C’è un modo di camminare nel vino che non è turismo né lavoro: è flânerie. Quella passeggiata lenta, curiosa, colta, che Baudelaire dedicava alle città e che oggi serve a chi voglia capire davvero il mondo del vino. Perché non basta visitare: bisogna abitare i luoghi del vino, lasciarsi attraversare dai loro rumori e dai loro silenzi.

Assaggi di gusto alla Champagne Experience di Bologna
Questo autunno, il mio itinerario è stato un piccolo atlante: Bologna per la Champagne Experience, Franciacorta per il suo festival, Marsala per l’evento Insolito Marsala, dove ho avuto l’onore di moderare una tavola rotonda de Le Donne del Vino dedicata all’enoturismo. Tre soste, tre linguaggi, un’unica domanda: che voce ha oggi il vino, dopo anni in cui tutti hanno provato a parlagli sopra?
Bologna, padiglione 15: dove le bollicine imparano a respirare
Alla Champagne Experience 2025, tra la folla composta e le luci soffuse di BolognaFiere, si percepiva una quiete nuova. Lo Champagne, dopo un 2024 chiuso con 271 milioni di bottiglie spedite (–9,2%) e un export in calo del 10,8%, non è più soltanto il vino delle celebrazioni: è diventato il vino dell’introspezione. Le grandi maison difendono la grandeur, ma i récoltants-manipulants stanno riscrivendo la grammatica della bolla.

Il grande pubblico di Champagne Experience a Bologna Fiere
Non più solo prise de mousse e dosage précis: oggi si parla di matière, tension minérale, équilibre du temps. Si cercano vini droits, scolpiti, con una bocca verticale e una lunghezza che sa di gesso. È la vendetta della sobrietà. Il pubblico è cambiato: meno sguardi distratti, più mani che prendono appunti.
Chi degusta chiede annate base, percentuali di Pinot Meunier, pratiche di fermentation spontanée. Il lusso non è più nel flûte, ma nella conoscenza. In un certo senso, la Champagne ha riscoperto la sensualità dell’intelligenza.

La Champagne ha riscoperto la sensualità dell'intelligenza
Franciacorta: la misura italiana
Poche settimane prima, sulle colline bresciane, il Festival Franciacorta 2025 aveva raccontato un’altra forma di equilibrio: più umana, più fisica, più conviviale. Settantina di cantine, migliaia di visitatori, degustazioni e camminate tra i filari.

Il Festival del Franciacorta ha riunito una settantina di cantine e migliaia di visitatori
Qui il vino non si mostra: si offre. Il linguaggio è tecnico ma gentile: sur lattes, Satèn, Pas Dosé, permanenza sui lieviti, millesimati che respirano di tempo e luce. Il mercato resta severo (–2,5% nei volumi 2024, –4,9% Horeca), ma la direzione è chiara: meno quantità, più precisione. Franciacorta ha capito che accogliere è più difficile che stupire - e proprio per questo, più duraturo.
Marsala: la presenza come forma di stile
E poi Marsala. Non solo un vino, ma un luogo dove il vino si guarda allo specchio. Al Festival Insolito Marsala, una delle rassegne più interessanti del Sud Italia, ho moderato una tavola rotonda per Le Donne del Vino sul tema: “L’enoturismo non è una performance, ma un’arte della presenza.”

Degustazione a Insolito Marsala 2025
Ne avevamo già scritto su Italia a Tavola (“La parola che mancava all’enoturismo italiano? Presenza”), ma a Marsala il concetto ha preso corpo: non hospitality, non experience - Presenza. La differenza tra una visita e un incontro, tra chi apre una porta e chi ti fa sentire atteso. E Marsala, con la sua luce lunga e il sale nell’aria, lo insegna da secoli: il vino cresce solo dove c’è qualcuno disposto a restare.

Alcuni vini che sono stati degustati a Insolito Marsala 2025
Due scuole, un unico bivio
La Champagne e la Franciacorta oggi raccontano due direzioni che si sfiorano. Una leviga, l’altra abbraccia. Una è scultura, l’altra conversazione. Ma entrambe insegnano la stessa cosa: il vino, se non si ascolta, si svuota. “Autenticità” è una parola logora, ma la sostanza resta: chi parla di vino lo vende, chi lo ascolta lo tramanda.

Chi parla di vino lo vende, chi lo ascolta lo tramanda
E in mezzo a queste due geografie del gusto, la Generazione Z. In Francia beve il 3,8% in meno rispetto a due anni fa; in Italia abbandona gli eccessi e riscopre la curiosità. Preferisce vini leggeri, pét-nat, orange, da vitigni autoctoni o a basso intervento. È un pubblico che non vuole farsi convincere: vuole farsi sorprendere. Beve meno, ma meglio. E quando un ragazzo di vent’anni ti chiede se quel Grechetto è macerato o diretto in pressa, capisci che la cultura ha già sostituito la moda.
I nuovi codici del vino contemporaneo: cinque cose da ricordare
- Il vino non ha bisogno di sinonimi, ma di precisione.
Aromi primari, secondari, terziari: il linguaggio tecnico è libertà, non pedanteria.
- Il terroir non è marketing francese.
È somma di suolo, clima, mano e rischio. Senza rischio, non è terroir.
- La sostenibilità non è colore, è misura.
Emissioni, bilanci, packaging: il vino etico pesa meno, non parla di più.
- L’enoturismo è relazione, non spettacolo.
Nel 2024 il turismo del vino ha toccato +9% nei ricavi, ma il vero successo si misura in ritorni, non in stories.
- I giovani non bevono poco: bevono giusto.
E il giusto, oggi, è ciò che ha senso, non solo ciò che ha prezzo.
Parola del mese: Ascolto
Ascoltare non è un atto passivo: è una tecnica. Capire se un naso chiuso è ridotto o solo introverso, se una bocca tace perché timida o perché profonda. Nel vino, come nella comunicazione, l’ascolto distingue chi degusta da chi parla.
Epilogo di un flâneur
Da Bologna a Franciacorta, fino al sale di Marsala, questo autunno mi ha ricordato una verità semplice: il vino non è un evento, ma un ritmo. Chi lo ascolta, lo capisce; chi lo usa, lo consuma. E in un mondo che parla troppo di passione, il vero gesto rivoluzionario resta la misura. Perché - lo dico col sorriso - tra un brindisi e un hashtag, il vino serio ha ancora un solo modo per farsi notare: tacere bene.