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Ristorazione, il futuro non è TripAdvisor

Non sempre il progresso è ciò che si vuole spacciare per tale. E nel caso di TripAdvisor, contestato e condannato in tutta Europa anche per violazione della libera concorrenza, non è la soluzione più trasparente e sicura

Alberto Lupini
di Alberto Lupini
direttore
19 settembre 2016 | 17:24

“Governare i cambiamenti”. Chi potrebbe contestare che questo debba essere il compito primario di chi riveste ruoli di rappresentanza politica o sociale? È persino una delle missioni della Chiesa dei nostri tempi, figuriamoci se non dovrebbe esserlo per chi fa sindacato d’impresa. Detto ciò, bisogna però capire se per governare il cambiamento ci si deve per forza alleare con chiunque. E soprattutto si deve capire se e cosa si condivide nella stanza dei bottoni di chi è il padrone di uno strumento, di un processo o di un’idea.

La questione ci è stata posta da molti lettori nel leggere l’appassionata difesa che un uomo delle istituzioni a tutto tondo come Carlo Sangalli (presidente di ConfCommercio, dell’Unione del commercio di Milano e della Camera di Commercio del capoluogo lombardo) fa dell’accordo, fra il suo sindacato e TripAdvisor, per promuovere “The Fork”, la costola della multinazionale dell’anonimato e delle recensioni tarocche ritenuta “presentabile”. Rispondendo alle osservazioni del nostro Matteo Scibilia rispetto all’insensatezza (anche per l’immagine della categoria) delle politiche promozionali di The Fork (che propone menu al 50% del loro valore corrente e indica questi come i “migliori” e selezionati ristoranti della zona…), il leader del mondo del commercio ha di fatto rilanciato sulle “sorti magnifiche e progressive” che dovrebbe portarci in regalo il gruppo di TripAdvisor.



Per chi come noi conosce e sostiene le ragioni dei tantissimi operatori italiani esasperati dal modo di agire del portale americano, sarebbe troppo facile aprire una polemica, anche feroce, col presidente di ConfCommercio. Ma ciò farebbe solo il gioco dei furbetti del quartierino che ronzano come mosche attorno a questa contestata alleanza. Il risultato sarebbe quello di indebolire un sindacato che invece può fare cose buone per il comparto. Con senso di responsabilità ci permettiamo perciò di sottolineare alcuni punti critici su cui rischia di scivolare un sindacato che, già in passato, commise alcuni storici errori, sempre con l’idea di cavalcare la modernità. Pensiamo al sostegno di 30-35 anni fa all’avvio della disastrosa politica dei centri commerciali (formula oggi in crisi negli Usa dove era nata), che mise in crisi i centri storici italiani, svuotati da attività commerciali di valore e riempiti poi da esercizi di extracomunitari. La ConfCommercio non governò quel processo, lo subirono i piccoli commercianti italiani. E la stessa cosa vale per la liberalizzazione delle licenze, che mise in ginocchio molti ristoranti a vantaggio di bar che, senza regole, diventarono tavole calde.

Non sempre il progresso è quello che si vuole spacciare per tale. E nel caso di TripAdvisor, contestato e condannato in tutta Europa anche per violazione della libera concorrenza, non si può certo dire che sia la soluzione più trasparente e sicura. E non si può dire che i modernisti stiano con TripAdvisor e che chi contesta il portale rappresenti il passato… Forse, vista la situazione e quanto sta avvenendo in giro per il mondo, è vero il contrario.

Va detto che l’accordo di Fipe-ConfCommercio è con una costola del gruppo americano, ma chi tira le fila è sempre TripAdvisor. Anzi, secondo molti nostri lettori, in queste condizioni è come se il maggiore sindacato italiano da una parte avesse lasciato una pistola carica in mano al portale delle recensioni anonime, e dall’altra invitasse i ristoratori a sfuggire a quei ricatti pagando l’iscrizione a The Fork. Francamente tendiamo ad escludere che ci possa essere un simile calcolo, ma è indubbio che la strada scelta può pericolosamente lasciare pensare anche a queste ipotesi. Perché fare una partnership (in cui ConfCommercio fa da garante senza gestire alcun potere reale) solo con chi finora ha barato sul mercato? Perché non fare lo stesso anche con gli altri portali più piccoli (e magari meno aggressivi) che si occupano di prenotazioni online? O favorire la nascita di un portale tricolore?

C’è poi una questione tutta interna al mondo dell’Horeca (che dovrebbe stare a cuore a ConfCommercio) che non comprendiamo. Se il mondo degli alberghi (che in tema di presenza in Internet è un po’ più avanzato della media della ristorazione italiana) è in netta rotta di collisione con TripAdvisor e gli altri portali di prenotazione, perché non pensare con loro a qualche iniziativa di tutto il comparto, coinvolgendo bar e ristoranti per essere tutti davvero più forti e non “sudditi” di una multinazionale che decide le politiche di marketing, ancor più di realtà come Groupon?

Ci sarebbero tante altre osservazioni, ma per il momento ci fermiamo qui, in attesa di qualche risposta che ci aiuti a comprendere meglio il perché di questa discutibile alleanza.

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