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Emanuele Scarello, Premio IaT 2010 Una vittoria grazie al sostegno della rete

di Andrea Radic
05 gennaio 2017 | 11:16

Era il 2010, Emanuele Scarello, chef patron e bistellato del ristorante Agli Amici di Udine (16° nella classifica dei migliori ristoranti italiani 2016 secondo la tabella comparativa realizzata da Italia a Tavola, confrontando i risultati delle maggiori guide del settore) era presidente dei Jeunes restaurateurs d'Europe (Jre), il premio Personaggio dell'Anno di Italia a Tavola (aperte le votazioni per l'edizione del sondaggio 2016 - CLICCA QUI PER VOTARE) era alla sua seconda edizione e vedeva come vincitore il cuoco friulano, insieme alla conduttrice televisiva Elisa Isoardi.

Emanuele Scarello - Emanuele Scarello, Premio IaT 2010 Una vittoria grazie al sostegno della rete

foto: Italia Squisita

Al secondo posto si piazzò con un finale all'ultimo voto Alessandro Borghese già allora volto televisivo e conosciuto da buona parte dei ben 68.506 votanti. Sul terzo gradino del podio salì Emanuele Esposito seguito da Filippo La Mantia e Rosanna Marziale. Nella prima fase fu La Mantia ad essere stabilmente in testa, ma intorno al 12° giorno del sondaggio venne superato da Scarello, rimasto al comando sostanzialmente fino al termine delle votazioni.

Sia Alessandro Borghese che Filippo La Mantia sono tra i candidati nella categoria “Cuochi, pizzaioli e pasticceri” del sondaggio Personaggio dell'Anno 2016 di Italia a Tavola (CLICCA QUI PER VOTARE).

Ancora una volta, come successe nel 2009, il web si confermò la strada giusta per interessare il pubblico e creare attenzione sul mondo della gastronomia, della ristorazione e in generale su quello del food & wine. Facebook ebbe un notevole peso nel determinare alcuni risultati: nel momento in cui Borghese postò sulla propria pagina la segnalazione del sondaggio, i suoi voti si impennarono di ben 3mila in 4 giorni (tra il 7 e il 10 gennaio), a dimostrazione dell'immediatezza e del potere comunicativo che il popolare social network possedeva e possiede tutt'oggi.

Il terzo classificato, Emanuele Esposito, potè contare sull'appartenenza a importanti associazioni a livello mondiale, come il Gvci (Gruppo virtuale cuochi italiani all'estero), molto attive sul web. Oggi siamo alla edizione numero nove e il Premio Italia a Tavola, grazie al web, continua a scatenare una vera e propria “tifoseria” virtuale, un passa parola di straordinaria efficacia, con il quale, giustamente, ciascun personaggio in lizza chiama al voto gli ambienti dove è conosciuto e apprezzato.

Contano poco in questa tenzone i giudizi delle guide, molto invece la capacità personale di essere comunicativi, di lasciare un buon ricordo nelle frequentazioni, di avere entusiasmo verso il proprio lavoro. Emanuele Scarello questo entusiasmo non lo ha per nulla perduto, anzi, lo trasmette anche al telefono dove l'ho raggiunto per chiedere cosa ricorda di quel 2010 e cosa è cambiato da allora.

Chef, cosa ricordi di quel momento del 2010?
Partecipai quasi per gioco, ma quando il tamtam tra amici partì bene, cominciai a crederci e a spingere il consenso, in particolare sui social, dove allora ero molto attivo e devo dire che furono molto efficaci. Ricordo che raccontai del sondaggio ad un caro amico, uno chef peruviano e gli chiesi di sostenermi, la sua risposta fu illuminante e di buon auspicio, «Vamos».

Tu non eri un cuoco televisivo, eppure vincesti su Alessandro Borghese, popolare sul piccolo schermo.
La battaglia con Alessandro fu all'ultimo voto, ma la cosa importante era divertirsi e lo abbiamo fatto. È stato un momento bello che ho potuto condividere con moltissimi amici in rete.

Un concorso cui vale la pena partecipare?
Certo, Italia a Tavola è un punto di riferimento per il settore e il sondaggio è sempre molto interessante, sempre che coloro in gara siano capaci di non prendersi troppo sul serio. Impariamo ad alleggerire a non essere autoreferenziali, siamo cuochi, abbiamo capacità ed entusiasmo, ma non salviamo vite umane... La vita deve essere anche un gioco, quindi invito a partecipare al sondaggio con serenità, senza la tensione della vittoria a tutti i costi.

Cosa è cambiato nel mondo della ristorazione negli ultimi anni?
Quest'anno la mia famiglia ed io festeggiamo i 130 anni di attività, per noi non ci sono stati cambiamenti epocali. Come per un grande vino, anche la storia di un ristorante dovrebbe poter offrire una degustazione verticale, per capire e apprezzare tanti momenti diversi, come le annate migliori e quelle meno buone. In un certo periodo sembrava che i “bistrot gastronomici” dovessero cambiare il mondo della ristorazione di qualità, vincere su tutto, ma l'alta ristorazione è ancora un must e deve essere così.

Un bel bicchiere e una tavola elegante sono irrinunciabili e la cucina deve essere perfetta, la mia ha un'anima pulita, non voglio angoli imprecisi. Noi andiamo avanti sulla nostra strada, convinti una buona tavola e un buon servizio siano elementi vincenti.

La consapevolezza del pubblico verso la cucina e la popolarità del food hanno cambiato il cliente?
Non ho clienti, ma ospiti a casa. Questo è il mio sentimento. Voglio che stiano bene, che si sentano accolti. Il termine ristorazione proviene dal verbo ristorare, ovvero dare ristoro, far star bene. La mia cucina è il mio stile, ciò che ho dentro, nel mio Dna. I miei piatti sono ciò che sento, espressione del momento che vivo. E poi se qualcuno mi chiede un piatto di San Daniele lo metto in tavola volentieri, perché non dovrei.

Gli chef dovrebbero stare più in cucina che in televisione?
Io amo stare nel mio ristorante, dando attenzione e dedicando tempo a ciascun ospite. Quando mi hai telefonato la prima volta, non ho risposto perché stavo salutando delle persone che erano da me. A me piace stare in cucina con la brigata: i miei ragazzi. Da solo non avrei fatto nulla, il merito e gli apprezzamenti li voglio condividere con i miei ragazzi. In tv andrei da solo, qui in cucina siamo in dodici.

Segui ancora il premio Italia a Tavola?
Certamente e voto tutti gli anni, anche se per questa edizione devo ancora definire la scelta finale. E poi c'è sempre una ragione per seguire Italia a Tavola.

Quale?
Alberto Lupini, il direttore, ha una marcia in più.

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