Quotidiano di enogastronomia, turismo, ristorazione e accoglienza
domenica 07 dicembre 2025 | aggiornato alle 19:00| 116192 articoli in archivio

Brand ambassador e barman non sono la stessa cosa

Ernesto Molteni
di Ernesto Molteni
presidente ABI Professional
07 aprile 2020 | 08:06

Le aziende del mondo del beverage tendono ad avvalersi di figure commerciali per proporre il loro brand. È una forma di marketing che mira a promuovere i prodotti e ottenere più consensi e soprattutto più vendite nei bar. I barman che hanno avuto successo e visibilità nell’ambito di competizioni o nei locali sono figure molto ricercate. E difficilmente rifiutano questo tipo di proposta perché da un lato ci sono ottime condizioni remunerative, dall’altro aumenta la loro fama. In questo modo molti barman entrano nel mondo commerciale e imprenditoriale tralasciando un po’ quella loro funzione di accoglienza e professionalità legata generalmente all’ambito del bar.

Brand ambassador e barman non sono la stessa cosa

Brand ambassador e barman non sono la stessa cosa

La cosa non è del tutto negativa, nasce una nuova figura imprenditoriale e commerciale. L’errore è quello di valutare tale figura come una classificazione di merito del barman. Se è bravo a livello commerciale non è detto che sia il barman più qualificato: ce ne sono tanti altri che tutti i giorni lavorano dietro il bancone, molto apprezzati dalla loro clientela e magari sconosciuti nel web. Lo stesso problema lo vediamo verificarsi, anche se in modo diverso, con gli chef che diventano famosi nei programmi televisivi a tal punto che ormai non fanno più il loro lavoro.

Oggi c’è la tendenza ad avere tutto e subito con la smania di diventare presto manager e non lavorare più dietro il banco bar, manca lo spirito di sacrificio e la passione nel nostro lavoro. Una volta per tutte dovremmo lanciare un messaggio importante all’opinione pubblica per salvaguardare il ruolo della nostra professionalità: il barman è tale solo se lavora in un bar dietro il bancone, così come lo chef è tale se sta in cucina dietro i fornelli, il sommelier solo se lavora effettivamente al servizio dei vini in un ristorante e via dicendo.

Quale istituzione può garantire tale percorso deontologico, etico e morale se non un’associazione professionale? È lei a stabilire i corretti parametri per valutare e giudicare meriti e bravura, per far accrescere la qualità della nostra professione e classificare al meglio i barman professionisti. È ovvio che si parla di associazioni no profit con obiettivi di questo tipo visto la tendenza oggi a diventare commerciali e aziendalisti, in caso contrario non avrebbe senso. Lancio un appello a tutte le associazioni di Solidus per discutere attorno a questo argomento.

© Riproduzione riservata