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Il Salento a Milano, la coscienza di condividere sapori inimitabili

Il Salento non è solo una moda geolocalizzata fatta di mare cristallino e divertimento estivo: la gastronomia e la creatività salentina sono esportabili ovunque. Anche a Milano, per nostra fortuna

di Guido Gabaldi
 
14 aprile 2016 | 15:12

Il Salento a Milano, la coscienza di condividere sapori inimitabili

Il Salento non è solo una moda geolocalizzata fatta di mare cristallino e divertimento estivo: la gastronomia e la creatività salentina sono esportabili ovunque. Anche a Milano, per nostra fortuna

di Guido Gabaldi
14 aprile 2016 | 15:12
 

“Salentu. Lu sule, lu mare, lu ientu”, è uno slogan fin troppo facile, di quelli che si trovano nei siti internet di turismo, la cui redazione magari non ha tempo o voglia di spremere le meningi. Eppure fa passare almeno la musicalità vagamente sicula della parlata locale, e qualche buon motivo per andarci in vacanza. Sarà perché è tanto di moda, sarà perché ne parla persino Biagio Antonacci nelle sue canzoni, ma le foto spettacolari delle più famose spiagge e pinete salentine si trovano in una marea di posti diversi. Soprattutto, nelle SD cards dei nostri cellulari e su internet.



Bene, e se si tratta di cavalcare l’onda, noi ci siamo. Sono a colloquio con Rocco Micoccio, titolare del Santu Paulu, Salento Bar in via Delio Tessa a Milano, a cento metri dalla fermata “Lanza” della metro verde. Il concetto di “Salento Bar” a Milano non esisteva: io, mia sorella e mio cognato Antonio ce lo siamo inventati. L’idea di base è semplicissima: trasportare un pezzo del Salento qui a Milano, e mi riferisco ai nostri prodotti tipici, che tutti i modaioli estivi assaggiano a Lecce, Gallipoli, Ostuni, Otranto. Quando tornano a casa glieli facciamo ritrovare noi, e a giudicare dal successo di questo bar/tavola calda, aperto da pochi mesi, i milanesi ne sono entusiasti. Abbiamo intenzione di aprire in franchising in tante altre città, a cominciare dall’Italia, per poi spostarci anche all’estero: New York, Berlino, Dubai sono i primi posti che mi vengono in mente, per cui abbiamo già delle richieste.



Mi spiega meglio qual è il format che volete esportare?
Lo spazio in affitto sarà necessariamente piccolo, cosa che consente di tenere basso l’affitto e il rischio d’impresa. E poi nei bar di paese, per quanto ne so io, non importa se si sta un po’ stretti: serve a socializzare con gli sconosciuti. Infine l’ospitalità e i prodotti in vendita devono essere salentini al 100%, come il caffé Quarta, il rustico leccese con besciamella, mozzarella, pomodoro e pepe, il pasticciotto con crema e amarena. Visto che la gente fa la fila per portarsi a casa i pasticciotti, si può dire che abbiamo colpito il bersaglio.

Di tradizioni leccesi e salentine, trapiantate a Milano, parliamo anche con Antonio Ingrosso (nella foto), il “cognato Antonio” di cui sopra, che però si occupa più di ristorazione che di caffetteria.

Antonio Ingrosso
Antonio Ingrosso

«“I Salentini” il ristorante di via Solferino - dichiara Ingrosso - che ho aperto da circa tre anni, segue un’impostazione simile a quella del Santu Paulu. La gente subisce il fascino della nostra terra, e noi cerchiamo di accontentarli con tutta la genuinità di cui siamo capaci. E allora si selezionano i fornitori, anzitutto: non basta vengano dal Salento, devono proporre qualcosa di speciale. L’esempio sta arrivando proprio in questo momento sul suo tavolo: questa ricotta marzotica proviene dalla Masseria Cinque Santi di Vernole, provincia di Lecce, e si grattugia sulle orecchiette al pomodoro o si serve come fornaggio fresco da degustazione. Non credo che la troverà facilmente, qui a Milano. Ma anche il puré di fave bianche di Carpino con gamberi viola di Gallipoli è qualcosa di speciale. Introvabile altrove».



E vogliamo parlare delle “Paparine”, che sto assaggiando oggi? Si tratta delle foglie del papavero selvatico saltate con olio evo ed olive Celline, non puoi ordinarle dove capita. Un sapore deciso, singolare, che piacerà a chi non si accontenta della solita minestra… e fa bene.

L’identificazione col Salento non vi sta un po’ stretta?
Da qualche parte si deve pur partire, è logico che il trampolino di lancio sia il luogo in cui i salentini sono nati e cresciuti. Da lì in avanti ci riserviamo il diritto di spaziare: l’apertura è alla Puglia in generale, ad esempio alla burrata di Andria, o ancora alle mozzarelle e alla stracciatella che provengano da altre località. Ne abbiamo di cose da far vedere e da far provare! L’importante è far capire a tutti che la nostra terra non è solo spiaggia e discoteca: c’è una cultura del lavoro e dell’artigianato da raccontare, e “I salentini” sono qui, nel cuore di Milano, proprio per questo.

Sono qui con i loro tavolacci in legno e i loro arredi un po’ rustici, un po’ come nelle trattorie di paese. La diversità ambientale s’imprime nella memoria, ma essendo narrata nell’arredamento con un po’ di discrezione, non crea uno stacco troppo vistoso. Ora, per raccontare la diversità e le peculiarità del Salento bisognerebbe prima tracciarne i confini, cosa non facile. Perché la penisola salentina finisce di certo in Puglia, a Santa Maria di Leuca, all’incrocio del mar Ionio col mare Adriatico, ma dove inizia?



«Difficile dirlo con certezza assoluta». Chi parla è Roberto Rubini, titolare del ristorante “72100”, anch’esso a Milano in via Solferino. Roberto è nato a Taranto ma è cresciuto a Brindisi. «Anch’io sarei curioso di sapere esattamente cosa s’intenda con questa denominazione geografica. Ad esempio, quando scendi all’aeroporto di Brindisi trovi una targa in bella evidenza su cui si legge “Aeroporto del Salento”. Credo che ci stia dentro anche un pezzo della provincia di Taranto. A me non sembra sia il caso di spaccare il capello in quattro… il confine passa da qualche parte lungo le province di Brindisi e Taranto, e questo mi basta».

72100, per chi non ha dimestichezza la Puglia, è il Cap di Brindisi. «Io, di certo, non ho intenzione di legarmi al Salento in modo dogmatico, continua Roberto. Le burrate e la stracciatella servite qui provengono dal Caseificio Andriese, in provincia di Bari. La soppressata al tartufo mi arriva dal salumificio Salcuno di Poggio Imperiale, in provincia di Foggia. Una volta che ho raggiunto il mio scopo, ossia valorizzare il prodotto unico, irripetibile, artigianale, non è indispensabile che tale prodotto sia salentino».



Quali sono le maggiori soddisfazioni che le dà il mestiere di ristoratore salentino, o brindisino, se preferisce?
Tra le tante, quella di essere l’amministratore di sapori inconfondibili. Le polpette al sugo che le ho fatto servire non sono un riciclo di carne non consumata dai clienti del ristorante: sono fatte come le farebbe mia madre per gli ospiti d’onore. Per il sugo scelgo i pomodori pelati di Mesagne, marchiati “Castello Acquaro”, e solo quelli. Un intingolo come questo non lo troverà altrove.

Ci siamo: quest’ultima affermazione mi sembra di averla già sentita, e quindi scritta… che sia questo particolare tipo di orgoglio - questi sapori si trovano solo qui! - ad accomunare chi si dichiara salentino? Al di là delle diatribe da cartografi, che sia questo il marchio del Salento? Non ne ho chiesto conferma a Rocco, Antonio e Roberto, ma credo che il tratto unificante più solido sia nella consapevolezza di condividere antiche tradizioni paesane, e proprio per questo uniche e inimitabili.


Santu Paulu
via D. Tessa 2 - Milano
Tel 389 032 6499

I Salentini
via Solferino 44 - Milano
Tel 02 454 989 48
www.isalentini.com
isalentini.milano@gmail.com

72100
via Solferino 46 - Milano
Tel 02 841 026 59
www.72100.it
72100winebar@gmail.com

© Riproduzione riservata STAMPA

 
 
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