C'è una parola che raramente si pronuncia nelle riunioni strategiche di marketing del vino, ma che fa tutta la differenza tra un'esperienza memorabile e una visita standard: presenza. Non hospitality, non experience, non branding. Presenza. Quella capacità antica e quasi rituale di esserci davvero, con il corpo, lo sguardo, il racconto. E di far sentire l'altro accolto, visto, toccato. Oggi l'enoturismo insegue la performance, ma dimentica il gesto. E così si riempiono le cantine e si svuotano i cuori.
Il turismo del vino: numeri altissimi, profondità intermittente
Il 2024 è stato un anno record per l'enoturismo italiano: oltre 14,5 milioni di visitatori, con un incremento del 24% del fatturato e un +28% della spesa media rispetto al 2022. Manifestazioni come Cantine Aperte attraggono, fidelizzano, generano flussi e visibilità. Ma ciò che manca è la tenuta - in senso aristotelico - dell'esperienza.
Perché se la Toscana brilla come un Grand Cru Classé e il Piemonte gioca la carta dell'heritage con finezza borgognona, vaste aree del Paese restano escluse dal fenomeno: Abruzzo, Molise, Basilicata, Calabria. Non per mancanza di vino, ma per mancanza di struttura, visione, strumenti.

Il piacere di una visita enoturistica
Parlare di enoturismo come di un comparto coeso è un'illusione cartografica. In Italia, ancora oggi, non esiste un sistema enoturistico nazionale. Esistono pochi poli attrattivi e molti territori silenziosi.
L'arte dell'accoglienza non si improvvisa
Hospitality manager, wine educator, destination designer, cultural interpreter. Queste non sono figure accessorie: sono nodi sensibili di un ecosistema enoturistico maturo. Eppure, nel 62% delle cantine italiane l'accoglienza è gestita da chi - la mattina - pigia le uve, e - la sera - scarica pallet. Con tutta la poesia del caso, non basta. Non più.

Chi raccoglie l'uva spesso si occupa anche d'accoglienza
Chi racconta un vino deve sapere distinguere un clone 777 da uno 115, ma anche saper leggere lo sguardo di chi entra. Deve conoscere i principi dell'ossidazione controllata e i tempi dell'empatia.

Non basta la semplice competenza enologica
Il vino è fatto di acidità, ma l'accoglienza è fatta di ascolto. È un mestiere, non una gentilezza. E ogni volta che lo si considera un plus e non una professione, si perdono tre cose: identità, reputazione, fatturato.
Affitti brevi, territorio lungo: il paradosso dei borghi del vino
C'è poi un nodo strutturale che viene sistematicamente ignorato: quello abitativo. In molti borghi del vino - penso a Montepulciano, Barolo, Neive, ma anche a Offida, Tocco da Casauria, Venosa - chi lavora stabilmente non riesce più a vivere nei pressi della cantina.

Una veduta della splendida Montepulciano
Non per mancanza di case, ma per iper-presenza di Airbnb. La logica stagionale della rendita breve ha trasformato interi centri storici in teatri senza attori, dove chi accoglie il turista è costretto ad abitare a trenta chilometri, con stipendi a progetto e orari elastici. Il risultato è un turismo a intermittenza. Un'economia fluorescente solo a tratti. E un'ospitalità che si spegne fuori stagione come le luci delle vetrine.
Cinque spunti per un enoturismo realmente strategico
- Formazione professionalizzante
Introdurre percorsi certificati per hospitality manager, wine ambassador e narratori del territorio. Non bastano l'amore e la passione: servono strumenti.
- Costruzione di reti locali
L'enoturismo funziona quando diventa corale. Cantine, botteghe, agriturismi, trasporti, istituzioni. Nessuno si salva da solo.
- Regolamentazione degli affitti brevi
Non per penalizzare, ma per garantire continuità. Senza case per chi lavora, l'accoglienza autentica si dissolve.
- Narrazione identitaria, non pubblicitaria
Ogni territorio ha una voce. L'obiettivo non è vendere etichette, ma far risuonare racconti. Il marketing segue, se la storia è vera.
- Restituire tempo all'esperienza
Rallentare. Offrire percorsi lunghi, degustazioni profonde, dialoghi veri. L'enoturismo è un'arte lenta, non un fast tasting.
Conclusione: non performer, ma presenze
Serve un cambio di paradigma. Non si può più pensare all'enoturismo come a una vetrina temporanea da lucidare a maggio e richiudere a settembre. Va costruito, gradatim, cum arte, cum animo. Figura dopo figura, parola dopo parola.
E se manca il budget? Si inizia con un giovane motivato, con una visione chiara, con una formazione continua. Accogliere non è un'attitudine innata. È una competenza. E quando questa competenza fiorisce, il valore si moltiplica: per la cantina, per il paesaggio, per la comunità.

La presenza genera un momento di reale condivisione
Il vino è già presenza liquida. Tocca a noi, ora, esserci.
Parola del mese: presenza
In un mondo affamato di esperienze, la parola che manca è proprio lei: presenza. Essere presenti è il contrario dell'automatismo. È guardare negli occhi chi arriva. È posare il telefono. È sapere che ogni sorso è unico e irripetibile. È dire: “Benvenuto” e non solo “Prenotato”.

La degustazione deve essere un piacere
Presenza è ciò che rende una degustazione un momento. Un ricordo. Un racconto. In vino veritas? Forse. Ma in praesentia humanitas.
Profilo da seguire: @tannintime, ambasciatore del territorio umbro e divulgatore del mondo wine.