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V per... Vino: Milano ospita Verdicchio, Vernaccia e Vermentino

Guido Gabaldi
di Guido Gabaldi
20 maggio 2025 | 09:30

Sarà di buon auspicio il fatto che, non sapendo più cosa inventarci per mettere in luce un simbolo millenario di cultura gastronomica, ricorriamo ad acronimi, giochi di parole, nomi-cose-città con l’iniziale estratta a caso? Probabilmente sì, a patto di non ferire il buongusto: e comunque se lo saranno chiesto i vignaioli arrivati a Milano, ognuno col suo fagotto di buone intenzioni sulle spalle, presso l’Enoluogo, enoteca in zona Stazione Centrale. Titolo dell’evento: “Le V del Vino”, un piccolo palcoscenico per brindare, indagare e apprendere, in compagnia di interpreti in cerca di applauso, annata e tappatura permettendo. Le “V” corrispondono al Verdicchio dei Castelli di Jesi, al Veltliner (Grüner Veltliner, per completezza) austriaco, al Viognier di Bolgheri, al Vermentino di Gallura Superiore e infine alla Vernaccia di San Gimignano.

V per... Vino: Milano ospita Verdicchio, Vernaccia e Vermentino

C'è anche il Verdicchio dei Castelli di Jesi tra le V del vino

Verdicchio: dalle Marche con passione

Siamo partiti dalle Marche e da Jesi addirittura in doppia V, grazie a Vito Cardinali e al suo Verdicchio dei Castelli di Jesi: i primi ettari vengono acquistati nel 1972 mentre nel 1977 nasce ufficialmente il Podere Cardinali. Poco più di un divertissement, all’inizio, ma poi la passione per il territorio e il carattere ambizioso ti prende la mano: si comincia pian piano a fare sul serio e si coinvolge l’enologo Enrico Simonini, che conduce un’analisi di microzonazione per capire, partendo dalle potenzialità del terreno, quali siano le azioni migliori da realizzare.

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Vito Cardinali, titolare dell'omonoma cantina

La prima vinificazione avviene nel 2023 e mette in campo due vini denominati “Vito”, il Verdicchio Classico Superiore Doc e il Verdicchio Riserva Classico Docg: quest’ultimo per valorizzare le uve riuscite meglio in assoluto e dar vita a un grande bianco da invecchiamento. La vendemmia 2023 ha dato una produzione ridotta, ma la cura nei vigneti e la meticolosità dello staff lasciano ben sperare. Vito Cardinali non è più un giovincello, ma è quel tipo di imprenditore quadrato che lavora solo per obiettivi: nei prossimi anni, infatti, si conta di arrivare ad una produzione di 100 mila bottiglie, derivanti dagli attuali 35 ettari di vigneto coltivati per il 77% a Verdicchio, e il restante a Lacrima di Morro d’Alba e Trebbiano.

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Dalla Leithaberg, il Grüner Veltliner

Chi ama la geografia sarà felice di veleggiare da Jesi, in vista dell’Adriatico, fino alle acque tranquille del lago di Neusiedl, sul confine tra Austria e Ungheria. Non lontano, in territorio austriaco, i vigneti della famiglia Sommer sfruttano un microclima molto particolare, sui versanti di sud-est della Leithaberg (Leitha è il nome della montagna) rivolti verso il lago, che funge da termoregolatore. Geologicamente la Leithaberg costituisce le ultime pendici delle Alpi, da nord-est a sud-ovest. I Sommer, che cominciano nel 1698 la loro storia di artigiani del vino, possiedono 30 ettari in cui fruttificano vitigni come Grüner Veltliner, Welschriesling, Chardonnay, Sauvignon Blanc, Riesling, Blaufränkisch; aromatici e minerali, eleganti e potenti allo stesso tempo, impreziositi da sfumature e gradazioni ogni volta diverse.

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Kathrin e Leo Sommer gestiscono la cantina Sommer

L’impostazione aziendale dei Sommer si ispira genuinamente al “fatto-in-casa”, dalla produzione all’imbottigliamento. L’idea è quella di lavorare il vigneto e i vini nella maniera più rispettosa possibile, per preservarne le peculiarità ed esprimere tutte le caratteristiche di un territorio unico. Più che un lavoro, un dialogo tra le mani del vignaiolo, la mente e l’anima. Tra le punte di diamante dell’azienda troviamo l’Alte Reben Leithaberg DAC Grüner Veltliner 2021 e il Grüner Veltliner Schiefer 2022 Leithaberg DAC.

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Viognier e Bolgheri: la firma dei Satta

Per schivare l’accusa di esterofilia torniamo in Italia, e precisamente a Castagneto Carducci, nel cuore della Doc Bolgheri, dove dal 1983 l’azienda a conduzione familiare “Michele Satta” coltiva i suoi 23 ettari e produce attualmente 150.000 bottiglie, tutte da uva di produzione propria. Il territorio Bolgherese comprende l’area che si affaccia ad Ovest sul mar Tirreno, mentre sui restanti punti cardinali è circondata da colline che creano una sorta di anfiteatro naturale con caratteristiche uniche al mondo. La luce riflessa dal mare, lontano solo pochi chilometri, permette una piena maturazione delle uve, sia nelle componenti aromatiche sia fenoliche. Le uve che, dopo anni di osservazione, si sono valutate come le più adatte a esprimere questo particolare terroir sono Viognier, Vermentino e Sauvignon per i bianchi; Cabernet Sauvignon, Merlot, Syrah, Sangiovese e Teroldego per i rossi.

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Giacomo Satta alla guida dell'azienda Michele Satta

L’azienda è oggi nelle mani di Giacomo, figlio di Michele Satta, che sottolinea l’importanza di confrontarsi continuamente con tecniche e filosofie produttive in continua evoluzione. «Per l’azienda Satta - puntualizza Giacomo - è stato determinante l’approccio alla gestione biodinamica dei suoli». Non siamo totalmente biodinamici, ma abbiamo ripreso alcune tecniche che trovo utili per le piante. Il terreno è un essere mutevole e ogni anno è bisognoso di attenzioni diverse. Il lavoro in vigna è la riprova che non esistono regole fisse, ma rimane centrale l’osservazione, che ti porta all’adattamento».

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Vermentino sardo e vocazione familiare

Al di là del mare la storia aziendale si gioca comunque in famiglia, e tuttavia i vitigni autoctoni ricevono maggiore spazio: ci troviamo a Calangianus, in Gallura, il nord-est della Sardegna, alle prese con Antioco Gregu, il patriarca, e con i figli, Raffaele e Federico. Tenute Gregu beneficia di un terroir unico, una sinergia tra influenze marine che si insinuano in una fitta e caratteristica macchia mediterranea: la parte più interna è invece caratterizzata da boschi di querce, sughere e olivastri. È normale, da queste parti, avvertire una ventilazione costante nonché forti escursioni termiche determinate dall'altitudine a 500 metri slm, con la conseguente formazione di rugiada, che rallenta la maturazione delle uve. «Noi valorizziamo tutto questo, attraverso l’ascolto, per così dire, delle piante - spiega Antioco Gregu - raccogliamo le uve solo quando le viti ci comunicano determinate condizioni».

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La famiglia Gregu di Tenute Gregu

Nel 2014 si imbottiglia la prima annata, e i tre Gregu si dividono nella gestione dei trenta ettari di vigneto; il padre si occupa della parte vitivinicola, aiutato dal figlio minore Federico, mentre il maggiore, Raffaele, è il responsabile della gestione in cantina e del commerciale. La sostenibilità ambientale è un punto importante dell’azienda; grazie alla posizione strategica dei vigneti si limita l’uso dei pesticidi, mentre si praticano inerbimenti controllati, che permettono di creare un habitat favorevole alla presenza di diverse specie di insetti, soprattutto delle api. Le varietà coltivate dall’azienda sono per la maggior parte autoctone: Vermentino, Cannonau e Muristellu (Bovale Sardo), e per ora avanza ancora qualche spazio per i vitigni internazionali Syrah e Merlot.

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Vernaccia: il Colombaio di Santa Chiara

Non ci pesa rifare la traversata del Mar Tirreno per tornare in Toscana, ma questa volta in zona più interna: la provincia di Siena, a San Gimignano, in un areale dove la bianca vernaccia è considerata un’istituzione, essendo dal 1966 la prima Doc italiana. Una storia recente e remota di un certo peso, insomma, che incoraggia a valorizzare le proprie radici: è quello che i fratelli Giampiero, Stefano e Alessio Logi cercano di fare almeno dal 2000, quando viene lanciato il progetto “Colombaio di Santa Chiara”. La famiglia aveva acquistato da qualche anno la Pieve di San Donato (San Gimignano), una chiesa romanica del XII secolo, la sua canonica, un altro fabbricato e i terreni adiacenti agli immobili.

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I fratelli Logi hanno lanciato il progetto Il Colombaio di Santa Chiara

Proprio in quei fabbricati è stata allestita la piccola cantina che ha dato modo all'azienda di muovere i primi passi; partenza lenta, con circa 5000 bottiglie, vendute localmente in qualche ristorante della zona e in azienda. Da quel momento in poi ogni anno la produzione è andata crescendo, fino ad arrivare a circa 90.000 bottiglie. Anche qui, come in Sardegna, i vitigni autoctoni sono la chiave di lettura: Vernaccia di San Gimignano anzitutto, poi Sangiovese e con i titoli di coda piccoli appezzamenti di Cabernet Franc e Merlot. «Vogliamo produrre vini con una grande identità territoriale, rispettosi della salute di chi li beve, utilizzando metodi volti a salvaguardare l’ambiente e il territorio», dichiara Alessio Logi, riassumendo l‘impostazione che caratterizza il progetto.

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