Per troppo tempo il prezzo del vino in ristorazione è stato affrontato come una questione quasi automatica: al costo della bottiglia si applicava un ricarico considerato “di settore”. Oggi questo approccio non è più sufficiente. Non perché i costi siano diminuiti, ma perché è cambiato radicalmente il contesto in cui quel prezzo viene percepito. Il cliente è più informato, più mobile, più abituato al confronto. Il prezzo del vino, oggi, non è più un dettaglio del conto, ma uno degli elementi più leggibili dell’identità di un ristorante. Racconta che tipo di esperienza si intende offrire e che tipo di relazione si vuole costruire.
Dal prezzo “giusto” al prezzo coerente
Nel dibattito attuale si continua spesso a parlare di “prezzo giusto”, come se esistesse una soglia universalmente valida. Ma oggi questa categoria ha perso gran parte della sua utilità. Non esiste un prezzo giusto in astratto, esiste un prezzo coerente. Coerente con il livello del locale, con il servizio, con la proposta gastronomica e con il pubblico di riferimento. Quando questa coerenza manca, non è la bottiglia a essere in discussione, ma l’intero progetto.

Il sommelier Paolo Porfidio
Paolo Porfidio (miglior sommelier 2023 di Identità Golose e premio “Personaggio dell’anno" per Italia a Tavola nel 2019 nella categoria Sala e Hotel, oggi head sommelier dell’Excelsior Gallia di Milano) lo evidenzia con chiarezza: «È difficile parlare di prezzo in maniera assoluta. Bisogna essere prima di tutto corretti nei confronti dell’ospite e del cliente, soprattutto in un periodo in cui forse si è esagerato un po’ troppo con i ricarichi». La coerenza non significa abbassare i prezzi, ma renderli leggibili, comprensibili e difendibili.
Il prezzo come messaggio
Oscar Mazzoleni - titolare de Al Carroponte di Bergamo e miglior sommlier per la Guida Michelin 2025 - mette in luce un nodo centrale della percezione contemporanea: «Non possiamo guardare l’online, perché lì ci sono dei prezzi che sono folli, ma la gente pensa che quelli siano i prezzi di riferimento».

Oscar Mazzoleni, titolare de Al Carroponte di Bergamo
Il cliente non ha bisogno di conoscere il costo all’origine di una bottiglia. Gli basta capire se ciò che sta pagando ha senso rispetto all’esperienza complessiva. Se il servizio è incerto e il vino non viene accompagnato da un racconto, anche un ricarico moderato può risultare eccessivo.
La fine dell’alibi dei costi
Per anni il settore ha spiegato i prezzi del vino facendo leva sui costi: immobilizzo di capitale, magazzino, rotture, personale. Argomentazioni legittime, ma oggi insufficienti. Il cliente non compra una struttura dei costi. Compra un’esperienza. E l’esperienza non si giustifica: si dimostra. Continuare a difendere il prezzo come una necessità economica è una posizione difensiva. Molto più efficace è dichiarare una scelta progettuale: ricarichi sostenibili, rotazione veloce, mescita intelligente, selezione ragionata. Non come giustificazione, ma come identità del ristorante.
Carte dei vini: progetto, non accumulo
Il vero discrimine oggi non è tra carte lunghe o corte, territoriali o internazionali. È tra carte pensate e carte subite. «La carta dei vini - evidenzia ancora Mazzoleni. - deve piacere a chi la propone. Non esiste una carta “giusta” in astratto, esiste quella coerente con il locale e con il pubblico». Una carta costruita per accumulo espone il prezzo a essere giudicato solo come numero. Al contrario, una selezione coerente e ben raccontata rende il prezzo più comprensibile, anche quando è importante.
La sala come spazio di relazione
In questo scenario la sala non è un accessorio, ma il luogo in cui il progetto prende forma ogni sera. È qui che il vino esce dalla carta e diventa esperienza. Delegare tutto al sommelier non basta più. Ogni componente del servizio deve essere in grado di collocare il vino dentro il percorso del cliente.

Andrea Gualdoni, head sommelier del Core by Clare Smyth di Londra
Andrea Gualdoni - head sommelier del Core by Clare Smyth di Londra e miglior sommelier italiano Ais 2024 - lo ricorda con chiarezza: «Essere tecnici non serve. Il cliente non è lì per seguire una lezione, ma per vivere un’esperienza». E aggiunge: «Il rischio oggi è l’eccesso di tecnicismi: spiegare in modo semplice è molto più efficace». Il silenzio sul vino e sul prezzo non è neutralità: è rinuncia alla relazione.
Il vero rischio: perdere fiducia
Un cliente che rinuncia a una bottiglia importante sceglierà un’alternativa. Un cliente che perde fiducia, invece, difficilmente tornerà. La perdita di fiducia non nasce dal prezzo alto, ma dalla sensazione che quel prezzo non sia stato pensato per lui. Il vino, più di ogni altro elemento del conto, può rafforzare o incrinare la relazione. Eros Teboni - miglior sommelier del mondo nel 2018, formatore, collaboratore di Italia a Tavola e, oggi, anche consulente strategico di Partesa - lo sintetizza efficacemente: «La carta dei vini non è un orpello, è un asset operativo che racconta competenza, visione e rispetto per il cliente».

Il sommelier Eros Teboni
Dal numero al patto
Quando il prezzo del vino funziona, il cliente smette di confrontare e inizia a fidarsi. Si crea un patto implicito: il ristorante propone ciò che ritiene giusto, il cliente accetta di affidarsi a quella visione. Non è un patto economico, ma relazionale. Fragile, da rinnovare ogni sera, ma fondamentale. Per questo oggi il prezzo del vino non è una questione di listini, ma di responsabilità progettuale. Non dice solo quanto costa bere in quel ristorante. Dice che tipo di ristorante è e che tipo di relazione intende costruire. In definitiva, il prezzo del vino non è caro o economico. È credibile o no. E la credibilità, nel tempo, vale più di qualsiasi ricarico.