Il datore di lavoro non può licenziare il barista, cameriere o commesso che si rifiuti di far pagare il cliente che non indossa la mascherina. A stabilire questa regola, il Tribunale di Arezzo che, con una sentenza pubblicata il 13 gennaio di cui avevamo già parlato su Italia a Tavola qualche settimana fa, ha dato ragione al dipendente di un locale che si è trovato in questa situazione. Una decisione di cui ora disponiamo anche delle motivazioni.
Nessun licenziamento per il dipendente che si rifiuta di servire un cliente senza mascherina
Il
fatto è accaduto in provincia di Arezzo dove un dipendente che, durante il turno notturno, si era
rifiutato di servire un cliente senza mascherina si è visto minacciato di licenziamento per
giusta causa. Secondo il titolare dell'attività, con la sua decisione il dipendente avrebbe
danneggiato gravemente l’immagine del locale; con buona pace per la sicurezza e quel senso di comunità per cui sarebbe dovuto andare tutto bene.
La dinamica dell'incidenteEppure, secondo la ricostruzione dell’episodio, il
cliente era entrato nel punto vendita senza alcun strumento di protezione individuale per comprare delle sigarette. All’invito del
commesso di coprirsi almeno la bocca con il collo della felpa, l’avventore ha risposto alzando i toni rimproverando al dipendente che «le mascherine le portano i malati» e di essere un
ladro. Tornato a casa, poi, aveva rincarato la dose via social. Su
Facebook si è pubblicamente lamentato della scortesia del servizio. Commento che ha fatto scattare il licenziamento da parte del datore di lavoro.
A rimettere tutto sul giusto piano ci ha pensato la
sentenza che ha ricordato come sia diritto del lavoratore, costituzionalmente garantito, svolgere la propria prestazione in condizioni di sicurezza. Un
diritto che, ricordano i giudici, può arrivare anche all’
astensione dal lavoro nel caso in cui il rischio esponga il lavoratore a un danno per la propria persona. Risultato? Ricorso dell’azienda respinto e dipendente reintegrato in via cautelare.
Obblighi e dirittiSecondo le
leggi sul lavoro, il datore risponde della mancata osservanza delle norme a tutela dell’
integrità fisica dei dipendenti perché titolare di una posizione di garanzia dettata dall’articolo 2087 del Codice civile e ripresa anche dal
Dpcm del 26 aprile 2020 che ha obbligato tutte le imprese a osservare il
protocollo di sicurezza per il contrasto della pandemia. Tra gli altri obblighi del datore di lavoro anche quello di informare i lavoratori sui rischi e invitarli al rispetto delle norme.
Da parte sua, come si legge nella sentenza ripresa dal
Sole 24 Ore, il dipendente «anche in assenza di una specifica disposizione di legge, può invocare l’
esimente dello stato di necessità per rifiutarsi di presentarsi al lavoro se non ci sono le condizioni per prestare la propria attività in sicurezza». Tanto che la
condotta del dipendente del locale in provincia di Arezzo è del tutto giustificata dall’«esasperazione per una condotta altrui omissiva che denota un’ignorante
sottovalutazione del fenomeno pandemico, accompagnata da frasi villane e sprezzanti della salute propria e degli altri, oltreché del cassiere»