Si è parlato molto nell’ultimo anno di unione, unità, sistema, fare rete... Ma non si riesce mai ad ottenere il giusto risultato rispetto a tanti buoni propositi. L’Italia che unita dovrebbe sconfiggere la pandemia, la nostra politica che unita dovrebbe far ripartire il Paese; l’Europa che unita dovrebbe sostenere i singoli Stati; le voci delle professioni che unite dovrebbero far valere le proprie ragioni di fronte alle istituzioni; eppure alla fine ognuno pensa sempre al proprio orticello, ai propri interessi e alle proprie ambizioni, senza rendersi conto di quanto possa realmente valere la forza della vera unità.

Gli individualismi in un gruppo non danno importanza, rischiano solo di essere deleteri
Le
associazioni nascono esattamente con questo scopo, tenere insieme, vicini i propri associati affinché possano confrontarsi intorno agli scopi comuni, per uno o più obiettivi condivisi che più facilmente potranno essere raggiunti grazie all’unità di intenti e alla
cooperazione di tutti. Come mai, però, quando ci si ritrova insieme, dopo che per scelta personale si è deciso di aderire ad un gruppo omogeneo, rimangono tante - troppe - voci “fuori dal coro” che neanche vogliono stare ad ascoltare il pensiero altrui o comune, tendendo esclusivamente ad affermare il proprio?
Una domanda che in politica e nelle istituzioni trova risposta nella poltrona da acquisire o mantenere; ma nella vita associativa - dove molto spesso le poltrone sono prevalentemente oneri di impegno e sacrificio, proprio non è dato capire. Forse qualcuno pensa che affermando (e a volte tentando di imporre) le proprie intenzioni si acquisisca maggiore importanza e considerazione, senza rendersi conto che, in realtà, all’interno di un gruppo gli
individualismi rischiano poi di essere deleteri.
Il confronto nasce dall’esposizione e dall’ascolto del parere di tutti, sull’obiettivo comune, cui deve seguire una
strategia condivisa per il suo raggiungimento. Ovviamente ognuno è libero di pensarla come crede, ma se l’obiettivo è comune ci si aspetta che le riflessioni siano convergenti e non divergenti; che gli sforzi siano orientati tutti verso una direzione univoca, non contrastanti. Non c’è spazio per i personalismi; bisogna avere l’umiltà di accettare che tra tutti ci sarà sempre qualcuno che la pensa diversamente, qualcuno che ne sa più di noi, qualcuno che per primo ha la giusta intuizione, ma poi
insieme bisogna trovare la quadra che,
una volta condivisa, deve essere accettata.
Non è ammissibile che un confronto si basi su distorsioni delle verità e
attacchi personali contro il prossimo solo per l’affermazione del proprio io, per un
egocentrismo che spesso vuole celare debolezze e incapacità, che la soddisfazione di qualcuno si debba fondare sulla pubblica esternazione di insulti e
falsità sui fatti, al solo scopo di ottenere la resa incondizionata di chi sta di fronte.
Senza dimenticare che in alcuni contesti lo
spirito di appartenenza ad un gruppo omogeneo (leggasi associazione, movimento, partito…) è una scelta volontaria e non un obbligo e pertanto deve essere vissuto con positività e spirito di
servizio per il
bene di tutti; con disponibilità al
dialogo e all’ascolto; con rispetto degli altri e delle regole, con la voglia di donare il proprio apporto costruttivo e non con l’intento di distruggere.
La nostra politica? Indipendentemente dai colori e dalle posizioni, di certo non si può considerare un gruppo omogeneo per il bene del Paese!