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Vino “popular” sotto attacco: il vero bersaglio dei nuovi dazi americani

Il nuovo accordo Ue-Usa introduce dazi del 15% sul vino italiano esportato negli Stati Uniti, con un impatto previsto di 317 milioni di euro, che potrebbe salire a 460 milioni con il dollaro debole. Colpita la fascia “popular”, che rappresenta l’80% dell’export. A rischio, oltre a liquori e spirits, anche turismo e bilancia commerciale. Il comparto cerca stabilità e nuovi mercati, in particolare in Sud America e Asia

Mauro Taino
di Mauro Taino
Redattore
28 luglio 2025 | 14:05
Vino “popular” sotto attacco: il vero bersaglio dei nuovi dazi americani

Con l’introduzione del dazio del 15% sulle esportazioni di vino italiano verso gli Stati Uniti, in vigore dal 1° agosto, l’impatto economico stimato da Unione italiana vini si aggira attorno ai 317 milioni di euro nel prossimo anno, cifra che potrebbe crescere a 460 milioni in caso di svalutazione persistente del dollaro. La misura, però, si applica a tutti i prodotti, con ricadute diverse a seconda dei diversi comparti. 

Dazi, cosa prevede il nuovo accordo Ue-Usa

A seguito dell’intesa raggiunta tra la Commissione europea e l’amministrazione Trump durante l’incontro in Scozia con la presidente Ursula von der Leyen, entrerà in vigore il dazio del 15% sul vino italiano esportato negli Stati Uniti, principale mercato estero per il settore. Secondo Lamberto Frescobaldi, presidente di Unione italiana vini (Uiv): «Con i dazi al 15%, il bicchiere rimarrà mezzo vuoto per almeno l’80% del vino italiano. Il danno che stimiamo per le nostre imprese è di circa 317 milioni di euro cumulati nei prossimi 12 mesi, mentre per i partner commerciali d’oltreoceano il mancato guadagno salirà fino a quasi 1,7 miliardi di dollari». Un danno che potrebbe aggravarsi, raggiungendo 460 milioni di euro, se il tasso di cambio dovesse mantenere l’attuale livello di svalutazione del dollaro rispetto all’euro.

Vino “popular” sotto attacco: il vero bersaglio dei nuovi dazi americani

Lamberto Frescobaldi, presidente Uiv

«L'accordo sui dazi al 15% tra UE e Usa rappresenta una sfida importante, ma non insormontabile. Servono però misure concrete e immediate. Perché non destinare parte dei fondi del PNRR o dell'OCM Vino a un piano straordinario di sostegno alle esportazioni verso gli USA? Sarebbe un segnale forte di responsabilità e visione», ha dichiarato Edoardo Freddi, ceo di Edoardo Freddi International, tra i principali esportatori di vino italiano nel mondo, commentando le ultime novità sul fronte dazi.

Vino “popular” sotto attacco: il vero bersaglio dei nuovi dazi americani

Edoardo Freddi, ceo di Edoardo Freddi International

«In questo momento - ha proseguito Freddi - serve uno sforzo corale: produttori, istituzioni e importatori devono fare fronte comune. Dobbiamo supportare chi è sul mercato, chi ogni giorno promuove e vende il vino italiano oltreoceano, perché senza di loro non esistiamo nemmeno noi. Nel frattempo, dobbiamo stare vicini ai clienti americani, più che mai. Un dazio del 15% è pesante, certamente. Ma non è la fine del mondo. È un ostacolo superabile, se ci presentiamo uniti, flessibili, pronti ad adattarci. Il vero nodo oggi è il cambio, che penalizza fortemente le nostre esportazioni. Ma passerà. La tempesta si placherà, e dobbiamo farci trovare pronti, solidi, presenti. Non possiamo fermarci. È il momento di raddoppiare gli sforzi e andare avanti, con intelligenza e determinazione».

Dazi, una speranza (remota) per il vino

«Il nuovo assetto tariffario, avrà impatti differenziati tra i settori e deve essere accompagnato da compensazioni europee per le filiere penalizzate anche considerando la svalutazione del dollaro. Dobbiamo aspettare di capire bene i termini dell’accordo e soprattutto di leggere la lista dei prodotti agroalimentari a dazio zero sui quali ci auguriamo che la Commissione Ue lavori per far rientrare, ad esempio, il vino che altrimenti sarebbe pesantemente penalizzato». Una speranza, quella di Coldiretti, che però potrebbe non trovare un riscontro effettivo, tanto che il comparto di vino e spirits già si prepara a fare i conti con le nuove tariffe.

Vino “popular” sotto attacco: il vero bersaglio dei nuovi dazi americani

Giacomo Bartolommei, presidente del Consorzio del vino Brunello di Montalcino

«I dazi al 15% - dichiara Giacomo Bartolommei, presidente del Consorzio del vino Brunello di Montalcino - infliggeranno un duro colpo al Brunello di Montalcino, principale simbolo del made in Italy enologico negli Stati Uniti, e metteranno a dura prova la resistenza delle aziende. In attesa di conoscere la lista dei prodotti dazi “zero per zero”, è evidente che l’applicazione del dazio causerà un rallentamento delle esportazioni verso la nostra prima destinazione di sbocco».

Rincari al consumo: il prezzo finale potrebbe salire del 186%

Frescobaldi ha illustrato nel dettaglio l’effetto sulle dinamiche di prezzo: «A inizio anno una bottiglia da 5 euro veniva venduta a 11,5 dollari; ora, con dazio e svalutazione, si arriverebbe a 15 dollari. L’incremento del prezzo al consumatore finale passerebbe dal 123% al 186% rispetto al valore all’origine». L’impatto sarà ancora più pesante nella ristorazione, dove - secondo l’Osservatorio Uiv - la stessa bottiglia da 5 euro rischia di arrivare a 60 dollari al tavolo, considerando i ricarichi standard. 

  

Il segretario generale di Uiv, Paolo Castelletti, ha sottolineato che l’accordo, seppur preferibile a un dazio del 30%, non può essere considerato soddisfacente: «Un dazio al 15% è comunque enormemente superiore a quello, quasi nullo, precedente. L’Italia, rispetto ai competitor europei, rischia un impatto maggiore sia per l’alta esposizione al mercato Usa(24% dell’export totale) sia per la tipologia di prodotto». L’export italiano è concentrato soprattutto nella fascia “popular”, con un prezzo medio franco cantina di 4,2 euro al litro, e solo il 2% del vino esportato rientra nella fascia “superpremium”. Ciò rende il prodotto italiano più sensibile alle variazioni di prezzo, con rischio concreto di perdita di competitività.  

Vino “popular” sotto attacco: il vero bersaglio dei nuovi dazi americani

Paolo Castelletti, segretario generale Uiv
 

Uiv chiede misure di salvaguardia per un settore che, fino a oggi, ha beneficiato in modo sostanziale del supporto del mercato statunitense: «Facciamo sin d’ora appello al governo italiano e all’Ue per considerare adeguate misure per salvaguardare un settore che grazie al buyer statunitense era cresciuto molto». In attesa del testo finale dell’accordo, l’associazione vitivinicola invita l’intera filiera a valutare strategie per ridurre i margini e contenere il rincaro allo scaffale, altrimenti il rischio è un brusco ritorno ai livelli di vendita del 2019, vanificando anni di crescita nel primo mercato mondiale del vino.

364 milioni di bottiglie nella “zona rossa”

Secondo i dati dell’Osservatorio Uiv, ben 76% del vino italiano esportato negli Stati Uniti è oggi a rischio, pari a 366 milioni di bottiglie, con una forte esposizione in alcune denominazioni:

  • Moscato d’Asti: 60% dell’export in zona a rischio
  • Pinot Grigio: 48%
  • Chianti Classico: 46%
  • Rossi Dop toscani: 35%
  • Rossi piemontesi e Brunello: 31%
  • Prosecco: 27%
  • Lambrusco: valori simili

In totale, si tratta di un valore di oltre 1,3 miliardi di euro, che corrisponde al 70% dell’intero export vinicolo italiano verso gli Stati Uniti

Dazi Usa, fascia popular a rischio

«Con i dazi al 15% - analizza Franco Morando, direttore generale di Montalbera - i brand luxury del vino resisteranno, mentre ne pagheranno le conseguenze i marchi più a largo consumo. Le tariffe da poche ore fissate al 15% a seguito dell'incontro decisivo tra Ursula von der Leyen e Donald Trump, andranno a colpire anche il settore vitivinicolo italiano e graveranno soprattutto su alcuni prodotti. La nuova percentuale dei dazi fissata al 15% arrecherà danni principalmente al segmento di vino popular, per intenderci quello il cui prezzo franco cantina varia tra i 3 e 6 euro e che al dettaglio si trasforma, dopo trasporto, dazi, ricarichi alla distribuzione, in una fascia di prezzo che non supera i 13 dollari per la singola bottiglia. Sono meno soggetti a rischio, invece, i vini appartenenti alla fascia luxury. Sicuramente perderemo una fascia di consumo, quella più importante, perché l'effetto moltiplicatore porterà questi vini fuori dal segmento».

Vino “popular” sotto attacco: il vero bersaglio dei nuovi dazi americani

Franco Morando, direttore generale di Montalbera

Una previsione condivisa anche da Sebastiano Caffo, ad dell'omonimo gruppo e presidente del Consorzio Nazionale di Tutela della Grappa: «Il 15% di dazio calcolato sul prezzo di partenza del prodotto - e non su quello al consumo - avrà un impatto più contenuto. Sulle bevande di fascia media o premium, questo aumento si assorbe più facilmente. Quelle che soffriranno di più, invece, saranno le etichette a prezzo più basso, dove anche una piccola variazione può incidere notevolmente sulla competitività. In quel caso, sarà il marchio a soffrire meno, ma il prezzo a fare la differenza».

Vino “popular” sotto attacco: il vero bersaglio dei nuovi dazi americani

Loris Dall‘Acqua, enologo e ceo di Col Vetoraz

Loris Dall'Acqua, enologo e ceo di Col Vetoraz, quindi evidenzia: «Per la nostra fascia prezzo e prodotto, a mio parere, i dazi doganali usa al 15% non rappresentano un problema reale, ma soltanto psicologico, amplificato dal tam tam mediatico. Mi spiego meglio: è chiaro che su una bottiglia venduta a 10 euro il dazio sarà di 1,5 euro, ma la stessa bottiglia sarà in vendita negli Usa a 60 o 70 dollari: mi sembra evidente che l’incidenza del dazio sia insignificante. Ci stiamo scandalizzando per questa misura quando noi in Italia abbiamo un dazio del 22% su tutti i prodotti, che si chiama Iva».  «In ogni caso - conclude - ritengo ci siano situazioni molto più preoccupanti del dazio Usa: si tratta del valore percepito relativo al mondo Prosecco. Estrapolando i dati più eclatanti da una recente indagine fatta dall’Osservatorio Prosecco, relativo al mercato statunitense nel 2024, si evidenzia un quadro abbastanza sconcertante: +23% nella fascia 7/10€, -47% in quella tra i 5 e i 7 e addirittura +939% in quella tra i due e i tre euro».

Dazi Usa, alla ricerca della stabilità

Il dato positivo è che l'accordo raggiunto tra Unione Europea e Stati Uniti pone fine a mesi di incertezza che hanno paralizzato il mercato. Nonostante gli effetti tutti da valutare nel concreto, ma che generano preoccupazione all'interno del comparto, il lato positivo della vicenda - probabilmente l'unico - è che quanto meno è stato messo un punto fisso con il quale fare i conti «Quello che mi auguro - dice Caffo - è che, se questo sarà l'accordo definitivo, almeno sia pluriannuale, in modo da poter programmare la presenza sul mercato americano e anche dare il tempo ai consumatori di digerire quello che, inevitabilmente, si tradurrà in un aumento dei prezzi al consumo. L’importante è che la situazione resti stabile e che non cambi di nuovo tra qualche mese».

Vino “popular” sotto attacco: il vero bersaglio dei nuovi dazi americani

Matthias Messner, direttore generale di Cantina Bolzano

Dello stesso avviso anche Matthias Messner, direttore generale di Cantina Bolzano:  «In generale, l'accordo raggiunto con gli Stati Uniti offre maggiore certezza sulla percentuale dei dazi e crea le condizioni per dare stabilità al mercato, nella speranza che il 15% non venga ulteriormente rivisto o modificato in futuro. Pur trattandosi di un’intesa migliore rispetto all’ipotesi iniziale di dazi al 30%, resta comunque un accordo che rappresenta un peggioramento rispetto alla situazione precedente».

Dazi Usa, sguardo verso altri mercati

«Abbiamo sempre spinto per un accordo e per superare l'incertezza che stava creando danni seri alle nostre imprese. Gli Stati Uniti restano un mercato fondamentale, dove dobbiamo proteggere i consumatori dalle imitazioni del falso made in Italy - dichiara il segretario generale della Coldiretti, Vincenzo Gesmundo - In un mercato già invaso da prodotti come il parmesan o il romano cheese made in Usa, dobbiamo portare avanti un’azione strutturale per promuovere il made in Italy autentico e contrastare l’italian sounding, che negli Stati Uniti provoca ogni anno perdite stimate in oltre 40 miliardi di euro».

Vino “popular” sotto attacco: il vero bersaglio dei nuovi dazi americani

Vincenzo Gesmundo, segretario generale Coldiretti

«È necessario - aggiunge Bartolommei - procedere celermente sulla via di nuovi negoziati commerciali, a partire dal Mercosur, per aprire nuove rotte. Il Consorzio del vino Brunello di Montalcino continuerà a presidiare il mercato statunitense. Infatti, abbiamo già confermato tutti gli appuntamenti del 2026 come il Benvenuto Brunello a New York e la partecipazione al Food e Wine ad Aspen, uno dei festival più importanti del settore negli Usa. Al contempo stiamo predisponendo un piano rafforzato di promozione in Asia».

Vino “popular” sotto attacco: il vero bersaglio dei nuovi dazi americani

Sebastiano Caffo, ad del Gruppo Caffo

Caffo poi sottolinea: «Il mercato americano è sicuramente il più importante in assoluto per le bevande alcoliche italiane, che si tratti di vini, liquori o distillati. Naturalmente dobbiamo continuare a cercare nuovi mercati di sbocco. Io penso in particolare al Sud America, che è più vicino alle nostre tradizioni: dal punto di vista del gusto, i prodotti italiani lì possono essere più facilmente accettati».

Dazi Usa, non solo vino

Quello del vino non è l'unico comparto a mostrare preoccupazione. Come sottolinea Confcommercio,  il “costo” dell’accordo con gli Stati Uniti risulta comunque significativo. Oltre all’introduzione dei dazi, sono previsti impegni da parte dell’Unione Europea per acquisti energetici dagli Usa pari a 750 miliardi di dollari, investimenti aggiuntivi sul territorio statunitense per altri 600 miliardi e importanti forniture di sistemi di difesa. A ciò si aggiunge, nell’ambito del recente compromesso raggiunto in sede G7, l’esonero delle multinazionali con capogruppo negli Stati Uniti dall’applicazione della global minimum tax.

Per quanto riguarda l’Italia, le prime stime indicano che l’impatto diretto dei dazi del 15% potrebbe comportare, nel 2025, una perdita sull’export nazionale compresa tra gli 8 e i 10 miliardi di euro. A questa cifra si sommano gli effetti della svalutazione del dollaro, che rischiano di aggravare ulteriormente il quadro. Il tutto si inserisce in uno scenario di progressivo aumento delle tariffe commerciali a livello globale, che complica la ricerca di sbocchi alternativi sui mercati esteri, in particolare per le piccole e medie imprese esportatrici. Infine, un dollaro debole e la contrazione del reddito globale potrebbero avere ripercussioni anche sul turismo internazionale in Italia, la cui componente incoming ha generato 52 miliardi di euro nel 2023, rappresentando una delle principali voci attive della bilancia dei pagamenti nazionale.

Secondo uno studio di ReportAziende, i nuovi dazi Usa al 15%, frutto dell'accordo Ue-Usa del 27 luglio, mettono a rischio oltre 42 miliardi di export italiano e fino a 18.000 posti di lavoro. Le regioni più colpite saranno Lombardia, Emilia-Romagna, Veneto e Piemonte. I settori più esposti includono farmaceutica, meccanica, automotive, moda, vino e design, con perdite potenziali da 300 milioni a 1,8 miliardi per comparto. L'accordo rappresenta un compromesso, ma senza misure di sostegno, potrebbe frenare la crescita dell’economia italiana.

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