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Birra, le industrie dirigono i giochi e il mercato italiano è in stallo

Tra le acquisizioni nel mondo della birra, quella di Birra del Borgo da parte della multinazionale ABInbev ha causato uno tsunami emotivo tra i sostenitori della birra artigianale e allarmato i colleghi-concorrenti

di Marta Scarlatti
 
05 giugno 2016 | 12:16

Birra, le industrie dirigono i giochi e il mercato italiano è in stallo

Tra le acquisizioni nel mondo della birra, quella di Birra del Borgo da parte della multinazionale ABInbev ha causato uno tsunami emotivo tra i sostenitori della birra artigianale e allarmato i colleghi-concorrenti

di Marta Scarlatti
05 giugno 2016 | 12:16
 

Negli scacchi il cavallo è utile per “saltare” i pezzi avversari e, con poche mosse, penetrare nelle loro difese. Se volete, è più o meno quello che è successo con l’acquisizione (100% delle quote) del birrificio artigianale laziale Birra del Borgo da parte del primo player planetario, quell’ABInbev che, di acquisizioni, nell’ultimo anno ne ha fatte davvero parecchie. Dallo shopping seriale in terra americana al mega acquisto di SabMiller. Che, fino a quel momento, era il player mondiale numero due.

Ma la vicenda Borgo-ABInbev segna obiettivamente una svolta nella storia ormai ventennale della birra artigianale italiana. Ed è, in primo luogo, il riconoscimento del grande lavoro fatto da centinaia di persone partite spesso con i pentoloni di casa e diventati dei veri e propri, sebbene piccoli, imprenditori. Ma, certamente, è anche un segnale che questa fetta di mercato birrario che vale poco più del 12% in termini di valore sta iniziando a fare gola ai big.



In rete gli appassionati si sono scatenati nel commentare la notizia. Molti hanno rivelato insospettabili capacità di analisi finanziaria, altri hanno sfoggiato un talento divinatorio alla Nostradamus, qualcuno ha deciso di andare a scegliersi il posto più comodo in trincea al fine di resistere all’offensiva delle bieche multinazionali, altri ancora hanno invece fatto i complimenti a chi ha venduto, magari divorandosi il fegato per l’invidia.

Chi ha venduto si chiama poi Leonardo Di Vincenzo e lui, il suo birrificio artigianale ora non più suo, l’ha messo in piedi in ben meno di vent’anni e poi l’ha piazzato per una cifra non resa ufficiale ma che si mormora attorno ai 20 milioni di euro. Nemmeno fosse una start up californiana.

Che cosa cambia adesso nello scenario italiano? Non avendo, come gli “esperti del web” palla di cristallo e non sapendo leggere i fondi di caffè, vi diremo che è troppo presto per affermarlo con sicurezza. Di certo molti birrai artigiani italiani sono preoccupati, e fanno bene a esserlo. È vero che Birra del Borgo, non appena si è diffusa la notizia, è immediatamente uscita dal circuito dei locali che vendono esclusivamente birre di birrifici indipendenti e ha lasciato progetti di una certa rilevanza messi in piede anni fa in compagnia del birrificio Baladin (i locali Open e Birreria, il brewpub realizzato all’ultimo piano di Eataly New York), ma senza dubbio l’acquisizione da parte di ABInbev ha immesso molto carburante nel motore del birrificio laziale. Carburante utile per crescere, il primo step è infatti quello di raggiungere i 60mila ettolitri l’anno, per rafforzare con tutta probabilità la rete distributiva e per investire in marketing e comunicazione.

La notizia, indubbiamente eclatante, non ha tuttavia sorpreso più di tanto gli addetti ai lavori. Da un lato infatti a livello internazionale le acquisizioni di birrifici artigianali da parte delle major si stavano succedendo con una certa frequenza, dall’altro Birra del Borgo era un marchio che aveva una sua appetibilità non solo a livello italiano ma proprio sui mercati esteri. La preoccupazione degli appassionati è che ora il livello qualitativo e l’originalità delle birre firmate da Leonardo scompaia all’insegna del rigido binomio “costi-profitti” che le multinazionali hanno eletto a loro dogma.

Noi non ne siamo così convinti: in un mercato mondiale dove ancora oggi la birra che detta legge è la classica lager chiara, acquisire un piccolo produttore specializzato in birre particolari (la KeToRePorter con foglie di tabacco toscano in infusione, l’Equilibrista con mosto di Sangiovese, la Rubus con lamponi tanto per fare qualche esempio) appare più un tentativo di ABInbev di mettere un piede dentro il mercato delle craft. Ma continuando a fare craft non certo per disintegrare un birrificio quando ancora ce ne sono alcune centinaia, per restare in Italia, ancora operativi e di sicuro interesse.

Insomma, se da un lato agli appassionati resta un’ampia libertà di scelta tra i piccoli, dall’altro molti appassionati si troveranno a dover giudicare quello che avranno nel bicchiere. A prescindere dalla proprietà. E se Birra del Borgo manterrà intatti i suoi valori, non dubitiamo che avrà molte frecce nel suo arco.

A nostro avviso i piccoli produttori indipendenti devono oggi temere, più che l’ingresso sulla scena del golem industriale, l’arrivo in massa dei loro veri competitor ovvero tutti quei birrifici artigianali che dagli Stati Uniti stanno sbarcando sulle nostre coste e tutti i birrifici artigianali che sono nati recentemente in Inghilterra e Scozia, Belgio e Olanda, Germania e Danimarca, oltre a Svezia, Norvegia, Polonia e chi più ne ha più ne metta. La vera battaglia nel prossimo futuro della birra artigianale italiana non sarà, non lo è mai stata forse, tra le lager industriali e le craft, ma tra le craft possedute dagli industriali, le craft indipendenti non italiane e le craft nazionali.

E questo perché, a vent’anni dalla nascita del fenomeno e a dieci dalla sua esplosione, appare chiaro che il pubblico delle artigianali non berrà mai lager industriali ma, forse, anche viceversa. Ergo il bevitore di pils artigianale italiana potrà essere tentato di bere una pils artigianale olandese o belga o britannica, difficilmente tornerà a bere Peroni o Birra Moretti. E il pericolo per le craft tricolori di fronte a questa offensiva è rafforzato anche dal fatto che il mercato birrario italiano, pur a fronte dell’esplosione dei microbirrifici e dell’ingresso di decine e decine di nuove etichette, resta comunque un mercato stagnante.

Il consumo pro capite è praticamente fermo dalla metà degli anni Novanta. Come dire che in tutta l’orgia di cambiamenti e di novità la considerazione degli italiani nei confronti della birra non è poi mutata granché, e che l’arena di gioco è praticamente rimasta la stessa. Solo più affollata e competitiva. Il rischio vero, che i birrifici artigianali dovranno fronteggiare, è questo.

© Riproduzione riservata STAMPA

 
 
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