L’universo ristorazione conta oltre 675 mila dipendenti, ma nel 2024, come segnala il Rapporto annuale sulla ristorazione della Fipe -Federazione italiana pubblici esercizi, il 23,1% delle imprese ha segnalato difficoltà a coprire il proprio fabbisogno di personale. Il 35,6% ha cercato o assunto nuovi dipendenti e, tra queste, il 90,2% ha incontrato ostacoli nel reperire figure professionali come camerieri, cuochi, banconisti, baristi e lavapiatti. Nel 38,1% dei casi per la scarsa disponibilità di profili con le competenze richieste. Questo anche perché solo il 5,8% delle imprese collabora con scuole professionali o istituti di formazione. Alla luce di questo fermo immagine sul settore la formazione rappresenta un nervo scoperto.

Domenico Candela a Ischia Safari On Tour a Bellagio (Co)
Formazione, i giovani, gli istituti alberghieri e lo Stato
«La cucina ha un enorme valore sull'impatto turistico, visto che ogni anno arrivano tanti stranieri che mangiano nei nostri ristoranti - ha dichiarato a Italia a Tavola il presidente Fic Federazione italiana cuochi Rocco Pozzulo - Ma a chi affidiamo la cucina? A persone non formate, non professionali? Questo è un aspetto che dobbiamo affrontare seriamente, ma sembra che nessuno voglia capirlo, o forse non ci sono risorse economiche. Ma come è possibile che lo Stato non riesca a trovare risorse da destinare agli istituti alberghieri per l’acquisto delle materie prime? Diventa difficile pensare che questo settore sia veramente considerato importante. Il segnale che arriva è molto negativo. La realtà è che tutti cercano di andare avanti come possono, ma sarebbe giusto fermarsi e riflettere sul futuro della cucina italiana, su dove vogliamo arrivare e cosa vogliamo fare. Un giovane che si iscrive a un istituto alberghiero ha l'idea di fare il cuoco, ma se sapesse che il suo lavoro è riconosciuto come usurante, questo gli darebbe un forte incentivo. Significa che sta scegliendo una professione che ha un riconoscimento importante e che gli permetterà anche di gestire la sua vita privata in futuro. Bisogna rendere l’alberghiero una scuola più attraente, con più risorse e opportunità».
La Fipe riunisce le scuole di formazione
Una nota positiva è la nascita dell'Associazione delle Scuole di alta formazione della ristorazione sotto l’egida di Fipe. L’associazione riunisce le principali scuole italiane dedicate alla formazione di cuochi, maître, camerieri e pasticceri, con l’obiettivo di migliorare e coordinare il sistema educativo e rispondere in modo efficace alle esigenze del mercato. L’importanza della formazione nel settore della ristorazione, e in generale nei pubblici esercizi, è stata da sempre uno degli aspetti fondamentali per lo sviluppo e la crescita qualitativa delle aziende che operano in questo settore.

Domenico Candela, al centro, brinda con la sua brigata
L’elevato apporto di capitale umano richiesto dalle imprese, tuttavia, non sempre riesce a trovare risposte adeguate e tempestive sia in termini qualitativi che quantitativi. Un aspetto chiave su cui si concentra l’associazione è il miglioramento delle competenze, un tema centrale anche per le imprese. Quelle della ristorazione, infatti, sono chiamate a soddisfare le aspettative di un pubblico sempre più consapevole e preparato e la formazione diventa il perno fondamentale su cui costruire un'offerta di valore. Le scuole di ristorazione, sala e bar devono costituire una parte importante di questo mosaico che Fipe sta cercando di realizzare e lo sforzo deve essere quello di mettere a fattor comune, pur nel rispetto delle autonomie di ciascuna scuola, tutte le esperienze già in atto.
«Con la costituzione di questo Gruppo - si puntualizza dalla Fipe - intendiamo creare una struttura snella che grazie a un coordinamento nazionale possa dare un respiro più ampio a tutte quelle attività di istruzione e formazione per i pubblici esercizi, anche al fine di consentire di essere interlocutrice principale nei confronti di tutti i soggetti istituzionali che, a diverso titolo, operano nel mondo del lavoro, della formazione e dell’istruzione».

Il Grand Hotel Parker's di Napoli è stato inaugurato nel 1870
La formazione è una tematica trasversale a tutta la ristorazione, punto nevralgico in ogni cucina. Un argomento nell’aria anche a Ischia Safari, evento oggi itinerante, ma che ormai da dieci anni mette in scena sull'isola campana il sapere e l'esperienza di cuochi di alto lignaggio. Un viaggio lungo l'identità della cucina italiana. Al Grand Hotel Villa Serbelloni di Bellagio (Co) Italia a Tavola ha incontrato Domenico Candela, a Napoli artefice del successo del George Restaurant, due stelle Michelin al Grand Hotel Parker’s, il primo Relais & Chateaux della città. Aperto nel 1870, è stato anche il primo hotel cinque stelle lusso di Napoli. Affacciato sul golfo, è da sempre uno dei luoghi più rappresentativi dell'accoglienza partenopea. Negli anni ha saputo rinnovarsi senza perdere la propria identità, puntando con decisione sulla ristorazione.
Domenico Candela, dialogo e confronto diretto in cucina
«La formazione è molto importante - spiega Candela - Il nostro futuro sono i giovani e dobbiamo trasmettere un esempio e la conoscenza. L'esempio, il riferimento, fa in modo che i ragazzi prendano la strada giusta. Ma tutto questo allo stesso tempo deve partire anche dalle scuole. Le istituzioni devono fare in modo che questi ragazzi siano pronti per il lavoro. Il fattore umano è fondamentale. Prima il rapporto serrato era nelle cucine, anche in modo aspro, ambienti duri. Con il passare del tempo alcuni eccessi sono scomparsi, ma il confronto diretto resta comunque un punto fermo. Sono molto presente in cucina; è importante dare l'esempio e cerco tutti i giorni di mettermi in discussione e confrontarmi con la brigata. Parlare è necessario e aiuta a risolvere i problemi. In genere cerco sempre di accogliere ragazzi giovani per formarli e poi lasciarli liberi di prendere la propria strada, come ho fatto io. Va comunque sempre tenuto a mente che un'azienda è fatta di risorse umane, che sono fondamentali per il successo di un ristorante. In assoluto cerco di formare e far crescere chi sta con me. L’alta ristorazione sta navigando in buone acque anche perché ci sono tanti giovani cuochi che sono stati formati bene. Nel mio caso posso dire di aver avuto grandi maestri e di aver vissuto esperienze formative. George è un ristorante di successo, che piace molto anche ai napoletani. E questo era uno dei miei obiettivi: diffondere a Napoli una cultura gastronomica di più ampio respiro, che va oltre i limitanti stereotipi legati unicamente alla tradizione».

Domenico Candela in azione al George Restaurant
Seguendo questa linea, nei suoi piatti Domenico Candela miscela i prodotti della Campania, le tecniche dell’alta cucina e le suggestioni internazionali mutuate dai suoi viaggi. Così la carta di George Restaurant si trasforma in un percorso che porta dalle profondità della tradizione partenopea alle vette della sperimentazione, da Napoli alla Francia e al resto del mondo.
Professione cuoco, uno stile di vita
L’influenza della scuola francese si fa sentire. Torna, per esempio, nelle salse, che secondo Candela sono il dna della cucina, ma anche nei consumé, nelle riduzioni, nelle tecniche di cottura. Fin dai primi passi in cucina, Candela ha imparato il significato di disciplina, rigore, impegno, dedizione al lavoro a 360°, perché «questo mestiere è uno stile di vita». Questa visione contempla il rispetto della materia prima, la stagionalità, la ricerca del prodotto del territorio. «Vado dai contadini a scegliere le verdure - annota - In questo modo contribuisco a far crescere le piccole aziende. E questa è vera sostenibilità».

Il celebre Pomod'Oro di Domenico Candela
Oggi trentottenne, ha affiancato importanti cuochi fin da giovanissimo. Il suo percorso l’ha portato avanti e indietro tra Italia e Francia. Eccolo con Antonio Guida a Il Pellicano di Porto Ercole e con Damiano Nigro al Relais Villa D’Amelia a Benevento. E poi a Capri, a Il Quisisana, con Stefano Mazzone e con la famiglia Bianconi al Ristorante Vespasia di Norcia. Di nuovo in Francia, con Yannick Alléno e Alain Solivérès, e in Italia con Enrico Bartolini, che gli ha insegnato le moderne tecniche di cottura, senza mai rinunciare alla sperimentazione. Entrano quindi in gioco la fermentazione, la sferificazione e altre tecniche che gli permettono di “trattare” la materia prima anche fuori stagione, pur restando convinto dell’importanza di cambiare il menu seguendo i ritmi della natura. La cucina tradizionale viene proposta in modo inedito, rinnovata grazie a nuovi menu, ricchi di piatti equilibrati, a base di sapori netti e riconoscibili. Tra i suoi classici ricordiamo la Scaloppa di foie gras delle Landes alla plancia, glassa di cipolla nera, clorofilla di alloro, emulsione di provolone del Monaco, il Pomod’Oro (spaghettone di Gragnano Igp con pomodori campani in diverse varietà e consistenze) e l’Anguilla cotta al Kamado con crema di erbe spontanee, olio di abete, misticanza piccante, estratto di acetosa.
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