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in sicilia

Carmelo Chiaramonte e l’eleganza assoluta dell’informalità di un’osteria rituale

Gabriele Pasca
di Gabriele Pasca
21 settembre 2025 | 12:30

Carmelo Chiaramonte parla come cucina. A fiammate, per scarti laterali, con quella misura artigiana che rifiuta il formato standard e preferisce il vivo, la padella al momento, la pennellata che cambia sul piatto di ceramica, perché la ricetta magari resta, però la vita scorre e detta sfumature; da qui parte Caro Melo, cortile di Donnalucata ribattezzato osteria rituale, luogo gentile per definizione, teatro leggero che offre sorpresa, gioco, invenzione e una grammatica sensoriale che punta alla mente oltre che al palato, con piatti dal nome sghembo e una filosofia che Carmelo riassume in quattro parole scolpite: “eleganza assoluta dell’informalità”.

Carmelo Chiaramonte e l’eleganza assoluta dell’informalità di un’osteria rituale

Carmelo Chiaramonte

Crudi in vetrina e arrivi che calano: Carmelo sceglie fragranza e sostanza viva

L’isola quest’anno ha contato numeri contraddittori: arrivi che ballano, un maggio e un giugno in apnea per la sparizione del turismo estero, il grande mare dei crudi trasformato in totem (ostriche con l’oro zecchino, gamberi a tariffa da cartellone, coperti che volano a trecento, quattrocento, seicento nei weekend tra Modica e Ragusa) e una provincia che rincorre la vetrina mentre inciampa sul treno e sulle tratte aeree.

Carmelo Chiaramonte e l’eleganza assoluta dell’informalità di un’osteria rituale

Il giardino esterno di Caro Melo

Dentro questa spinta verso il “life style del crudo”, Carmelo tiene la barra su una strada fatta di meno scenografia e più sostanza viva; meno rigenerazioni militari, più fragranza d’istante; meno omologazioni d’amaro e di acidità, più naso, più botaniche studiate sul posto, fino alle cene “a soggetto” nelle ville e nelle cantine, con sopralluoghi un mese prima per capire quali piante respirano meglio quel suolo.

Repertori e maestri: la cucina come metrica tra passato, stagioni e meticciato

La cucina, per lui, esige repertori e metrica, perché chi vuole scrivere musica propria studia tutti i ritmi, dal foxtrot al tango, con lo stesso rispetto con cui un cuoco frequenta i maestri e il passato, dalla tavola medievale alla romanità, dai grandi contemporanei fino a quel meticciato colto che respinge l’illusione della monade creativa.

Carmelo Chiaramonte e l’eleganza assoluta dell’informalità di un’osteria rituale

L'ingresso di Caro Melo - Osteria rituale

Da qui il gesto, spesso citato, di un piatto che guarda a Moreno Cedroni o a una suggestione antica; da qui la regola di un menù a fisarmonica, con zoccolo stagionale e deviazioni rapide quando il pescato cambia o una zuppa chiama il suo posto; da qui la convinzione che il tempo migliore per cucinare davvero stia tra gennaio e aprile, quando gli agrumi tirano e il pesce porta dentro sapori pieni di riproduzione invernale.

La parabola del racconto: selezione dei commensali, poesia e carica del pesce

Il racconto resta il talento più puro, lo strumento che Carmelo sceglie per la prossima decade: «la mia parabola di cuoco diventa racconto», dice, e quel racconto prende forme diverse - live, video, scrittura, documentazione - perché una parte di pubblico desidera codici, rito agricolo, conoscenza; metà sala sta tra i trenta e i trentacinque anni e cerca proprio questo: affettività, curiosità, godimento informato.

Carmelo Chiaramonte e l’eleganza assoluta dell’informalità di un’osteria rituale

La brace di Caro Melo

La narrazione, però, chiede responsabilità e selezione; al telefono lo staff filtra i nuovi ospiti, distingue chi cerca l’esperienza e chi arriva trascinato da classifiche e portali, perché una cucina che rispetta la carica iodata del pesce (crudo o toccato con mano lieve) richiede predisposizione e fiducia; i numeri raccontano un solo invio indietro su quattrocento piatti, misura di un equilibrio che privilegia poesia e materia.

Carbonara globale e cucina dal vivo: il lusso sta nello svuotare la mente

Intorno, il mondo corre verso l’ovvio. La carbonara diventa bandiera planetaria, quasi conforto salato da dispensa psichica; l’industria del gusto spinge trame uniche, la televisione ha già sfruttato l’epica dei cuochi; Carmelo confessa una parentesi mediatica segnata da ingenuità e scelte di retrovia, però rivendica un percorso anarchico e sincero, né protetto da consorzi di formaggi e prosciutti né adottato da sistemi che in Italia raramente premiano il talento.

Carmelo Chiaramonte e l’eleganza assoluta dell’informalità di un’osteria rituale

La giardiniera di frutta e verdura di Caro Melo

Il corpo centrale del discorso resta lì: cucina dal vivo, cotture semplici, ingredienti trattati con amore, digestione governata con cura, acidità che rianimano, agrumi che ossigenano, erbe fresche come scintille; «il lusso vero oggi - dice - sta nell’uscire a mente libera dopo due o tre ore, nutriti bene e alleggeriti dagli affanni».

Un banco da dieci posti: Sicilia e Oriente in un incrocio futuro

Il capitolo “Sushimuniti” fotografa una delle chiavi più vive: serate ad hoc con ospiti coinvolti e una linea che incrocia Corea, Giappone e Sicilia senza cosplay, con fagioli giganti “alla giapponese” e shitake imbottiti accanto a ricette che fanno respirare un Mediterraneo disciplinato da rigore nipponico, sapori e temperature codificate e libertà esecutiva da izakaya.

Carmelo Chiaramonte e l’eleganza assoluta dell’informalità di un’osteria rituale

Maiale e telline

Qui sta l’ipotesi più netta per il futuro: un banco di dieci posti, ticket deciso, mano sushi-mediterranea dentro un progetto che resta itinerante nel racconto, stabile nell’idea di casa con camino e un pezzo d’orto. La figlia ha dieci anni, l’orizzonte si disegna con misura, eppure la calamita a Est tira forte. Tokyo sembra la sintesi perfetta, perché il gusto cosmetico italiano incontrerebbe profondità nuove, con le botaniche a fare da ponte e una sala che accetta la sorpresa più di quanto accada in molte province italiane.

Donnalucata come teatro: titoli irriverenti e rito della gentilezza spiazzante

Donnalucata, intanto, regala un teatro ideale: cortile, luci oblique, mare a due passi, un canone inverso del rito che mette allegria e festa nella lista dei gesti; Caro Melo si racconta come luogo di gentilezza e di meraviglia, con titoli irriverenti che flirtano con l’innocenza del commensale - “Figa la parmigiana!”, “Porco tonno”, “Cazzo che cozza”, “Farsi una pera”, “Maremosso”, “Cose dritte” - e la promessa di una tavola spettinata, elementare, bella per quel neo bizzarro che rende ciascuno unico.

Carmelo Chiaramonte e l’eleganza assoluta dell’informalità di un’osteria rituale

Profumo di capelli di sirena. Noodles freddi, yogurt, fragole, ostriche, riccio di mare e alghe

L’ospite arriva, si siede, ricomincia il racconto insieme alla cucina; l’accudimento passa dai piatti agli artisti amici che incastrano segni e saperi, fino a comporre una liturgia leggera.

La zuppa di pietre e il pane al nono piatto: il narratore puro di Carmelo

C’è poi la pagina che racconta il Carmelo narratore puro, quella la zuppa di pietre di Salina, ricetta afferrata da un’antropologia da isola in mare grosso (cipolla, acqua, pomodoro secco, pietre con alghe) diventata emblema di povertà profumata e speranza; quella volta in cui l’ha portata in pubblico, sacchi di ciottoli consegnati al molo di Milazzo, il pentolone largo e la cucina d’assalto tra colleghi, due cucchiai per ciascuno e racconto che si pianta nella memoria; la cucina che salva la mente quando esce dal muscolo ingrassato del comfort, stimola con una lattuga tenuta tre giorni in acqua d’anice, insegue una crema di limone fermentata, poi all’improvviso piazza un’animella borgognona, e solo al nono assaggio offre il pane, perché il corpo desidera pane davvero dopo un percorso di solletico vegetale e acidità intelligenti.

Carmelo Chiaramonte e l’eleganza assoluta dell’informalità di un’osteria rituale

Zuppa di mandorle e vongole

Da quell’esperimento nasce una regola: la pancia dell’ospite va trattata con gentilezza lunga, intensità calibrata, progressione pensata come musica.

Like e talento: scuole in affanno e un gruppo narrativo per eroi quotidiani

Nel mezzo, Carmelo allarga lo sguardo e mette in fila diverse verità scomode. Il presente social che esalta chi produce like e penalizza chi produce profondità, l’educazione alberghiera che fatica ad allenare il talento; di fronte, un pubblico che chiede racconto e qualità, e una regione che dovrebbe scommettere più forte su collegamenti, calendario e cultura gastronomica. Da qui l’idea di un gruppo di lavoro dedicato alla produzione documentaria, unità mobile di ricerca e testimonianza: agricoltori, allevatori, pescatori, vignaioli, gli “eroi del quotidiano” con cui Carmelo ha camminato per decenni e che oggi entrano nel copione di Caro Melo.

Carmelo Chiaramonte e l’eleganza assoluta dell’informalità di un’osteria rituale

Pera coscia confit, ricotta e acqua di cannella

Un noodle ghiacciato come manifesto: eleganza assoluta dell’informalità

L’immagine finale la regala un noodles freddo, quasi ghiacciato; piatto spiazzante servito in un luogo che sembrerebbe votato a tagliolini alle cozze e leggerezza da cartolina; invece arriva una lama pulita, concettuale e confortante insieme, roba che avrebbe fatto clamore con il nome giusto sul frontespizio; qui fa quello che serve: racconta il presente di Carmelo, cioè una cucina colta e divertita, profondamente mediterranea, con mente curiosa rivolta a Oriente, capace di dare forma all’idea semplice e alta dell’eleganza assoluta dell’informalità. E da lì riparte il gioco.

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