Ne avevo accennato a suo tempo ma solo “di striscio”. Questa volta, vorrei affrontare l’argomento in modo più profondo, con la speranza di sollecitare l’attenzione degli addetti ai lavori. Sto parlando dell’illuminazione nei ristoranti, in particolare quella destinata ai tavoli dove siedono gli ospiti. La cosa non riguarda solo i locali più celebrati e creativi, ma gli esercizi in genere perché, a quanto pare, su questo argomento non vi sono divisioni di classe.
È indubbio che, quando si va al ristorante, in trattoria, pizzeria o anche in un “fast food” o luogo di “tapas”, tutti i clienti siano spinti dalla curiosità di mangiare bene ma anche di poter “vedere” ciò che arriverà sul proprio tavolo. Negli ultimi decenni, la preparazione in cucina, ha subito un’evoluzione straordinaria, con preparazioni “al piatto” di grande effetto estetico. Per questo non è tollerabile che questo lavoro sia messo in ombra da un’illuminazione carente o, addirittura “scadente”.

Certo, navigando nei miei ricordi, non posso dimenticare - eravamo negli anni ’70 - qualche locale tipico, rustico e trasteverino, nel quale la luce era un optional ma, in quel caso, più che giustificato da una contemporanea carenza nella qualità dei cibi proposti, compensata da molta allegria che, forse, ai numerosi turisti stranieri, bastava. Poi, per fortuna, anche da quelle parti il livello gastronomico migliorò ma, purtroppo, non quello dell’illuminazione dei tavoli.
Per fortuna, verso gli anni ’80, arrivò sulla scena il grande Gualtiero Marchesi, al suo esordio nel mitico ristorante di via Bonvesin de La Riva a Milano, il quale anche in questo settore diede una lezione difficilmente dimenticabile. I suoi tavoli, di un’eleganza sobria ed inarrivabile, erano illuminati, singolarmente, da una lampada a stelo, semplice nella sua perfezione, che metteva in perfetta luce ogni piatto, creando un rapporto “teatrale” con il cliente che diventava spettatore dello spettacolo che il Maestro proponeva ogni giorno con creazioni che definire “pittoriche” può apparire riduttivo. Ogni piatto era illuminato in un modo semplicemente perfetto!
Un altro esempio dello stesso periodo: in Svizzera, a Crissier, vicino a Losanna, esisteva un altro “mostro sacro” della cucina, Frédy Girardet, grande amico e, sicuramente, tra i migliori cuochi del mondo. Insieme ad alcuni amici gourmet, decidemmo un giorno di fare una gita “fuori porta”. Eravamo in 12. Io mi occupai della prenotazione, quasi proibitiva per quel luogo. Prendemmo il treno; arrivati a Losanna, qualche taxi e, come si conveniva, arrivammo puntualissimi all’Hotel de La Ville, accolti amichevolmente da Girardet che ci mostrò dapprima la grande sala (a onor del vero un poco in penombra), e poi ci accompagnò al tavolo appositamente allestito per noi.
Senza indugiare sulla magnificenza del cibo e del servizio, assolutamente indimenticabili, la cosa che mi colpì furono proprio le luci. Il controsoffitto della grande sala da pranzo disponeva di molti spot che sembravano fissi. Invece, come per magia, sulla nostra tavolata le luci illuminarono in modo perfetto le 12 posizioni. Chiesi a Frédy come funzionassero e lui mi rispose che, nel restauro del locale (parliamo di anni ’80...) aveva dedicato uno studio particolare alle luci che, con piccoli motori rotanti, proiettavano la luce direttamente sopra ogni posto a tavola.
Che ne dite, varrebbe la pena di pensarci? Non è necessario svenarsi, bastano dei piccoli, intelligenti accorgimenti, magari facendosi aiutare da chi se ne intende, e il gioco sarà fatto.