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The Rum Day, un successo la 4ª edizione Due giorni di gusto e consapevolezza

Guido Gabaldi
di Guido Gabaldi
07 novembre 2017 | 12:43

E quattro! Il Rum Day a Milano, in via Watt zona sud-ovest, il 5 e il 6 novembre ha festeggiato la sua quarta edizione regalando ad un mondo di appassionati sempre più curiosi due giorni di assaggi ed emozioni.

Che risultano complesse da spiegare a chi non conosca da vicino questo macrocosmo, fatto di milioni di amanti del distillato di melassa o di puro succo di canna da zucchero, che di certo non si accontentano del primo prodotto sullo scaffale del supermercato, o magari miscelato da un barista poco accorto.

(The Rum Day, un successo la 4ª edizione Due giorni di gusto e consapevolezza)

Per chi abbia la passione del cocktail o del distillato di qualità, è un appuntamento da non mancare: i grandi protagonisti del settore, come Luca Gargano, Gianni Vittorio Capovilla e Richard Seale mettono a disposizione tempo ed esperienza per animare incontri, seminari, degustazioni e da quest’anno anche la Rum School. Si tratta, in quest’ultimo caso, di vere e proprie lezioni frontali (con posti limitati) tenute da personalità di spicco del settore, pronte a condividere tutta la sapienza che accompagna la coltivazione della canna da zucchero, la distillazione, la maturazione in botte e la miscelazione in drinks che possono risultare di volta in volta esotici, sensuali, sorprendenti.

Chi frequenta questi stand ha familiarità con case produttrici grande e piccole, newcomers di altissimo livello o aziende di valore storico, come El Dorado, Brugal, Neisson, Foursquare, Capovilla, Mezan, Saint James, Bielle, solo per citarne alcune: ma forse è il caso di familiarizzarsi anche con lo scenario di mercato, particolarmente in Italia, una terra dove il rum non è mai stato in cima alle classifiche di vendita.

Lo stand della distilleria Capovilla (The Rum Day, un successo la 4ª edizione Due giorni di gusto e consapevolezza)
Lo stand della distilleria Capovilla

«Anzi, a livello di volumi generali di vendita, negli ultimi anni è perfino in ribasso». Ne sto parlando con Germano Pedota, brand manager di Velier, distributore di liquori e distillati di qualità in tutta Italia. «All’incirca dal 2009 in avanti, in Italia, cala il consumo di rum da usare in mixology, e cresce quello di altri prodotti da shaker, come vodka e gin. Nello stesso tempo, va ampliandosi la schiera di coloro che dal rum, sia di melassa sia di puro succo di canna, vogliono qualcosa in più e non si accontentano del sapore massificato, industriale. In altri termini, si è conquistato i suoi spazi il rum di tipo "superpremium", quello che al pubblico non si vende a meno di trenta euro. E la tendenza, secondo me, è di lungo periodo».

Come si giustifica questa nuova tendenza?
Probabilmente è cambiato il modo di bere: negli anni novanta andavano forte le discoteche, e in un ambiente come quello poteva girare senza problemi un po’ tutto. Voglio dire che il consumatore non stava troppo attento a cosa beveva, in purezza o miscelato. Con la crisi delle discoteche è cambiato il modo di divertirsi fuori casa, è tornato di moda il bar e si sono diffusi i pub, e ciò ha influito anche sulla cultura del barista, oggi più informato e più propenso a condividere con il cliente un’esperienza gustativa. Che è proprio un altro mestiere, rispetto al propinare alcolici di qualsiasi tipo al minor prezzo possibile.

Germano, vogliamo parlare del domani? Cosa accadrà di rilevante nel mercato dei distillati?
Lo si vede anche da quanto accade qui, al Rum Day 2017. Nonostante la Domenica di pioggia tantissima gente affolla gli stand, frequenta i seminari, assaggia soprattutto rum, ma anche whisky, cachaça (il rum brasiliano), american bourbon e cocktail, tutti di altissimo livello. Indietro non si torna, gli italiani continueranno a informarsi in modo sempre più consapevole, a bere meno in termini di volume e a privilegiare la qualità. Parlavamo prima di un possibile slogan per il mercato di domani: la curiosità è vincente, ecco lo slogan.

Che in qualche modo somiglia allo “stay hungry, stay foolish” di Steve Jobs, ossia al tema del discorso del genio californiano ai laureati di Stanford, dodici anni fa.

Richard Seale (The Rum Day, un successo la 4ª edizione Due giorni di gusto e consapevolezza)
Richard Seale

E poiché la qualità sembra diventata irrinunciabile, ne parliamo anche con un personaggio di grandissimo rilievo, uno dei protagonisti delle lezioni della Rum School in questa due giorni alcolica e istruttiva. Sto parlando di Richard Seale, il pronipote di Reginald Leon Seale, fondatore della storica distilleria Foursquare nelle Piccole Antille, e precisamente a Barbados. Richard è uno dei master distiller più vincenti del mondo, grazie alle sue ultrapremiate etichette Doorly’s, R.L. Seale, Real McCoy e St. Nicholas Abbey.

Che cosa serve davvero oggi, Richard, al consumatore che esige la qualità?
Innanzitutto gli serve sapere cosa stia bevendo. Intendo dire che ci vuole più informazione nelle etichette: se ci sono aggiunte di zucchero, caramello, aromi artificiali tutto questo va scritto. Io ci metterei, molto sinteticamente, perfino cosa accade durante l’intero processo di produzione, dalla coltivazione delle canne da zucchero fino alla maturazione in botte e poi all’imbottigliamento. Senza questi dati di base, è troppo facile commercializzare distillati mediocri.

E visto che ne ho parlato anche col Brand Manager di Velier, cosa sta per accadere nel mondo del rum? Qual è il Paese emergente di domani? Haiti, suggeriva qualcuno...
Forse non ci sarà un paese emergente, neanche dopodomani. Gli intenditori, ma anche coloro che si stanno avvicinando a questo modo di bere, hanno bisogno di riscoprire le distillerie tradizionali, che possano vantare una storia di grande rispetto per le materie prime e per l’eccellenza dei processi di lavorazione e conservazione.

Più in generale, la storia del rum ha attraversato almeno cinque secoli, che hanno visto passare per gli oceani galeoni stracarichi di alimenti, distillati e materie prime preziose, ma anche affollati di marinai intossicati dalla peggior robaccia, spacciata per distillato di canna da zucchero. Dopo tutto questo tempo è cambiata la direzione del vento, a quanto pare, e diventa sempre più difficile accontentare l’acquirente con prodotti anonimi, all’insegna della disinformazione o dell’approssimazione. Quando pago un certo prezzo devo aver in cambio un valore corrispondente, sembra questa la tendenza che il Rum Day può solo confermare e incoraggiare: una tendenza che rappresenta anche un confine, posto tra il bere inconsapevole e la civiltà del bere.

Per informazioni: www.therumday.it

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