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Non è tutto... orzo quel che luccica Nelle birre d’autore anche altri cereali

L’orzo è da sempre il cereale più adatto alla produzione di birra, ma in alcune birre si possono trovare percentuali più o meno elevate di avena, segale, farro e frumento. Come nel caso delle rinomate “weizen” bavaresi

di Marta Scarlatti
 
18 febbraio 2015 | 16:11

Non è tutto... orzo quel che luccica Nelle birre d’autore anche altri cereali

L’orzo è da sempre il cereale più adatto alla produzione di birra, ma in alcune birre si possono trovare percentuali più o meno elevate di avena, segale, farro e frumento. Come nel caso delle rinomate “weizen” bavaresi

di Marta Scarlatti
18 febbraio 2015 | 16:11
 

La storia della birra deve moltissimo all’orzo. Questo cereale, con tutta probabilità uno dei primi a essere “addomesticato” dall’uomo, è alla base di praticamente tutte le birre del mondo e lo è fin dagli albori. La stessa diffusione della birra in Europa risente della sua possibilità di coltivazione. Robusto, resistente, adattabile, l’orzo si poteva infatti coltivare in territori e con un clima impossibili all’allevamento della vite. Ed è per questo che i “barbari” bevevano birra mentre i Romani preferivano il vino. Sia chiaro, tutto vero anche se sintetizzato estremamente.

Tuttavia sarebbe un grossolano errore considerare l’orzo come il cereale esclusivo per fare birra. I birrai hanno sempre fatto ricorso anche ad altri cereali come l’avena, la segale, il farro, il mais e, ovviamente, il frumento. Proprio grazie al frumento sono nate due delle tipologie (o stili) birrarie più note e diffuse nel mondo. Le “witbier” o “blanche” belghe e le “weizen” o “weisse” bavaresi. Le differenze tra le due sono sostanziali: in Belgio, oltre a fare ricorso a spezie come il coriandolo e la buccia d’arancio, il frumento è usato “crudo”, nelle weizen bavaresi invece, oltre a non essere usata alcun tipo di spezia, il frumento è maltato.



La weizen è una birra tipica e tradizionale della Baviera, ma è molto conosciuta anche in Italia. La si serve solitamente in alti e stretti boccali che si allargano a tulipano all’imboccatura. La loro forma aiuta la formazione della schiuma che deve essere alta, anche quattro o cinque dita, spumosa e persistente. Il loro aroma è caratteristico e inconfondibile, quasi sempre caratterizzato da note di frutta, spesso è riconoscibile la banana, e di spezie, chiodo di garofano. Il gusto presenta una dolcezza maltata e fruttata sostenuta però da una piacevole vena acidula che le rende rinfrescanti e dissetanti. Nella loro versione più classica, “hefeweizen”, queste birre hanno un aspetto volutamente velato per la presenza dei lieviti in sospensione, ma le weizen costituiscono una famiglia vera e propria: esistono quelle con malti scuri, “dunkelweizen”, quelle di maggior grado alcolico, “weizenbock”, e quelle filtrate, “kristallweizen”.

A dimostrazione della loro popolarità nel nostro Paese, sono davvero numerose le etichette di weizen reperibili sul mercato. Dalla popolare Erdinger alla blasonata Schneider, dalla storica Weihenstephan alla famosa Herrnbräu. Di quest’ultima serbiamo un ottimo ricordo durante una visita effettuata diversi anni fa in quel di Ingolstadt, una cittadina a un’ottantina di kilometri a nord di Monaco. Herrnbräu (www.herrnbrauitalia.it) è un’azienda storica nata dalla fusione di una dozzina di piccole birrerie cittadine e produttrice di weizen da primo Dopoguerra. Le sue produzioni sono delle ottime interpretazioni in stile classico delle diverse declinazioni sul tema weizen.

Stile che, consensi diffusi e valore indiscutibile, sembra tuttavia soffrire ancora di un paio di luoghi comuni che sarebbe il caso di sfatare una volta per tutte. Il primo è che le weizen siano delle birre riservate esclusivamente al consumo estivo. Lo sono, ovviamente, proprio grazie a quella loro distintiva nota citrico-acidula che si può facilmente percepire, ma il loro corpo pieno e intenso e il loro gusto ne fanno delle birre da consumo tutto l’anno. Anche l’hefeweizen ma ancor di più le dunken e le weizenbock, quest’ultime a parere di chi scrive sono perfette per l’autunno con i suoi primi freddi.



Il secondo luogo comune è invece costituito dalla consuetudine di mettere una fetta di limone all’interno della birra. È una pratica che aveva forse, e sottolineo forse, un tempo quando la birra risultava essere più facilmente deperibile nel tempo ma che oggi è totalmente fuori luogo. Se non altro perché il limone altera, si legga rovina, il bouquet originale della birra. Ergo, per quanto si sia soliti dire che i gusti sono gusti, la fetta di limone se proprio dovete mettetela nel tè.

Infine, sebbene questo non rientri del tutto nei luoghi comuni da sfatare, si ritiene che le weizen si possano abbinare ai tipici piatti della cucina bavarese e tedesca in generale. Ovvero wurstel, soprattutto quelli bianchi detti weisswurst, stinco e carne di maiale in generale. Per carità, su questi piatti l’abbinamento è tanto tradizionale quanto azzeccato, ma vi consigliamo di allargare gli orizzonti anche alla cucina italiana: un succulento arrosto ad esempio per una weizenbock, un fritto di calamari e gamberi per una hefeweizen, un primo piatto di pasta con sughi di carne per una dunkelweizen.

Insomma, questo stile birrario è molto più eclettico e versatile di quanto si pensi e sta benissimo sulla tavola italiana così come su quella di Monaco di Baviera e dintorni. Se provate a fare qualche esperimento, ve ne convincerete anche voi!

© Riproduzione riservata STAMPA

 
 
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