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Pochi, ma buoni (e pensanti): il vino campano si racconta a Campania Stories

Vincenzo D’Antonio
di Vincenzo D’Antonio
26 maggio 2025 | 18:21

Andare a Delfi, esserci non svagatamente, consapevoli di trarre cognizioni di scenario e percezioni puntuali su quanto avviene nel comparto di pertinenza. Sì, poi la narrazione commuta la storia vera in leggenda e l'osservatorio di Delfi, meeting point della classe dirigente, diventa mitologia con l'assunto dell'oracolare. Ma non era così! Era ben altro! Ecco, Campania Stories, anno dopo anno, è sempre più la Delfi vera (quella storica, non la sua caricatura mitologica) del comparto vitivinicolo campano. Ben organizzata e ben realizzata l'edizione 2025 svoltasi la scorsa settimana nell'area vesuviana.

Pochi, ma buoni (e pensanti): il vino campano si racconta a Campania Stories

Campania Stories è la Delfi del vino: analisi, visioni e verità del comparto campano

Numeri e geografia di un comparto in evoluzione

Facciamo parlare i numeri. Da fonte Istat, la produzione di vino in Campania nell'anno 2024 è stata di circa 1,4 milioni di ettolitri, pari a circa il 2,9% del totale nazionale. I vini rossi e rosati costituiscono circa il 51% della produzione regionale, il 49% circa è costituito dai vini bianchi. Nell'anno 2022, la superficie vitata campana ammontava a circa 25mila ettari, pari a circa il 3,8% del totale nazionale. Molto significativa ai fini delle considerazioni che ne trarremo è la suddivisione provinciale, con la provincia di Benevento che da sola vale il 41% circa, seguita dalla provincia di Avellino che vale il 25% circa.

Pochi, ma buoni (e pensanti): il vino campano si racconta a Campania Stories

Numeri piccoli, idee grandi: la sfida del vino campano parte dal Vesuvio

Le due province interne messe insieme fanno i due terzi della superficie vitata regionale. La provincia di Salerno vale il 16% circa, la provincia di Caserta vale il 10% circa e, buon'ultima, si situa la provincia di Napoli con il suo 8% circa. Il valore di un ettaro di vigneto è pari a circa 21.900 euro. Pertanto, l'intera superficie vitata regionale vale circa 543 milioni di euro. Il valore dell'export, in decrescita nell'ultimo triennio, si attesta nell'anno 2024 a 43 milioni di euro. La situazione complessiva denota una debolezza dimensionale, di cui proprio il dato sull'export, analizzando i valori decrescenti dell'ultimo triennio (61 milioni di euro nell'anno 2022; 48 milioni di euro nell'anno 2023 e solo 43 milioni di euro nell'anno 2024), è forte testimonianza.

Struttura produttiva e criticità dimensionali

Il dato medio, diciamo quindi un'ipotetica azienda vitivinicola media, indica un vigneto di circa 44 ettari e una produzione di circa 271mila bottiglie. Si pensi che solo l'1% circa delle aziende vitivinicole campane ha un vigneto la cui superficie complessiva è di oltre mille ettari. E solo il 5% circa ha un vigneto la cui superficie complessiva è di oltre 100 ettari. Un terzo circa delle aziende ha un vigneto la cui superficie complessiva è inferiore ai 10 ettari. Situazione pressoché analoga, e non potrebbe essere altrimenti, per la produzione di bottiglie. Solo il 9% circa delle aziende vitivinicole campane produce più di mezzo milione di bottiglie. Circa il 35% produce più di 100mila bottiglie (fino a 500mila). All'incirca la metà delle aziende vitivinicole campane (51% circa) produce tra le 10mila e le 100mila bottiglie e circa il 5% non arriva a produrre 10mila bottiglie. La grande favola del “piccolo è bello” appartiene al tempo che fu. Il dato significativo ai fini di un armonico (e quindi ben pianificato e ben realizzato) sviluppo dell'enoturismo è dato dall'alta percentuale di aziende vitivinicole che attuano il Dtc (Direct To consumer) mediante shop interno. Esse costituiscono ben il 92% circa del totale delle cantine.

Vini campani: qualità diffusa, fascino crescente

Circa la qualità dei vini degustati, la positiva considerazione sinottica la denomineremmo “no frills”. Sì, proprio così. Pressoché tutti i vini (non soltanto i rossi) stanno smussando quelle caratteristiche che li rendevano di difficile beva e, senza che ciò assolutamente snaturi la loro interiore essenza, si presentano con quel pizzico di brio atto a sedurre anche il neofita. Fior da fiore, ci sia consentito adesso che la corsa rosa è alle tappe finali, un paragone di tipo ciclistico: i vicecapitani, per non dire addirittura i gregari, non solo pedalano nello stesso plotoncino di testa in cui sempre ben saldi in sella sono i capitani, ma mostrano un'abilità nel governare la corsa che di fatto li accomuna ai capitani evergreen.

Pochi, ma buoni (e pensanti): il vino campano si racconta a Campania Stories

La Campania del vino non fa volumi, ma fa pensiero

Fuori da immagine ciclistica, stiamo dicendo che un grande rosso, nel pieno della sua vivacità, del suo brio, del suo corpo agile, si impone all'attenzione del grande pubblico. Stiamo parlando, senza dubbio alcuno, del piedirosso. Sì, per lignaggio (non per nulla in area di Taurasi e di Taburno assume la Docg) l'Aglianico è sempre l'Aglianico: austero, caldo, robusto e però troppo taciturno, a fronte di un piedirosso che senza divenire noiosamente ciarliero, sa comunque sorridere e far sorridere i suoi bevitori. Discorso analogo per i bianchi, con tanto di cappello ad alcune performance di sontuosi Fiano e di sontuosi Greco. E però, occhio ad un bianco emergente, di acclarato lignaggio borbonico, per come ben presente nella Vigna del Ventaglio. Stiamo parlando del Pallagrello Bianco: ha suo spessore che ben coesiste con una facilità di beva e, precipuo valore aggiunto, un'ampia duttilità negli abbinamenti: cucina di mare, formaggi freschi, carni bianche.

Piccolo è raro, non sempre bello: la sfida dell'identità campana

Nel concludere, torniamo ai numeri e proviamo a farne originale chiave di lettura. Dunque, siamo nella Delfi vera, quindi si discute, ci si confronta, si fanno assaggi meditati e, ribadiamolo, ci si pone al cospetto dei numeri. Ecco, la Campania non arriva a pesare il 3% del totale Italia, quindi è figlia di un Dioniso minore, cosa volete che possa competere con i giganti che ben conosciamo; vorrà dire che continuerà a razzolare ai margini di minuscolo cortile. Ma non è vero! Non è così. I pochi vini campani, pochi per numerica di bottiglie prodotte ma (e non è detto che sia un bene) non per mercuriale di etichette, hanno l'occasione per narrarsi quali chicche destinate, nel mercato worldwide, agli happy few. È facile fare ciò? Ma proprio per niente; è difficile, assai difficile. E però, con opportuna attrezzatura (competenze innanzitutto), con necessario esprit consortile, talvolta presente di facciata ma non di sostanza, e con tanta voglia di voltare pagina prendendo atto della mutevolezza di scenario (caduta tendenziale dei consumi) e dell'occasione che germoglia dalla prassi dell'enoturismo, gliela si può fare.

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