Sono particolarmente contento delle decine di colleghi che hanno risposto alla mia provocazione espressa nell'articolo "Ci vorrebbe un Marchionne nel nostro settore", pubblicato sul numero di febbraio della rivista, segno che il problema esiste. L'analisi è pressochè identica ovunque, la ristorazione necessita di una nuova guida a livello nazionale, e il problema non è soltanto di tipo promozionale.
Ormai siamo grandi e capaci di muoverci da soli, il problema è di tipo sindacale, in un mondo in cui tutto quello che sembrava intoccabile e granitico sta cedendo, nuove forme di rappresentanza si stanno delineando all'orizzonte. C'è veramente bisogno di scardinare i vecchi poteri, l'enogastronomia ha una ricchezza incalcolabile, dobbiamo metterci mano e farla emergere.
Per questo ho deciso di pubblicare la risposta di Fabrizio Bianucci di Milano che ha perfettamente capito lo spirito della mia provocazione.
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Carissimo Scibilia,
vorrei farle i miei complimenti per il pezzo da lei scritto con tanta sincerità, ardore e coraggio sull'ultimo numero della rivista "Italia a tavola" di cui lei è membro del comitato editoriale, pilastro operativo (perché ciò che scrive lo pratica tutti i giorni immagino anche nella sua "bottega", e non lo teorizza solamente) ed autorevole. Concordo su tutto.
Tutte cose vere ha scritto, ma se lei è d'accordo mi permetterei di aggiungere e chiosare come segue:
- molti locali storici milanesi (parlo soprattutto di ristoranti, ma anche bar e pizzerie) hanno ricominciato da anni a passar di mano con la nuova ondata di acquisti-cash fatta dai cinesi, con stile diverso rispetto agli anni'70, espandendosi a macchia d'olio e creando tanti finti locali giapponesi di gran moda, ma in effetti tutti gestiti dai chinese-men o dalle loro "confraternite", con manovalanza in regime di schiavitù materiale e psicologica.
- il pubblico esercizio è sempre più visto come luogo ideale per il riciclaggio di proventi dubbi, chiamiamoli così...
- il sacrificio del ristoratore-patron-cuoco-chef non lo vuol più affrontare nessuno con lo spirito dei miei genitori, dei miei nonni, dei miei zii e parenti, di me stesso o di lei, caro Scibilia, immagino; molti patron se ne stanno alla cassa ben ingiaccati e incravattati (attenzione anche al gioco di parole che sembra un lapsus, ma non è), davanti al computerone, a gestire un'accozzaglia di camerieri o pseudo tali e brigate di cucina sfornate dalle scuole alberghiere, sempre più presuntuosi e supponenti... molto fumo poco arrosto e oggi tanto cuscus!
- stanno forse come lei e il sottoscritto sempre in prima linea ad affronatre maestranze e clientela? si rimboccano forse le maniche e nel proprio locale quando c'è bisogno fanno "di tutto e di più" per utilizzare un rifritto tipico tormentone lessicale?
Acquistano un nuovo locale in società con colleghi, parenti dubbi, amici di calcetto, ex colleghi spesso inesperti, non provenienti dal settore, a rate se va bene per l'80%, rivoluzionano tutto all'interno anche se la ristrutturazione estetico-tecnica è recentissima, lanciano la nuova "linea di cucina" e... subito corrono dal concessionario più vicino ad acquistare (in leasing, a rate, a, a, a) il SUVone alla moda!
Anzichè buttarsi anima e corpo (e sostanze) nella attività. Se lo scopo dell'impresa è borderline, beh non si preoccupano neanche tanto del marketing ristorativo, altrimenti se non hanno la fortuna di incappare in qualche "star" dello spettacolo, del calcio, della tv, finiscono subito. Mai come in questo lungo periodo di crisi generale si è assistito ad un turn-over così veloce nella gestione dei locali. Vicino a me, nel quadrilatero della moda, un famoso e storico locale (negli anni'60-'70) in un solo anno è passato dimano ben tre volte, tre linee di cucina diverse, tre suv diversi, tre volte ristrutturato ad hoc! La storica forza delle trattorie familiari si sta anche quella disgregando.
- molti chef se la tirano troppo, davvero troppo! Molti sono diventati dei frontmen editorial-televisivi e sfruttano la propria immagine in maniera estrema, deontologicamente parlando.
Devono sinceramente ringraziare il loro capostipite, e tutti devono rendergli omaggio, il rettore magno Gualtiero Marchesi, che ha nobilitato alla fine degli anni'60 la figura dello chef, fino ad allora chiamato cuoco, facendolo assurgere al rango di artista dei fornelli, inventore, ideatore, guastatore anche a volte della tradizione culinaria nostrana. Prima di allora era considerato un lavoratore senza nè arte nè parte, di umile lignaggio, un autodidatta che si era riciclato in cucina non avendo altre opportunità, ma venendo almeno dalla gavetta. Cosa basilare e molto importante. I figli allora quasi si vergognavano a dichiarare la professione del padre o della madre (rari casi).
E così molti chef pensano che i viaggi e le esperienze all'estero siano necessari per crescere professionalmente, battendo ben poco la bottega, con umiltà e discrezione.
Chi si salva allora dall'ondata delle grandi aziende che si buttano nel nostro settore, con una manovalanza - nonostante scuole, corsi, università di cucina "molta aria fritta".
- comunque impreparata e disunita, cioè non fanno squadra? Solamente quei ristoratori "all'antica" che tutti i giorni sono sul pezzo, si fanno il "mazzo" personalmente, hanno pochissimo personale, ma selezionato ed esperito in diversi anni, accolgono personalmente la clientela col vecchio italico fairplay e non la freddezza dei locali "IN"; quei ristoratori cui non sfugge nulla, dal controllo della pulizia all'acquisto delle materie prime, alla gestione contabile, al controllo "caterpillar" dei propri dipendenti (io non li chiamo collaboratori a volte, è un'altra parola falsa).
Il mio cuoco, siciliano di Messina, lavoratore instancabile, è stato con noi 25 anni, 4 giorni di assenza in 25 anni! è andato in pensione due anni fa, e quando ancora oggi ho bisogno di un consiglio, salta giù dal letto e corre da me e mio fratello co-titolare, gli altri hanno un'anzianità media tra i 9 e i 13 anni. Il nuovo chef è un ragazzo napoletano di neanche trentanni, ma con gli attributi giusti e sa riconoscere la carne di maiale da quella di...manzo, anche se ha fatto una scuola alberghiera.
Grazie per l'attenzione, la saluto cordialmente".
Fabrizio Bianucci
"bottegaio storico" in Milano
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