è stato pensato proprio così. Volevo che i clienti potessero vedere come lavoriamo e vivere l’esperienza da vicino. Naturalmente siamo molto attenti: la cucina è sempre in ordine, pulita e organizzata al massimo, soprattutto durante il servizio. In realtà questo contatto diretto rafforza il valore dell’esperienza, perché i clienti possono osservare la cura e la precisione che mettiamo in ogni piatto.

L‘open kitchen e lo chef table del ristorante Procaccini
Lo chef table è pensato per quattro persone. È un’esperienza più intima: oltre al cameriere e al sommelier, ci sono anch’io che servo personalmente e dialogo con i clienti. È un momento di contatto diretto tra cucina e ospiti, che possono vivere davvero tutto quello che succede davanti ai fornelli.
Come si prenota lo chef table? Serve una lista d’attesa?
È sufficiente richiederlo al momento della prenotazione: chi chiama può indicare di voler stare allo chef table e noi lo riserviamo. Non ci sono lunghe liste d’attesa: di solito sono coppie che vogliono vivere un’esperienza diversa e più coinvolgente. Visto che lo chef table è proprio davanti alla cucina, è sempre molto apprezzato, perché offre un punto di vista unico su tutto il nostro lavoro.
Musica dal vivo in sala
In sala proponete anche pianoforte e musica dal vivo. Vuoi creare un’esperienza multisensoriale? La musica è collegata in qualche modo alla cucina?

La sala interna del ristorante Procaccini
No, non strettamente. È stata più una scelta di atmosfera e gusto personale: ci piace avere un maestro che suona dal vivo, in modo leggero e discreto, che accompagna la scena senza essere invadente. L’idea è creare romanticismo e magia, un valore aggiunto all’esperienza del cliente. Al momento non abbiamo pensato a un collegamento diretto tra musica e percorsi culinari, ma comunque contribuisce a rendere l’ambiente elegante e armonioso.
Campagna pubblicitaria e visibilità
Avevi fatto una campagna pubblicitaria sui cartelloni. Perché questa scelta e ha funzionato?
Sì, abbiamo fatto una campagna per dare più visibilità al brand e al ristorante Procacini. Funziona perché i clienti vedono il cartellone, si incuriosiscono e spesso vanno direttamente sul sito per prenotare o informarsi. Alcuni cartelloni sono ancora in giro per Milano, quindi la campagna continua a dare visibilità, oltre ai social.
Lo slogan #cipensaemin
Oltre a questo metodo di promozione più “antiquato”, hai un'attenzione particolare anche alla tua comunicazione social: ormai sei riconoscibile anche grazie allo slogan “Ci pensa Emin”. Come funziona?
Ogni giorno pubblico una ricetta sui social, spesso rivisitando piatti classici come la pasta aglio, olio e peperoncino con un ingrediente speciale. Nel video compare la frase “Ci pensa Emin”, che è diventata un piccolo tormentone. Lo slogan dà riconoscibilità e crea un legame con il pubblico, facendo sì che anche chi non frequenta il ristorante ci riconosca. Anche fuori Milano, in contesti più piccoli, cuochi e appassionati mi riconoscono grazie allo slogan. È divertente, coinvolgente e contribuisce a creare un’immagine curata e coerente. Oggi la comunicazione è fondamentale e, se fatta bene, paga sempre.
L’intervista a Emin Haziri mostra come la cucina contemporanea possa dialogare con la tradizione senza rinunciare a tecnica e originalità. Ogni piatto è il risultato di ricerca, esperienza e passione, pensato per sorprendere e coinvolgere i clienti in un percorso multisensoriale. Dalla scelta degli ingredienti alle reinterpretazioni dei classici, dal menu vegetariano alle provocazioni gastronomiche, Haziri dimostra che innovazione e semplicità possono convivere, trasformando una cena in un’esperienza memorabile, capace di emozionare e lasciare un segno nella memoria di chi la vive.
Chi è Emin Haziri
Emin Haziri, di origine kosovara, classe 1995. È l'executive chef del ristorante Procaccini a Milano. Nel corso della sua carriera, ha lavorato in brigate prestigiose tra cui Villa Crespi, Enrico Bartolini, Le Petit Nice Passedat, Noma e Carlo Cracco. In passato, è stato anche executive chef al Bistrot Cannavacciuolo di Torino. La sua filosofia culinaria si basa sulla contemporaneizzazione della tradizione e su un'attenta selezione di materie prime d'eccellenza. Il suo approccio è guidato dal rispetto per il ritmo della natura e dalla ricerca dei migliori prodotti del territorio

Emin Haziri, executive chef del ristorante Procaccini a Milano
Hai avuto un passato piuttosto travagliato: sei arrivato in Italia come rifugiato cecoslovacco. In che modo questa esperienza ti ha influenzato e guidato nel percorso che ti ha portato alla cucina che fai oggi?
Sono partito praticamente dal nulla, quindi la voglia di fare e di “strafare” è stata la griglia che mi ha formato nel mondo della cucina. Non è facile emergere, lavorando sia in brigate importanti sia con grandi maestri. Penso che il mio passato duro mi abbia reso più forte: mi ha insegnato disciplina, determinazione e resilienza, tutte qualità che servono moltissimo in cucina.
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