Per decenni tequila e mezcal hanno avuto una collocazione quasi stereotipata nei bar: bevute lisce in shot veloci, con sale e limone a mascherare la bassa qualità del liquido, oppure confinate in pochi cocktail classici. Oggi lo scenario è radicalmente cambiato. L’agave non è più soltanto un distillato da vacanza esotica, ma una materia prima di carattere, capace di raccontare territori, tradizioni e stili produttivi.

Cockail a base di Frozen Mezcal
Nei bar contemporanei, bartender e mixologist hanno riscoperto la profondità aromatica di tequila, mezcal e delle nuove declinazioni dell’agave, trasformandoli in protagonisti di drink raffinati, a volte persino meditativi. Il fumo del mezcal dialoga con le spezie, le note vegetali del tequila esaltano agrumi e bitter, mentre le produzioni artigianali portano in miscelazione la stessa cura che si riserva a un grande vino.
Oggi l’agave è un ponte fra la memoria di riti ancestrali e la creatività della mixology globale, capace di conquistare tanto i palati esperti quanto un pubblico sempre più curioso e attento. E mentre negli Stati Uniti la febbre dell’agave sembra placarsi, tra i professionisti del bancone in Italia sembra confermarsi una crescita consapevole.
Mavolo e la qualità oltre il brand sulla bottiglia
I distributori vedono una evoluzione positiva dello scenario. «Per molti bartender rimane una passione - spiega Alberto Birollo, drinksetter per Anthology By Mavolo - e poi è forse l'ultima famiglia di distillati che veramente può essere legata a un territorio. Parliamo di prodotti con alle spalle una cultura veramente secolare e quindi per gli appassionati sicuramente è grasso che cola. Poi il fatto che stiano diventando sempre più numerose le zone all'interno del disciplinare di produzione mi fa venire qualche dubbio sulla reale autenticità del prodotto».

Alberto Birollo (foto: Linkedin Alberto Birollo)
Certo, sono anni che il comparto si dice debba crescere, quasi a diventare il nuovo gin, ma per Birollo «sarà impossibile, ma proprio per una questione di gusto - spiega - perché comunque il mondo agave è molto verticale e salvo qualche nerd o cultore è difficile che un cliente al banco chieda un Tequila soda o un Mezcal tonic. È vero che il Paloma è cresciuto e sta dando lustro alla categoria, come potrebbe essere anche il Negroni per il mezcal, ma rimane un distillato di nicchia, soprattutto per le referenze costose. È vero che ci sono alcune eccezzioni, che sta purtroppo creando anche problemi a livello di cultura sul distillato, facendo credere alle persone che solo un tequila reposado che costa tanto debba esser buono».
Allargando lo sguardo, l’uomo Mavolo conferma che i numeri sono in crescita, «ma sono in crescita sui prodotti che hanno un prezzo competitivo, quindi qualcosa che puoi usare in miscelazione - precisa - mentre le agavi artigianali o l’Ancestrale rimangono spesso (purtroppo) a prendere polvere sui back bar oppure hanno basse rotazioni. Per fortuna sono dei regali che si fanno i bartender a fine serata». Ecco che interrogandosi sulla direzione in termini di educazione del cliente finale «secondo me non ci siamo ancora - conclude Birollo - perché si può fare molto di più sicuramente sulla formazione e poi, se parliamo di tequila di moda, secondo me stanno un po' rovinando l'immagine che dovrebbe avere un distillato serio che giustamente deve costare tanto, ma non certo perché ha una bella bottiglia, ma per tutte le ragioni legate alla difficoltà di crescita della pianta».
Milano chiama Jalisco
A Milano il mercato del tequila sta vivendo una fase molto interessante - conferma Francesco Gialluca, bartender all’Excelsior Hotel Gallia - «c’è una crescita costante dell’interesse, in linea con quanto sta accadendo a livello internazionale. Non siamo più davanti al “tequila da festa” di qualche anno fa, ma a un consumo più consapevole, legato al mondo della mixology e alla ricerca di prodotti autentici e di qualità». I clienti del Terrazza Gallia che si avvicinano a questo mondo sono principalmente due tipologie: «da un lato gli appassionati e i frequentatori abituali di cocktail bar, che cercano novità, storytelling e prodotti di nicchia; dall’altro un pubblico internazionale, spesso statunitense e nordeuropeo, già abituato a bere tequila e mezcal nei propri paesi di origine e desideroso di ritrovare la stessa proposta anche nel nostro albergo».

La terrazza dell'Hotel Gallia
Dal lato bartender, «la consapevolezza è cresciuta moltissimo - rimarca Gialluca - oggi si presta grande attenzione alla selezione delle bottiglie, privilegiando prodotti 100 per cento agave e spesso brand artigianali o di piccoli produttori, capaci di offrire un’identità più marcata. Questo si riflette anche nelle carte cocktail, dove il tequila non compare solo nei classici Margarita o Paloma, ma trova spazio in twist originali su drink pre-dinner, after-dinner e persino in reinterpretazioni di grandi classici come il Negroni. Il consumo di tequila tra i nostri ospiti non è più un fenomeno di nicchia: è entrato stabilmente tra le scelte dei clienti più curiosi e internazionali, e i bartender lo trattano con la stessa attenzione che si riserva a Gin, Rum o Whisky».
Secondo Daniele Celli, bar manager del Principe Bar a Milano (Hotel Principe di Savoia Dorchester Collection), il fenomeno Tequila sta andando in due direzioni: «da un parte viene dato sempre più spazio a nuove piccole realtà di produttori, introducendo brand più artigianali, dall'altra si spingono i brand più noti che fanno da padrone nel mondo da anni ormai», proclama. E sottolinea l’importanza della formazione per i bartender, dato che «con l’incremento di richiesta bisogna sempre tenersi aggiornarti sui nuovi prodotti e sulle loro caratteristiche».

Daniele Celli, bar manager del Principe Bar a Milano
Capita ancora frequentemente che il tequila venga associato ai classici shot con sale e limone, un'abitudine nata per mascherare le caratteristiche di prodotti dalla qualità inferiore. «Un approccio - dice - che spesso si limita all’aspetto più superficiale del consumo, senza soffermarsi sull’identità culturale e sulla tradizione di questo distillato e del popolo messicano. Ad oggi, i drink più richiesti restano invece Margarita e Paloma, ma sono incrementate le ricette dei signature».

Il tequila può essere molto duttile nella creazione di cocktail
Tequila e Mexcal spingono a Napoli, Roma e Padova
Il Tequila è piazzato sul mercato da almeno 5 o 6 anni - precisa Alex Frezza de L’Antiquario a Napoli - «per cui la gente percepisce il tequila proprio come brand in modo migliore rispetto a 10 anni fa. Quindi il posizionamento c'è, ma il problema sono prezzo e qualità: c'è il cliente che non si rende conto di quanto deve costare il tequila buono e di quale sia buono, perché magari attratto da un brand forte nel marketing. Però è una questione di tempo: più bevono, più selezionano le cose che piacciono».
In questo mondo di clienti curiosi, i bartender sono «fin troppo consapevoli - scherza Frezza - perché sono anni che lavorando con il mito del Messico e del distillato di agave. Facciamo masterclass e corsi che ci fanno uscire l’agave dalle orecchie e anzi vorremmo fare meglio con i prodotti, ma non abbiamo abbastanza clienti che lo scelgono al prezzo corretto. Va detto che iniziano ad esserci bar con una proposta di agave importante, mentre erano pochi in Italia».

Punch Room at The Rome Edition
In generale Frezza sottolinea il grande lavoro dei brand, che ha portato ad esplodere la domanda per alcuni cocktail specifici come il Paloma, che in alcune città sta vivendo un vero boom.
Anche i bartender del The Rome Edition (coordinati dal bar manager Riccardo Di Dio Masa) confermano come negli ultimi dieci anni i distillati a base agave hanno vissuto una crescita significativa in termini di qualità offerta e di volumi. «Il tequila è entrato ormai nel top spirits premium a livello globale - dicono - mentre il mezcal è passato da prodotto di nicchia a categoria di culto. Stanno emergendo anche categorie minori (raicilla, bacanora, sotol) anche se non 100% agave. Chi è del settore non vede più come una volta il distillato di agave come uno spirito da shot, ma ha sviluppato una cultura molto più ampia; Comprensione delle denominazioni di origine delle differenze produttive, maggiore attenzione ai metodi di produzione, interesse per il territorio messicano che racconta una storia e crea un'esperienza per l'ospite, oltre all’uso dei distillati a base di agave anche per twistare cocktail classici e contemporanei».

Il bar manager Riccardo Di Dio Masa
Sia per moda che per cultura la domanda è cresciuta per tre fattori: «il tequila è entrato nell'immaginario collettivo tramite star internazionali che hanno lanciato i propri brand, attraverso cocktail iconici come Margherita o Paloma, ma anche per la ricerca di una nuova esperienza, di cocktail con una storia dentro. Nella mixology attuale questi distillati hanno un ruolo importante, molti bartender li paragonano a rum e whisky utilizzandoli per le proprie creazioni e abbinandoli data la loro provenienza a gusti molto particolari e lavorazioni più complesse».

Dario Luisetto barman ed Emanuele Salmasso titolare della Spiritoteca La Moscheta a Padova
Dalla provincia anche Dario Luisetto, barman della Spiritoteca La Moscheta a Padova, conferma la spinta sul tequila in particolare. «Se per decenni era banalizzato - spiega - ora c’è una grandissima curiosità da parte dei clienti che fanno domande e qualcuno addirittura compra libri che raccontano la cultura dell’agave. Poi vengono ad assaggiare ed è cambiato il mondo. Il tequila che era il distillato da shot è diventato una questione di etichetta, con prodotti molto particolari che spingono alla degustazione. Ci sono brand che hanno lavorato molto bene nel proporre referenze giuste e nel coinvolgere i barman, che si sono appassionati. Aiuta poi il mezcal per i toni affumicati che in mixology dà un valore aggiunto». Considerando poi le molte varietà «credo possa solo aumentare il consumo e in fondo tutto parte dalla capacità del bartender di raccontare, andando oltre le mode. Certo, potrebbe rimanere una nicchia nelle fasce alte, tanto più che sono prodotti esclusivi perché legati ad un territorio specifico».
Un trend fuori città
Anche fuori dalle città la scelta base agave è diventata un must. «Nei cocktail bar/hotel bar di taglio contemporaneo - evidenzia Raffaele Orlando, bar manager al Rosewood Castiglion del Bosco in quel di Montalcino - l’agave è passata da “categoria moda” a linguaggio stabile su menu. La domanda non si esaurisce sul Margarita, cresce l’interesse per Paloma, Tommy’s, Ranch Water e varianti low-alcol. Nei locali con programma di ricerca sulla miscelazione compaiono signature che lavorano su sapidità, agrumi e texture (oleo saccharum, cordiali, sode ecc). Nei bar italiani la curiosità si è allargata oltre il tequila, di fatti il mezcal è sempre più integrato nella miscelazione e si affacciano sotol, raicilla e bacanora come “guest star” di rotazione quando il livello del team lo consente».

Raffaele Orlando, bar manager al Rosewood Castiglion del Bosco
Intanto sul fronte prodotto la domanda in sala è più “consapevole”: «si chiedono stile, metodi, fermentazioni e lieviti, uso di additivi, grado di cottura dell’agave e nel caso del mezcal, tipo di agave (es. espadín, tobalá) e pratiche di palenque. Anche il tema sostenibilità è sempre più discusso», spiega Orlando.

Il Rosewood Bar a Castiglion del Bosco
Tutto questo accade mentre cresce la conoscenza dei bartender. «Negli ultimi anni - dice - la formazione si è spostata dalle macro-età (Blanco/Reposado/Añejo) a una lettura più fine: terroir, cultivar, altitudini, processi di cottura e macinazione, fermentazioni spontanee o inoculate e soprattutto, trasparenza sugli additivi (meglio se additive-free) come criterio di qualità. Molti team on-trade strutturano tasting comparativi per metodo, verticali su singole distillerie e sessioni su categorie storicamente di nicchia (raicilla/sotol). La spinta arriva sia dall’education ufficiale (accademie di brand, materiale formativo e masterclass) sia dall’ecosistema media/professionale che mette a fuoco tecniche e cultura del mezcal nella miscelazione. Risultato? In carta si vedono Signature più ragionati, per pairing prodotti, gestione amaricante/dolcificante e quando serve, correzioni di salinità/sapidità per esaltare il profilo dell’agave».
Proprio perché il cliente oggi riconosce differenze tra classici e signature fatti bene, «è più semplice - precisa il barman - vendere build essenziali ben eseguiti (agave + citrus + minerality) e introdurre twist con tecniche contemporanee. La richiesta di highball puliti e signature “sessionable” convive con momenti rituali (garnish agrumate, rim sale custom) e con una nuova centralità di ghiaccio, diluizione e carbonazione. Nei bar d’hotel, la clientela internazionale spinge per standard alti con i classici, ma sono ben contenti di provare nuovi concetti e signature. Poi i bar più evoluti integrano prodotti dell’orto/territorio e tecniche a zero wastage per legare l’agave al contesto italiano senza snaturarlo».

Juri Romano, bar manager al Bar & Chiostro del Four Seasons San Domenico Palace a Taormina
È il modo luxury ad aver spinto il trend agave, secondo Juri Romano, bar manager al Bar & Chiostro del Four Seasons San Domenico Palace a Taormina. «Poi è fisiologico che questo trend venga "copiato" dal consumatore di fasce più basse e dunque è lì che si ha il boom e tutti chiedono agave. Questo perché oggi il consumatore è curioso e tende ad informarsi di più, mentre i brand si aprono strategicamente al mondo dei bartender usandoli come divulgatori naturali. E mi permetto di aggiungere che oggi è trendy anche essere o apparire un consumatore istruito».

Agave e Tequila, per cocktail creativi e gustosi
Rispetto alla mixology, Romano sottolinea come sia «una materia vastissima, ma è ovvio che a seconda del trend del momento ci sia più focus e dunque tramite questa si possono raggiungere più consumatori che magari non berrebbero un distillato liscio».