C’era una volta la cucina italiana, quella familiare, scandita dalle pietanze legate ai giorni delle settimane, il sabato trippa, la domenica la pasta al forno il venerdì pesce e via mangiando. Questo cibo e questo modo antico di mangiare e soprattutto di stare a tavola viene oggi chiamato “comfort food”, e devo dire che gli americani sono veramente bravi nel dare delle giuste definizioni alle mode del cibo, vedi anche le espressioni “food porn”, “food therapy” e altre ancora.
La nostra Italia è sempre stata la patria di questo stile di cibo, tant’è che molti chef famosi e stellati nelle loro interviste parlano sempre delle cucine delle mamme e delle nonne, di paste e fagioli e di paste ripiene, di torte alle mele e di cibi un po’ grassi, ma saporiti; salvo poi nelle loro cucine preparare piatti ricercati con ingredienti più strani e improbabili e spesso nemmeno italiani e dai nomi impronunciabili.
Vorrei però, questa volta, spezzare una lancia a favore di tanti ristoratori americani che da tempo hanno riscoperto i polpettoni, i pasticci di patate, i maccheroni col formaggio e le torte di mele. Il comfort food, a dispetto dei tanti detrattori e cultori delle moderne mode culinarie, ha tra l’altro molti illustri amatori e cantori, fra cui Joseph Conrad che scrisse: «La buona cucina è un agente morale». E soprattutto Marcel Proust, che nella “Recherche” parla di dolcetti che mangiava a casa di sua zia che scatenavano in lui «una gioia potente». Onore quindi ai ristoratori newyorkesi che come Peter a Brooklyn dal 1969 cucinano il comfort food e si definiscono “family style restaurant”.
Da parte mia sarebbe bello entrare in un ristorante e mangiare una buona lasagna o un ragù alla bolognese e una vera torta di mele. A tal proposito vi suggerisco la lettura di un libro scritto da un antropologo francese, Pierre Sansot, dal titolo “Quel che resta”, dove parla sì della cucina degli avanzi, ma fa una bellissima considerazione su come un certo falso efficientismo e uno scatenato individualismo siano alla base di molte delle nostre scelte alimentari e non solo, a pranzo ma anche a cena, dove di solito in passato si prediligeva nel cibo una certa lentezza e una certa rilassatezza, volta a favorire gli incontri e le passioni fra i commensali. Forse oggi il “comfort food” viene confuso con la cucina di una volta. Io penso che la cucina, come il vino, non abbia tempo e il gusto per il buono non ha mode o stelle, ma passione e civiltà.