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Dalle stelle ai grappoli: Michelin vuole comandare anche il vino. Grazie anche no

Dopo le chiavi agli hotel, ora Michelin inventa i “grappoli” per giudicare le cantine. Nuovo tassello di una strategia che punta a dettare legge su tutta l’enogastronomia mondiale proprio mentre il vino italiano supera la Francia in quantità, valore e - spesso - qualità. Ma il settore deve chiedersi: perché accettare che sia sempre la Rossa a riscrivere le regole?

Alberto Lupini
di Alberto Lupini
direttore
06 dicembre 2025 | 05:00
Dalle stelle ai grappoli: Michelin vuole comandare anche il vino. Grazie anche no

Diciamocela tutta, senza fare i diplomatici: Michelin sta cercando di prendersi il monopolio del gusto mondiale, un reparto dopo l’altro. Prima i ristoranti, poi gli hotel con quelle chiavi che sembrano la versione “Airbnb luxury” delle stelle. E ora il vino, con la nuova guida dedicata alle cantine e i nuovi “grappoli”, annunciati come la prossima assoluta verità (?) di mercato. La domanda è semplice: davvero Michelin pensa di poter “dare le carte” per tutto il turismo e l’enogastronomia globale?

Dalle stelle ai grappoli: Michelin vuole comandare anche il vino. Grazie anche no

La Michelin sbarca anche nel mondo del vino, dopo ristoranti e hotel

Francamente sembra un po’ un colo di coda di pessimo stile. È difficile ignorare la tempistica: la guida alle cantine arriva proprio quando il vino italiano è diventato leader mondiale per quantità, sta superando la Francia per valore e da anni la tallona - se non la supera - per qualità percepita e premi internazionali. E ciò mentre la cucina italiana - che nonostante la Michelin ha da anni superato quella francese per gradimento in tutto il mondo, si appresta fra breve ad ottenere il riconoscimento dell’Unesco. È solo una coincidenza? Certo. Come credere che la pizza non meriti stelle.

La stessa logica delle chiavi: un format che vuole colonizzare ogni settore

La storia recente ci ha già insegnato come funziona la macchina Michelin. Quando un anno e mezzo fa lanciò le chiavi per gli hotel, lo schema era chiarissimo:

  • prendere un settore già regolato da standard internazionali,
  • ignorare quei parametri,
  • inventare una propria scala,
  • imporla come nuovo linguaggio globale.

Le chiavi, graficamente e concettualmente, erano la versione “maccaronizzata” delle stelle: stesse iconografie, stesso appeal, stessa promessa di esclusività. Il risultato? Un sistema che ha creato più confusione che valore e che per fortuna degli hotel (famigliari o di catena) non ha spostato di una virgola per prenotazioni…. Il mercato dell’hotellerie, soprattutto nella fascia alta, non aveva alcun bisogno di Michelin:

  • le stelle degli hotel già garantiscono prevedibilità,
  • il prezzo è un indice affidabile dei servizi,
  • le classificazioni internazionali sono solide da decenni.

Eppure, la Michelin ha deciso di piazzare le sue chiavi come se fossero un upgrade del sistema alberghiero mondiale. Peccato che la prima edizione italiana avesse mostrato una realtà imbarazzante: 8 hotel italiani con 3 chiavi contro i 9 della sola Parigi. Una sproporzione culturale prima ancora che tecnica, proseguita anche nella seconda edizione, a conferma di come la rossa voglia tutelare una presunta grandeur francese…. Non dimentichiamo che al Passalacqua, miglior hotel del mondo per The World’s 50 Best, la Michelin aveva assegnato prima una sola chiave, salvo poi portarla a 3 sull’onda delle critiche di mezzo mondo. E invece Casa Maria Luigia, un piccolo boutique hotel di charme, a Modena collegato a un ristorante a 3 stelle aveva avuto subito tre chiavi.

Dalle stelle ai grappoli: Michelin vuole comandare anche il vino. Grazie anche no

La Michelin ha deciso di piazzare le sue chiavi come se fossero un upgrade del sistema alberghiero mondiale

Il messaggio è chiarissimo: la rete Michelin premia se stessa e si rende autoreferenziale. Ma se è così che succederà alle cantine? Avranno i grappoli solo quelle che sono scelte dai ristoranti stellati, ai quali dovranno magari fare prezzi stracciati per salire sulla giostra dei maccaron?

Ora tocca al vino: stesso film, attori diversi

Con i “grappoli” non serve essere Nostradamus per immaginare che la Michelin replicherà pari pari lo schema visto con le chiavi: entrare in un mercato che non controlla e provare a diventare lo standard narrativo. Solo che il vino non è un’appendice della ristorazione. È un settore con:

  • regole proprie,
  • sistemi consolidati di valutazione (Gambero Rosso, Vitae, Slow Wine, Wine Spectator, Decanter, Parker, ecc.),
  • identità nazionali fortissime,
  • mercati globali dove il valore reale lo determina il consumatore, non un simbolo francese.

E qui sta il punto: Michelin non entra per descrivere il mondo del vino. Entra per riordinarlo secondo la propria grammatica, che è francocentrica per definizione.

Perché proprio adesso? Il vino italiano dà fastidio perché vince

Guardiamo la situazione degli ultimi tempi:

  • l’Italia è da anni primo produttore mondiale per volumi,
  • ora sta scalzando la Francia anche per valore complessivo,
  • sui mercati - USA, Germania, UK - gli italiani vendono più bottiglie dei francesi,
  • nella fascia premium la crescita italiana è più veloce, più dinamica, più desiderata.

Dalle stelle ai grappoli: Michelin vuole comandare anche il vino. Grazie anche no

L‘Italia del vino è percepita come sempre più qualitativa

E c'è una cosa che pesa di più: la qualità percepita non è più una rendita francese. E questo per i cugini d'oltralpe non è forse facile da accettare. Non è un caso che Bordeaux stia vivendo una crisi strutturale (a cui ora la Michelin pensa di poter dare un aiutino un poi' drogato, mentre Barolo, Brunello, Etna, TrentoDoc e molte aree del centro-sud Italia volano. A questo punto, Michelin cosa fa? Scende in campo per “mettere ordine”. In concreto  vuole assorbire l’autorità mediatica di un settore che non controlla, ma che vede spostarsi sempre più verso l’Italia.

Il rischio: normalizzare il vino italiano proprio nel momento storico in cui spicca

Il pericolo non è che Michelin entri nel vino. È che lo standardizzi. Che trasformi la biodiversità italiana - la sua forza assoluta - in un format leggibile attraverso parametri nati altrove. Perché, diciamolo senza giri di parole: Michelin non fotografa la realtà, cerca di scolpirla. Lo fa da anni con la cucina, tentando di imporre un canone estetico e tecnico che spesso non ha nulla a che vedere con l’identità italiana. Ora vuole fare lo stesso con il vino.

La miccia è accesa: il settore deve decidere se consegnarsi o alzare la testa

La questione non è combattere Michelin: sarebbe ingenuo. La questione è evitare di delegarle la nostra narrazione. Il vino italiano è già forte, riconosciuto, premiato, venduto. Non ha bisogno di un intermediario francese che gli dica quando vale e quando no. E soprattutto non ha bisogno dell’ennesimo “bollino” che rischia di confondere i consumatori, più che orientarli, come accaduto con le chiavi negli hotel.

La rossa si sconterà con chi il vino lo giudica con serietà e non in base alla nazionalità

Michelin sta cercando di costruirsi un “impero di simboli” per governare tutta la filiera dell’enogastronomia: cuochi, hotel, ora le cantine. Ma è un’impresa che rischia di implodere sulla partigianeria. Ma l’Italia, oggi più che mai, ha la responsabilità di dire: il vino lo raccontiamo noi. Perché quando un settore diventa leader globale - e il vino italiano lo è, numeri alla mano - il passo più sbagliato che può fare è lasciarsi mettere il collare del vicino.

Dalle stelle ai grappoli: Michelin vuole comandare anche il vino. Grazie anche no

Le pizzerie rimangono sempre escluse dalla Guida Michelin

La Michelin costituisce da anni un’opportunità, ma anche una grande palla al piede, per l’enogastronomia italiana. È vero che quella italiana è la seconda guida al mondo per stelle, ma i ristoranti italiani in tutto il mondo hanno da tempo superato per interesse e valore quelli francesi. E in questo calcolo non ci sono le pizzerie, perché altrimenti la “rossa” dovrebbe cedere il primato delle stelle all’Italia. Ora a correggere questa stortura arriverà il riconoscimento Unesco e le istituzioni, a partire dal Governo, avranno un’arma formidabile per riequilibrare i conti con Parigi. Facciamo in modo che anche nel vino non si debba subire il gioco dei macarons, certi che in questo avremo alleati seri e credibili come gli esperti americani o inglesi che da anni giudicano in modo corretto e neutrale le produzioni di vino.

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