Durissima presa di posizione della Fipe, la Federazione dei pubblici esercizi, dopo la decisione del Governo di rinviare all'1 giugno, forse, la riapertura di bar e ristoranti. «I nostri dipendenti stanno ancora spettando la cassa integrazione, il decreto liquidità stenta a decollare, oggi apprendiamo che potremo riaprire dal primo di giugno - si legge in un comunicato - Significano altri 9 miliardi di danni che portano le perdite stimate 34 miliardi in totale dall’inizio della crisi».
Dopo l'1 giugno, o forse anche più in là, troveremo così un ristorante?
Secondo l'unico sindacato di categoria rappresentativo a livello nazionale «forse non è chiaro che si sta condannando il settore della ristorazione e dell’intrattenimento alla chiusura. Moriranno oltre 50.000 imprese e 350.000 persone perderanno il loro posto di lavoro. Bar, ristoranti, pizzerie, catering, intrattenimento, per il quale non esiste neanche una data ipotizzata, stabilimenti balneari sono allo stremo e non saranno in grado di non lavorare per più di un mese. Accontentati tutti coloro, che sostenevano di non riaprire, senza per altro avere alcuna certezza di sostegni economici dal Governo».
Sul che fare la Fipe non ha dubbi, e dopo avere presentato giusto l'altro giorno al Governo il suo
Protocollo con cui aprire in sicurezza i pubblici esercizi, sostiene che «servono risorse e servono subito, senza ulteriori lungaggini o tentennamenti, sappiamo solo quanto dovremo stare ancora chiusi, nulla si sa quando le misure di sostegno verranno messe in atto. Tutto questo a dispetto sia del buon senso che della classificazione di rischio appena effettuata dall’Inail che indica i Pubblici Esercizi come attività a basso rischio. Questo nonostante la categoria abbia messo a punto protocolli specifici per riaprire in sicurezza. La misura è colma».
E in tutto ciò, significativamente, la Fipe non spende nemmeno una parola sulla liberalizzazione de
ll'asporto (peraltro solo in via temporanea) perchè sa bene che per un periodo ancora cosi lungo non potrà costituire una reale possibilità di sostentamento per molte aziende. Anche perchè su 300mila imprese del comparto, nemmeno il 10% (forse il
15% considerando i soli ristoranti) potrà oggettivamente svolgere questa attività.