C’è chi trova vecchie foto in soffitta. Io, nella vecchia casa di campagna di famiglia, ho trovato un libro sul galateo: "Nuove usanze per tutti. Galateo del ’900". Edito nel 1938, con una copertina in cartoncino sottile nel segno della geometria: un rettangolo giallo che evoca la disciplina, un blu carta da zucchero che anticipa le tinte in voga negli Anni ’50, caratteri tipografici che alternano rigore razionalista e femminilità calligrafica. A firmarlo è Vanna Piccini, che certo non è rimasta nella storia della letteratura. Ma questo testo è più di un semplice manuale del galateo. I consigli di eleganza e buone maniere per le donne italiane sono anche la fotografia di una società influenzata da regole rigide. E fanno riflettere su quanto il vino racconti il nostro modo di stare insieme, di celebrare, di accogliere. Un tempo era codice di comportamento. Oggi è esperienza, cultura, racconto.
Vino in tavola: a destra, con la destra
Siamo nel 1938, un anno in cui l’Italia stava cambiando pelle sotto pressioni che andavano ben oltre la tavola. Le leggi razziali entravano nei codici, i saluti si irrigidivano, e le buone maniere diventavano anche una forma di disciplina sociale. In questo clima, il galateo era un modo per mantenere, anche nella forma, ordine e ritualità. In questo testo non si parla di cocktail, né di mixology. Il grande protagonista della tavola era uno e uno solo: il vino. Con regole rigide, quasi militari, su come andava servito, bevuto e accompagnato.

Il libro "Nuove usanze per tutti. Galateo del ’900"
Nel 1938 il vino si versava rigorosamente alla destra del commensale. Ma attenzione: mai con la mano sinistra, perché, scrive la Piccini, “è scorretto al punto da esser ritenuto offesa per certi emeriti bevitori”. E non si pensi di alzare il bicchiere mentre si mesce: gesto volgare, segno d’impazienza. Oggi, al massimo, si rischia di macchiare la tovaglia. Allora si rischiava l'onta. Il bicchiere? Mai pieno oltre i due terzi. Una regola che, curiosamente, è sopravvissuta. Non per questione di galateo, ma per permettere al vino di respirare. Anche i dogmi, ogni tanto, hanno buone ragioni.
Abbinamenti di ferro: dalla Malvasia al passito
Altro che pairing creativo. Nel 1938 l’abbinamento era quasi militare.
- Bianco leggero per antipasti, minestre e ostriche: Capri, Malvasia, Vernaccia.
- Rosso frizzante e leggero per il piatto forte: Chianti, Grignolino, Freisa.
- Vini biondi e aromatici per il pesce: Frascati secco, Marsala bianco.
- Rosso austero per l’arrosto: Barolo, Barbaresco, Campidano.
- Spumante dolce per il gelato, passito per la frutta.
Tutto previsto, tutto incasellato. Oggi, invece, si osa: rossi giovani col tonno, bollicine col Parmigiano, persino l’orange wine col brasato. Il galateo si è fatto più flessibile, come i nostri palati.
Da Silvia Nonino a Francesca: le donne che hanno rivoluzionato il vino
Nel libro, le donne sono chiamate a essere “gentili paladine della propaganda per i nostri vini”. L’invito è chiaro: non giudicare il vino come parola volgare, ma imparare ad apprezzarlo. Con moderazione, certo. Ma anche con eleganza. È un segnale interessante: il vino come strumento di emancipazione, seppur ancora entro limiti ben definiti. Anche perché, poco dopo, le donne entrarono nel mondo del vino. Pioniera, tra le celebri, è stata Silvia Milocco Nonino, che negli Anni Quaranta divenne la prima donna in Italia a dirigere una distilleria. Dopo la morte del marito, prese in mano le redini dell’azienda e valorizzò il settore grazie alla sua competenza di botanica. Poco dopo, sua nuora Giannola Nonino e il marito Benito rivoluzionarono la categoria della grappa con l’introduzione della prima “Monovitigno”, una distillazione da singolo vitigno che elevò la grappa da prodotto rustico a spirito raffinato e riconosciuto a livello internazionale.
Oggi l’eredità femminile prosegue con le tre figlie - Cristina, Antonella ed Elisabetta - che ricoprono ruoli chiave in produzione, comunicazione, mercati esteri e sostenibilità. Con loro, anche la sesta generazione: Francesca Nonino, oggi giovane ambasciatrice digitale e definita da molti una “grappa influencer”. Sempre in ambito familiare, ma in un altro angolo d’Italia, Emanuela Barboglio Mosnel, in Franciacorta, si è guadagnata il titolo di madre della Franciacorta. Fu lei, nei primi Anni Sessanta, a convertire i frutteti di famiglia in vigneti specializzati, contribuendo alla nascita della denominazione Franciacorta Doc. La sua visione continua oggi nella Cantina Mosnel, guidata dai figli Lucia e Giulio Barzanò.
Dal galateo alla libertà: come il vino racconta la cultura italiana
Al di là dei singoli nomi, il dato è chiaro: oltre un quarto dei produttori di vino in Italia è donna, e il numero continua a crescere. Dai campi ai laboratori, dalle degustazioni ai mercati esteri, la presenza femminile è sempre più forte. Un settore che una volta relegava le donne al ruolo di “gentili paladine”, oggi le vede protagoniste indiscusse. Se nei consorzi di tutela, come quello del Prosecco, la presidenza resta maschile, la base produttiva parla sempre più al femminile.